Casa di foglie




Recensione di Francesco Morra


Autore: Mark Z. Danielewski

Traduzione: Sara Reggiani e Leonardo Taiuti

Editore: 66th and 2nd

Genere: Horror

Pagine: 723

Anno di pubblicazione: 2019

Sinossi. Quando la prima edizione di “Casa di foglie” iniziò a circolare negli Stati Uniti, affiorando a poco a poco su Internet, nessuno avrebbe potuto immaginare il seguito di appassionati che avrebbe raccolto. All’inizio tra i più giovani – musicisti, tatuatori, programmatori, ecologisti, drogati di adrenalina -, poi presso un pubblico sempre più ampio. Finché Stephen King, in una conversazione pubblicata sul «New York Times Magazine», non indicò “Casa di foglie” come il Moby Dick del genere horror. Un horror letterario che si tramuta in un attacco al concetto stesso di «narrazione». Qualcun altro l’ha definita una storia d’amore scritta da un semiologo, un mosaico narrativo in bilico tra la suspense e un onirico viaggio nel subconscio. O ancora: una bizzarra invenzione à la Pynchon, pervasa dall’ossessione linguistica di Nabokov e mutevole come un borgesiano labirinto dell’irrealtà. Impossibile inquadrare in una formula l’inquietante debutto di Mark Z. Danielewski, o anche solo provare a ricostruirne la trama, punteggiata di citazioni, digressioni erudite, immagini e appendici. La storia ruota intorno a un misterioso manoscritto rinvenuto in un baule dopo la morte del suo estensore, l’anziano Zampanò, e consiste nell’esplorazione di un film di culto girato nella casa stregata di Ash Tree Lane in cui viveva la famiglia del regista, Will Navidson, premio Pulitzer per la fotografia, che finirà per svelare un abisso senza fine, spalancato su una tenebra senziente e ferina, capace di inghiottire chiunque osi disturbarla.

Recensione

Questo non è per te

Tutti coloro che amano la lettura hanno sentito o gli è arrivato all’orecchio di un romanzo horror particolare, intitolato “Casa di foglie” di Mark Z. Danielewski, uscito negli States nel 2000 e pubblicato in pochi esemplari nel 2005 da Mondadori. La scarsa tiratura dell’edizione italiana lo ha fatto divenire vero oggetto di culto dei biblofili e collezionisti. Moltissimi sono andati a caccia per mercatini e in ogni dove per possedere la propria copia di questo famigerato libro. Ebbene, nel 2019, la casa editrice 66th and 2nd ha avuto il merito di ripubblicarlo e farlo ritradurre a Sara Reggiani e Leonardo Taiuti, ciò ha permesso a chi vorrà di confrontarsi con un libro divenuto un vero caso letterario.

E’ stato doveroso iniziare con questa piccola introduzione, perché la difficoltà nel reperire il libro ne ha ammantato di misteri il contenuto, visto anche la pigrizia di molti lettori nel recuperarlo in edizione originale di lingua inglese.

Casa di foglie di Zampanò introduzione e note di Johnny Truant , il titolo completo e piccolo indizio del gioco di stratificazione che la lettura di questo romanzo impone a chi scorrere le sue pagine. Casa di foglie è un manoscritto che contiene un  saggio critico ad opera del signor Zampanò su un documentario di Wil Navidson. Saggio corredato da una vastissima bibliografia. Tutto ciò recuperato da Johnny Truant. Indi il testo che si ha difronte è un insieme di varie narrazioni e oltre al testo saggistico si trovano note sia di Zampanò che di Truant. Tutto ciò implica una certa difficoltà o meglio richiede una attenzione del lettore perché Truant, Zampanò e Navidson sono esigenti…

Romanzo dell’orrore , certo in queste pagine si descrive come Navidson con il proprio documentario filmi la sua esperienza e di chi gli è vicino, esplora antri bui labirintici e claustrofobici della sua abitazione Ash Tree Lane. Appena trasferitosi, lui fotoreporter vincitore del premio Pulitzer, nella sua nuova casa con la famiglia e per rimettere in sesto il proprio matrimonio, scopre prima una intercapedine apertasi all’improvviso e poi una porta che dà su un corridoio che rimanda in antri bui labirintici che si modificano in lunghezza, larghezza e disposizione spaziale…

Angoscia, paura, terrore permeano le pagine e sconquassano il lettore, coinvolgendolo dalla prima all’ultima pagina.

