Borgo Sud




Recensione di Sara Zanferrari


Autore: Donatella Di Pietrantonio

Editore: Einaudi

Genere: Narrativa

Pagine: 168

Pubblicazione: 3 novembre 2020

Sinossi. È il momento piú buio della notte, quello che precede l’alba, quando Adriana tempesta alla porta con un neonato tra le braccia. Non si vedevano da un po’, e sua sorella nemmeno sapeva che lei aspettasse un figlio. Ma da chi sta scappando? È davvero in pericolo? Adriana porta sempre uno scompiglio vitale, impudente, ma soprattutto una spinta risoluta a guardare in faccia la verità. Anche quella piú scomoda, o troppo amara. Cosí tutt’a un tratto le stanze si riempiono di voci, di dubbi, di domande. Entrando nell’appartamento della sorella e di suo marito, Adriana, arruffata e in fuga, apparente portatrice di disordine, indicherà la crepa su cui poggia quel matrimonio: le assenze di Piero, la sua tenerezza, la sua eleganza distaccata, assumono piano piano una valenza tutta diversa. Anni dopo, una telefonata improvvisa costringe la narratrice di questa storia a partire di corsa dalla città francese in cui ha deciso di vivere. Inizia una notte interminabile di viaggio – in cui mettere insieme i ricordi -, che la riporterà a Pescara, e precisamente a Borgo Sud, la zona marinara della città. È , in quel microcosmo cosí impenetrabile eppure cosí accogliente, con le sue leggi indiscutibili e la sua gente ospitale e rude, che potrà scoprire cos’è realmente successo, e forse fare pace col passato. Donatella Di Pietrantonio torna dopo L’Arminuta con un romanzo teso e intimo, intenso a ogni pagina, capace di tenere insieme emozione e profondità di sguardo.

Recensione

Un romanzo che non concede sconti. Una realtà dura, amara, anzi salata, come il mare adriatico che esce dirompente da queste pagine, quasi un canto alla vita stessa di una delle protagoniste, Adriana, che compare e scompare proprio come la marea, onde che vanno e vengono e però seguono ritmi propri, inaccessibili a chiunque altro, regolati da una mano sconosciuta ad altri se non a sé stessa.

È una storia che graffia, che incide, che pianta a bruciapelo la lama fra le scapole e poi gira, per poi tornare tranquillamente nel fodero come nulla fosse accaduto, fino alla volta successiva.

Una storia scritta con una scrittura essenziale, né troppe parole troppo poche, che Di Pietrantonio usain un flusso quasi continuo, mentre l’Arminuta parla e racconta, e attraversa spazio e tempo, salta avanti e indietro, senza fermarsi a prendere fiato. Senza permetterci di prendere fiato.

E se cerchi di prenderlo, se cerchi l’aria, ecco ti arriva la zaffata del mare, l’odore del pesce crudo che Adriana mette in bocca selvaggiamente sotto gli occhi esterrefatti della sorella, della povertà e della crudezza della vita in quel lembo di terra, in questa Pescara che la protagonista sembra cercare di fuggire incessantemente, mentre al contrario non riesce a starne lontano, non riesce a tagliare i ponti con le proprie radici e il luogo, in particolare, dove vive la sorella.

Mi trovavo non cosí lontano da casa mia, eppure era tutto diverso, un mondo a parte. Di avevolasciato un piccolo libro aperto sulle poesie che amavo, un seminario da preparare, un ordinestabilito; qui, dove Adriana mi aveva portato, la vita sembrava piú vera, scandalosa e pulsante. Ne ero attratta e spaventata allo stesso tempo. Pag 69/70

Non si può sfuggire al richiamo della terra, delle radici, al richiamo del sangue e della propria famiglia, per quanto male possa aver fatto, e fare, una famiglia dove l’amore non riesce a trovare una strada per farsi sentire. Dove genitori e figli si rincorrono rabbiosi gli uni gli altri in una fame continua d’amore, sempre reciprocamente delusa, e ciò che esce da questa eterna sconfitta è però la sorellanza, legame anch’esso a tratti ambivalente, tuttavia assolutamente indissolubile fra le due giovani donne, diverse come il giorno e la notte, l’una che vive di regole e supposte sicurezze, l’altra che vive nelle proprie anarchie, ma strette l’una all’altra come fili della stessa trama.

Con Adriana almeno eravamo pari, abbandonate a noi stesse, sole nel mondo, sorelle. Litigavamo per la radio accesa mentre studiavo, la finestra che lei voleva aperta e io chiusa, i suoi orari di rientro. Per ognuna di noi restava la certezza dell’altra al fondo del dolore che non ci siamo mai confessate. (Pag. 47)

L’Arminuta studia, si sposa presto, fa carriera nell’insegnamento, un matrimonio che pare perfetto,una vita che pare perfetta, ma in realtà nasconde la stessa solitudine, lo stesso ABBANDONO della sorella, la cui vita invece è come le montagne russe, dove non c’è pace, ma solo sete continua di emozioni.

Adriana, che nemmeno si chiedeva se fosse il caso di tornarsene a casa. Sembrava un’orfana. Lo ero piú di lei, ma sapevo nascondere ciò che era mancato. Contrabbandavo una falsa normalità. Mi sono legata a Piero a venticinque anni, non troppo giovane, ma conoscevo cosí poco di me. Certe domeniche d’inverno io e lui non avevamo nemmeno voglia di alzarci dal divano e uscire per le vie della città. Le nostre solitudini affiancate ci scaldavano fino alle ossa. (Pag. 43)

È il bambino che nasce ad Adriana a mitigare almeno un poco la sua fame spasmodica di vita e di amore, ma non riesce a colmarla, non può fermare il suo vagabondare, far tacere il suo doloreinteriore, che la donna nasconde nei vestiti colorati, nei gesti impulsivi, nel suo moto perpetuo.

Una storia femminile, dove gli uomini sono sullo sfondo. Rafael, il pescatore, l’uomo “perso”, bello e dannato, che Adriana ama per tutta una vita, e non sappiamo mai veramente quanta parte abbia nelle sue vicende, compresa l’ultima, grave, ineluttabile. E c’è Piero, il marito della protagonista, il marito perfetto, di buona famiglia, dentista affermato, che però nasconde dietro l’asetticità nel lavoro, come nella vita, una solitudine non molto dissimile da quella delle due sorelle, e, non ultimo, un tormentato segreto.

Perché i propri fantasmi bisogna guardarli in faccia per trovare pace.

E in ogni caso, sembra dire la protagonista, all’abbandono non c’è soluzione che non sia, alla fin fine, una sorta di sopravvivenza:

Con mia sorella ho spartito un’eredità di parole non dette, gesti omessi, cure negate. E rare, improvvise attenzioni. Siamo state figlie di nessuna madre. Siamo ancora, come sempre, due scappate di casa. (Pag.88)

A cura di Sara Zanferrari

 poesiedisaraz.wordpress

 

Donatella Di Pietrantonio


vive a Penne, in Abruzzo, dove esercita la professione di dentista pediatrico. Ha esordito con il romanzo Mia madre è un fiume (Elliot 2011, Premio Tropea). Con L’Arminuta (Einaudi 2017, tradotto in piú di 25 paesi) ha vinto numerosi premi, tra cui il Premio Campiello, il Premio Napoli e il Premio Alassio. Per Einaudi ha pubblicato anche Bella mia(prima edizione Elliot 2014), con cui ha partecipato al Premio Strega 2014 e ha vinto il Premio Brancati.

 

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