Croce del Sud




Recensione di Cristina Bruno


Autore: Claudio Magris

Editore: Mondadori

Genere: Narrativa contemporanea

Pagine: 132

Anno di pubblicazione: 2020

Sinossi. Sin dal suo primo racconto, “Illazioni su una sciabola”, Claudio Magris è affascinato dalla sconcertante creatività della realtà, spesso più fantastica e imprevedibile della finzione. Fedele a questa poetica, nelle tre vite di “Croce del Sud”, più vere e improbabili che mai, l’autore si mette sulle tracce di tre destini nei quali la bizzarria, l’avventura, la generosità si spingono oltre i limiti del credibile. Tre storie che si svolgono nel “mondo alla fine del mondo” – direbbe Sepúlveda – tra Patagonia e Araucania, in paesaggi di affascinante e inquietante bellezza, ma anche di devastanti barbarie che i tre stravaganti personaggi sfidano ognuno a suo modo, senza schemi ideologici, difendendo quelle terre divenute loro patria e le genti vinte e perseguitate che le abitano. L’antropologo e linguista Janez Benigar, avventuriero, gaucho e uomo di famiglia, divenuto araucano e patagone senza mai dimenticare la sua patria slovena, geniale e balzano studioso di lingue e civiltà perdute e architetto di comunità utopiche. Il folle avvocato francese Orélie-Antoine de Tounens che si proclama re di Araucania, un regno che non c’è, in un melodrammatico vaudeville che diventa grottesca, tragica e nobile battaglia per la libertà. La monferrina Suor Angela Vallese, che con femminile coraggio, concretezza e spirito d’avventura dedica la sua intera esistenza agli indigeni sfruttati e massacrati della Terra del Fuoco. Quest’ultima storia si spalanca su un paesaggio inumano, gelo antartico, tempeste di venti solari e vuoto: abisso cosmico che risucchia nel nulla.

Recensione

Tre vite, tre avventure in luoghi lontani dal nostro quotidiano. Cosa attrae, con un senso di ineluttabilità, verso una geografia così vicina alla fine del mondo tre persone tanto diverse tra loro?

Il primo che incontriamo è Janez Benigar, un gringo partito con una nave da Trieste e giunto in Argentina scapolo. Sloveno nato a Zagabria trova l’amore in terra araucana. Avrà sedici figli, dodici dalla prima moglie e, rimasto vedovo, quattro dalla seconda. Patagonia e Araucania saranno la sua nuova e amata patria, ne amerà i nativi e fonderà una piccola azienda tessile familiare. Studierà lingua, usi e costumi delle popolazioni locali, in particolare i Mapuche, appassionandosi al loro modo di vita e alle loro credenze tanto da guadagnarsi il soprannome di “el Sabio europeo”.

Il secondo ritratto è quello di Orélie-Antoine de Tounens procuratore legale a Périgueux in Francia, che nel 1860 dichiara la nascita del regno di Araucania di cui si proclama re. Un regno dai confini vaghi, popolato per lo più dai Mapuche con i quali aveva condiviso l’esistenza Benigar. I Mapuche sono un popolo valoroso legato alla terra ma dedito anche alla caccia e abile nella guerra. La libertà è il loro valore principale. E l’idea romanticheggiante di Tounens è proprio quella di dare loro un regno e una sorta di indipendenza da Cile e Argentina che li soverchiavano. Voleva trasformarli da colonia a Stato libero e retto dagli Indios. Giunto nel suo piccolo Regno, redige una Costituzione, cerca alleati tra le comunità araucane e inizia la sua avventura che finirà poco felicemente prima in un manicomio cileno e poi in un esilio nella natia Francia. Seguiranno altri disastrosi tentativi di recuperare il potere perduto fino alla morte per una grave malattia.

Il terzo personaggio è una donna, suor Angela Vallese che consacra la sua vita alla Chiesa e ai popoli della Terra del Fuoco, così lontana dal Monferrato che l’ha vista nascere. Il suo abito monacale ricorda ai nativi il colore dei pinguini, mentre lei vede il loro vestire simile a quello di Giovanni Battista. L’opera di Angela e delle sue consorelle è instancabile e dimostra forza e passione, fede e determinazione nel portare a chi soffre non solo messaggi di consolazione ma anche opere concrete per trovare cibo, coperte, medicinali.

La lettura è breve ma densa di significati e di citazioni. Tra le pagine si rincorrono Verne, Conan Doyle, Poe, Lovecraft, Lucrezio, Melville, Mann, tanto per citarne alcuni, e parole inseguono parole alla ricerca di un senso del vero eternamente sfuggente. Popoli ai confini del mondo conosciuto, in un Ottocento ormai lontano, popoli dimenticati che tre personaggi, diversi tra loro per origine e cultura, hanno cercato a loro modo di aiutare, di estrarre dall’oblio dando loro conforto, studiandone le tradizioni e la lingua, spronandoli alla ricerca di un’effimera indipendenza.

E dietro a Janez, Orélie-Antoine e Angela ci sono proprio loro, i popoli della Patagonia, veri protagonisti della narrazione, i dimenticati che trovano finalmente una voce.

A cura di Cristina Bruno

http://fabulaeintreccio.blogspot.com

Claudio Magris


(Trieste, 139) scrittore, germanista e senatore italiano (nella XII Legislatura). Ha insegnato letteratura tedesca prima presso l’Università di Torino, poi presso quella di Trieste. È stato fra i primi a rivalutare il filone letterario di matrice ebraica all’interno della letteratura mitteleuropea con Lontano da dove, Joseph Roth e la tradizione ebraico-orientale (1971). Danubio (1986) lo consacra come uno dei massimi scrittori italiani contemporanei. Con questo libro vince il Premio Bagutta nel 1986 e successivamente il Premio Strega nel 1997 con il romanzo Microcosmi. Scrive inoltre per il «Corriere della Sera». Magris è anche autore di teatro, per il quale ha scritto Stadelmann (1988), La mostra (2001) e il monologo Lei dunque capirà (2006). Nel corso degli anni ha vinto numerosi premi sia per le sue opere letterarie che per i suoi saggi. Nel 2019 gli viene attribuito il Premio Napoli “Scrittori per l’Europa”.

 

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