Forse aveva ragione. Mettetevi in salvo

Zampanò, ci racconta tutto ciò, introducendo numerosissimi studi critici e interviste che setacciano il famoso documentario. Il Truant, invece scorrendo le pagine avrà una evoluzione del proprio io facendosi condizionare dal libro che lo porterà ad accentuare le proprie nevrosi che avranno una “giustificazione” nell’appendice. Si non bastano tre io narranti: Zampanò, Navidson e Truant ma a questi si aggiungono oltre ai saggi pure il racconto della madre di Johnny.

La trama, ha una architettura ambiziosa e originale che grazie alla maestria di Danielewski non ha punti di caduta. Troviamo pagine e pagine di note, citazioni a libri che lo stesso Truant ci dice che Zampanò si è inventato, oppure un corposo epistolario della madre di Truant, per passare a poesie, oltre al già citato vero e proprio torrente di citazioni. Questo per dire che è sì un romanzo horror. Si ha angoscia ma qui l’autore riesce a modellare ed a piegare ai propri fini tutte le forme espressive letterarie.

Danielewski, gioca con noi, si e ci interroga e riflette su cosa sia vero e sull’autenticità.  Zampanò è cieco come ha potuto vedere un documentario? Le note e la bibliografia dell’anziano non vedente è anch’essa una pura invenzione. Allora  esistono davvero: il documentario? La casa in Virginia dai recessi labirintici? E Truant, giovane aiuto di un tatuatore cosa ha trovato e ricostruito?

Non so più cos’è reale e cosa no. Cosa mi sono inventato e cosa ha inventato me

Casa di foglie, è definito esempio per eccellenza della letteratura ergodica, un testo dove viene richiesto uno sforzo e applicazione di decodifica da parte del fruitore per assimilarne i contenuti.  Ed è proprio così per questo romanzo, sia per la stratificazione di generi presenti, di cui quello horror è il preponderante che asserve gli altri, sia per la presenza di svariati io narranti, sia per le scelte grafiche (molti brani sono impaginati in modo originale, a dir poco…) dell’oggetto libro. Inoltre l’esegesi del romanzo non può esaurirsi in una sola lettura ma lascia aperte a svariate interpretazioni. Un libro da rileggere molte volte e attentamente trovando sempre nuovi spunti lasciandosi avvincere dal poderoso talento dello scrittore statunitense.

Una lettura appagante che crea profondo turbamento, niente è scontato, Danielewski ricorda il David Foster Wallace di Infinite Jest e l’Alan Moore di Jerusalem. Un libro che raccoglie il meglio della tradizione letteraria novecentesca e lo coniuga con il postmodernismo per arrivare a travalicare quest’ultimo.

Lo scrittore americano lancia un sasso nell’anima di ognuno di noi.

A cura di Francesco Morra

www.youtube.com/user/Vetriera

 

Mark Z. Danielewski


nato a New York nel 1966. Il suo primo romanzo Casa di foglie, pubblicato per la prima volta in America nel 2000, premiato con il Young Lions Fiction Award è considerato il capolavoro della letteratura ergodica. Tra le altre opere dell’autore, Only Revolutions (2006), finalista al National Book Award, e il romanzo seriale The Familiar, di cui sono usciti cinque volumi tra il 2015 e il 2017. Di prossima pubblicazione il suo libro per bambini The Little Blue Kite.

 

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