Borderless




Recensione di Velia Speranza


Autore: Veit Heinichen

Traduzione: Monica Pesetti

Editore: Edizioni E/O

Genere: Thriller

Pagine: 400

Anno di pubblicazione: 2020

Sinossi. Xenia Ylenia Zannier ha perso i genitori appena nata, entrambi sono morti durante il terremoto che ha devastato il Friuli nel 1976. È stata adottata dalla zia materna e dal marito, che avevano già un figlio di dieci anni, Floriano, da subito affezionato alla bambina che lo considererà sempre l’amatissimo fratello maggiore. Nel 1990 Floriano, nel frattempo entrato nella guardia di finanza a Trieste, viene processato e ingiustamente accusato di tentato omicidio e tre giorni dopo l’udienza si impicca in cella. La strada di Xenia, oggi commissario a Grado, incrocia ripetutamente quella della senatrice Romana Castelli de Poltieri, donna senza scrupoli corresponsabile della morte del fratello e implicata in una rete di corruzione internazionale. Con l’uccisione dell’amico e giornalista austriaco Jordan S. Becker e l’arrivo di una nave carica di profughi siriani, le indagini portano Xenia all’intelligence tedesca e al traffico di armi con base in Croazia. Passando per Trieste, Fiume, Salisburgo, Monaco, la Cancelleria a Berlino, Pullach e il ministero dell’Interno a Roma, tutte le tracce riconducono alla senatrice, capace di qualunque cosa per conservare il proprio potere. A fare da sfondo, la xenofobia di Patria Nostra che istiga all’odio verso gli stranieri, l’Unione Europea e la Germania.

Recensione

Per chi è avvezzo ai romanzi di Veit Heinichen, “Borderless” potrebbe risultare ad un primo impatto estraneo. Non c’è Proteo Laurenti, protagonista delle sue opere più famose. Non ci troviamo a Roma, nel cuore dell’Italia, a stretto contatto con le stanze della politica. Insomma, tutti i canoni classici a cui l’autore ha abituato i suoi lettori sono stati fatti saltare, ma la sua penna ed il suo modo di approcciarsi ad una realtà dolorosamente attuale permangono.

A dirigere la narrazione è Xenia Ylenia Zannier, commissaria della piccola città di Grado, meta turistica che per metà dell’anno conduce un’esistenza morigerata. I crimini che si trova a dover affrontare quotidiamente non hanno nulla della complessità di una metropoli come Roma: ci sono gli atti vandalici, i furti, gli incidenti automobilistici. E come in tutte le cittadine, tutti si conoscono e la privacy è sempre relativa.

Ma oltre che meta turistica, Grado è anche una città di confine, in cui si miscelano lingue diverse e che dunque deve affrontare problematiche connesse alla sua posizione geografica. C’è l’immigrazione, con lo sbarco di clandestini provenienti dalla Turchia e dall’Est Europa. Ci sono razzismo ed antieuropeismo, di quelli più beceri, fatti di slogan urlati e basati sempre sulle stesse credenze che non vengono mai veramente argomentate. Ci sono le azioni dimostrative, volte a diffondere paura ed insicurezza.

Soprattutto, però, c’è Romana Castelli de Poltrieri. Politica, senatrice, esponente dell’aristocrazia triestina, è lei che gestisce la vita locale con un pugno di ferro nascosto sotto strati di seta mentre stringe legami ed alleanze oltrealpe.

Proprio con la senatrice, Xenia ha un conto in sospeso più antico della sua carriera. Motivi familiari, di cuore e d’affetto, che neanche dopo vent’anni possono considerarsi chiusi. Così la commissaria segue le tracce della donna per tutto il continente, unendo i punti, aggrappandosi ad ogni elemento che possa segnare la decaduta di Romana.

