Il cervello di Kennedy




Recensione di Emanuele Bavetti


Autore: Henning Mankell

Editore: Mondadori

Pagine: 330

Genere: Thriller

Anno Pubblicazione: 2005

Da diversi giorni Henrik Cantor non risponde al telefono.
Quando sua madre Louise giunge finalmente al suo appartamento, dopo un viaggio dalla Grecia segnato da una sottile angoscia, trova il cadavere del ragazzo riverso sul letto.
Tutte le tracce, a cominciare dai sedativi trovati nel sangue di Henrik, fanno pensare a un suicidio, ed è con questa conclusione che la polizia archivia il caso.

Louise, tuttavia, rifiuta di credere che suo figlio si sia tolto la vita: nonostante le ricerche archeologiche di cui si occupa l’abbiano tenuta a lungo lontana dalla Svezia, è convinta che Henrik non avrebbe mai commesso un gesto del genere.

Insieme all’ex marito Aron, che aveva abbandonato la famiglia poco dopo la nascita del bambino, comincia così un’indagine sulla vita di Henrik, della quale entrambi capiscono presto non sapere realmente nulla: tra le carte del ragazzo ritrova un minuzioso dossier sulla presunta sparizione del cervello del presidente Kennedy dopo l’attentato di Dallas, testimonianze di innumerevoli viaggi all’estero e un’enigmatica lettera da parte di una fidanzata di cui nessuno dei due conosceva l’esistenza. Louise e Aron si lanceranno così sulle tracce lasciate dal figlio fino all’Africa, scoprendone i legami con il mondo corrotto e spietato creatosi intorno alla tragedia dell’AIDS: affaristi senza scrupoli che commerciano in sangue infetto, ricercatori che compiono esperimenti illegali per trovare un vaccino, contrabbandieri di farmaci retrovirali.

Ho terminato da pochi minuti il libro di Henning Mankell.
E’ il primo libro che leggo di questo autore, conosciuto per il famoso “Commissario Wallander”, e devo dire che mi ha lasciato un po’ con l’amaro in bocca.
La partenza un po’ lenta non mi è dispiaciuta, tipica degli scrittori nordici che amano scrivere con calma, ma poi il ritmo cambia.

Il susseguirsi degli eventi trasforma il libro in un giallo avvincente, una sorta di caccia internazionale che porta la protagonista, Louise Cantor, a viaggiare ai quattro angoli del pianeta per inseguire una verità scomoda, che non può accettare.
Una verità che non riesce ad affrontare e che richiede uno sforzo immane ogni volta che un ostacolo le si pone davanti.

Un viaggio che scende nell’abisso dell’umanità, dove si può toccare con mano la sofferenza che lo stesso autore ha provato e che l’ha spinto a scrivere questo libro.
Un romanzo che cerca di far aprire gli occhi al lettore, posto di fronte alle tragedie umane.

Un romanzo denuncia, che però lascia l’amaro in bocca per un finale che non c’è.
Forse però è un finale reale, in un mondo dove spesso l’ultima parola non è quella che ci aspettiamo.
Dove la verità rimane nascosta sottoterra, in luoghi dove non tutti possono arrivare.
Rimango ora curioso di leggere altri libri di Mankell, perché lo stile mi è piaciuto, è coinvolgente e mai banale, solo spero che i finali siano un poco più netti, con meno puntini di sospensione…

Henning Mankell


Viveva tra la Svezia e il Mozambico, dove a Maputo dirigeva il teatro Avenida. È l’autore della fortunatissima serie del commissario Wallander, pubblicata in molti paesi. Tra i riconoscimenti internazionali al suo lavoro, ricordiamo The Academy of Swedish Crime Writers’ prize per Faceless Killers (1991); Scandinavian Crime Society prize, The Glass key, per Faceless Killers (1991); The Academy of Swedish Crime Writers’ prize per Sidetracked (1995); the British Crime Writers’ Association prize, the Golden Dagger, per Sidetracked (2001).