Fumo e cenere




Recensione di Francesca Mogavero


Autore: Abir Mukherjee

Traduzione: Alfredo Colitto

Editore: SEM

Pagine: 297

Genere: Thriller

Anno di pubblicazione: 2020

Sinossi. Calcutta 1921. Tormentato dai ricordi dolorosi legati alla guerra mondiale e alla morte della sua giovane moglie, il capitano Sam Wyndham sta cercando di contrastare la grave dipendenza dall’oppio, che deve comunque tenere segreta perché potrebbe costargli la carriera. Ma è proprio in una fumeria d’oppio che, per sfuggire a un’incursione della polizia, incappa nel cadavere sfigurato di uno sconosciuto, ucciso a coltellate. Il tipo di pugnale utilizzato e le ferite sul corpo dell’uomo fanno pensare a un omicidio rituale. È il primo di una serie di morti misteriose, tutte con caratteristiche simili, ma apparentemente slegate l’una dall’altra e avvenute in diverse zone della città. In una caccia all’uomo senza quartiere in cui è aiutato dal suo fidato assistente indiano, l’abile e astuto sergente Banerjee, Sam deve fare di tutto perché l’assassino non colpisca ancora. Tutto questo sullo sfondo di un mondo in fermento, in cui i nazionalisti sono sul piede di guerra per protestare contro l’arrivo del principe di Galles e le spinte all’indipendenza dall’Impero britannico sono sempre più sentite. Un thriller affascinante, una città dal potere ipnotico, la capacità straordinaria di intrecciare suspense, introspezione, e una grande fluidità narrativa.

Recensione


Il punto di vista: esiste qualcosa di più diabolico?

Una buona lettura ti rende migliore, regala nuove conoscenze e contenuti, spalanca abbaini e ampie porte finestre verso mondi nuovi. Leggendo Fumo e cenere, invece, ho iniziato a dubitare di me stessa e ho valutato seriamente l’ipotesi di non essere, in fin dei conti, una così brava persona (ma questo i miei amici più stretti lo sanno già, e da parecchio tempo).

Sam Wyndham, capitano della polizia a Lal Bazar, nella Calcutta degli anni 20, è inglese fino al midollo e, in quanto tale, ci offre l’inedita e irresistibilmente, cinicamente simpatica prospettiva del colonialista: il movimento di non cooperazione?

Un modo di lottare che ha dell’incredibile. Gandhi?

Un personaggio di cui tanto si parla e che tanto promette (l’indipendenza dell’India entro la fine dell’anno?

Figuriamoci!), ma che sulla scena latita. Le proteste, il rogo, tanto innocuo quanto consumistico, dei vestiti occidentali? Una seccatura, specialmente se sua altezza Edoardo, il principe di Galles, è in arrivo, l’astinenza da oppio si fa sentire e in città si consumano delitti dall’apparenza rituale.

Difficile empatizzare con un simile protagonista, reduce della Grande Guerra e con ferite altrettanto grandi e irrisolte, tossicodipendente e ironico nei momenti sbagliati, vero? Tutt’altro… Et excrucior, per dirla alla Catullo.

È il potere conturbante (e allettante) della prospettiva ritratta con precisione, verosimiglianza e mefistofelica umanità. Ciò che fa Abir Mukherjee, insomma.

Prima di bollarmi come una convinta ed entusiasta suddita della regina Vittoria e della sua dinastia, lasciatemi aggiungere che la faccenda, in realtà, non è così semplice.

Il nostro Sam è sì un figlio dell’impero un figlio maltrattato, a dirla tutta, gettato in trincea assieme a migliaia di altri giovani in nome del re e della patria ma è un osservatore e un ascoltatore attento, un pensatore non sempre assennato, ma libero: rispetta e ammira Chitta-RanjanDas, avvocato dell’Alta Corte e principale luogotenente del Mahatma in Bengala, sa che il nuovo secolo avanza a lunghe falcate, inghiottendo il vecchio mondo, e ne sorride.

Così il fumo della pipa che ottunde i sensi può essere soffiato via e la cenere di fasti ammuffiti, di politiche e leggi superate dispersa nel fiume Hooghly.

E si compie il miracolo: giunta alla parola fine non mi sento poi così cattiva, non troppo, almeno, ma con qualcosa in più nel mio bagaglio: ogni storia, grande e piccola, ha più campane, e questo giovane e valido autore mi ha dato l’opportunità di ascoltarle tutte e tutte insieme, in un concerto non così dissonante, su un palcoscenico in cui i ruoli possono scambiarsi in modo repentino e imprevisto, lasciando, dopo la lotta e la pace, dopo eclatanti e invisibili gesti di eroismo, solo un senso di fratellanza, di sincretismo, di comprensione e vicinanza.

 

A cura di Francesca Mogavero

 

Abir Mukherjee


giovane autore scozzese di origine indiane, è ritenuto “l’astro nascente del romanzo giallo storico” dal “The Times”. Ha scalato le classifiche con la serie di gialli ambientati nell’India degli anni Venti. Con SEM ha già pubblicato L’uomo di Calcutta (2018) e Un male necessario (2019).

 

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