Tutto ciò, però, non è che l’inizio, la punta di un iceberg molto più profondo, le cui fondamenta non possono essere ritrovate. Grado è solo il punto di partenza da cui Heinichen si discosta fin dall’inizio, quasi bruscamente, trasportando la narrazione al di fuori dei confini nazionali, verso la Croazia e la Germania. Quella che ad una prima occhiata poteva sembrare solamente la storia di una città muta pelle, trasformandosi nella storia di un continente. E allora si aprono nuovi scenari, tresche bancarie, mire politiche che tendono verso l’Osce, ceneri della Jugoslavia su cui continua a soffiare un vento che le tiene vive.

Quello che Heinichen ci regala è una narrazione multi livello. Partendo da Grado, essa si espande sempre più in cerchi concentrici per tutta l’Europa, lasciando intendere che il raggio di competenza potrebbe essere ancora più ampio, ed alla fine si ripiega su se stessa, tornando nella laguna friulana. Tre passaggi spaziali precisi, netti per dimostrare la complessità della realtà in cui viviamo al giorno d’oggi. Perché seppur il continente risulti essere pacificato, seppur l’Unione Europea abbia aiutato a costruire ponti e ad aprire ad una collaborazione, nonché ad una comunicazione più onesta fra gli Stati membri, secoli di guerre, d’odio e di lotte intestine non possono essere cancellate con un colpo di spugna. Così la polveriera jugoslava, dissoltasi vent’anni prima, nasconde ancora luci ed ombre, e le stesse sfumature si ritrovano nella Germania unita.

Su ognuna delle diverse scene si muovono numerosi personaggi dai nomi altisonanti e tutti connessi in qualche modo fra di loro. I legami, però, passano in secondo piano. Ad attirare l’attenzione sono le loro storie, il loro passato che torna sempre e puntualmente a mordergli i talloni. Sono personaggi tormentati, pedine di un’eterna partita a scacchi a cui cercano di sottrarsi o che mirano a dominare. Alla luce di tutto ciò, ancora più sensata appare la scelta della città in cui ambientare il romanzo. Grado, città di confine (è bene ricordarlo), fa anche parte di uno degli ultimi territori annessi all’Italia, che maggiormente ha subito i contraccolpi successivi alla Seconda Guerra Mondiale. Così, le diffidenze nei confronti di sloveni e croati, connazionali meno di sett’anni prima, adesso sono diventati estranei, tanto quanto gli immigrati che arrivano nei porti.

Quella che emerge alla fine è l’immagine di un’Europa si unita, ma ancora piena di contraddizioni e con molti più rabberciamenti e sporco sotto i tappeti di quanto si pensi. Una raffigurazione amara, forse, ma veritiera e che dovrebbe portare a riflettere sulla realtà odierna. “Borderless” è, infatti, un buon trampolino di lancio per poter approfondire gli innumerevoli temi presenti e di cui, ovviamente, se ne fornisce solamente una versione esigua, per lo più romanzata.

Non che sia una colpa o un elemento detrattivo; al contrario bisogna lodare narrazioni del genere, capaci di far scattare la scintilla dell’interesse. Non ci troviamo, però, di fronte ad un saggio. L’obiettivo dei romanzi è d’intrattenere, donando quante più informazioni si riesca e suscitando riflessioni e domande che possano trovare soddisfazione in ricerche più ampie.

In questo, “Borderless” è pienamente riuscito.

 

Veit Heinichen


Nato in Germania nel 1957, Veit Heinichen si è laureato in Economica, lavorando poi nella sede generale della Mercedes-Benz. In seguito, ha deciso di cambiare carriera, lavorando prima come libraio e collaborando poi con diversi editori in tutta Europa. Nel 1994, cofonda la casa editrice Berlin Verlag. Vive a Trieste da 1997 e ha deciso di rendere omaggio alla sua città di adozione rendendola lo sfondo dei suoi romanzi. Dal 2003, i suoi libri sono stati tradotti in molte lingue ed in Italia sono stati pubblicati da Edizioni E/O

 

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