Il poeta




Recensione di Loredana Cescutti


Autore: Michael Connelly

Traduzione: Gianni Montanari

Editore: Piemme

Genere: Thriller

Pagine: 537

Anno di pubblicazione: 2013

Sinossi. “La morte è il mio mestiere, ci guadagno da vivere, ci costruisco la mia reputazione professionale. Io tratto la morte con la passione e la precisione di un becchino…”.

Protagonista di questo thriller è un giornalista di Denver, specializzato nel raccontare storie a largo respiro: un killer uccide ragazzi in diverse città degli Stati Uniti. I poliziotti che indagano poco dopo si suicidano. Il fratello gemello di uno di questi non vuole ammettere che suo fratello si sia ucciso. Così, attraverso qualche indagine e facendo alcuni collegamenti, dimostra alla polizia che per la città si aggira un assassino abilissimo. Il killer è chiamato Il Poeta perché fa scrivere alle sue vittime uno o due versi di Edgar Allan Poe.

Recensione

“Per un cammino oscuro e solitario,

Infestato soltanto da angeli del male,

Dove un Idolo che Notte è chiamato,

Regna impettito sopra un trono nero,

A queste terre son giunto or non è molto

Da un’estrema oscura Tule,

Da una selvaggia contrada fatale

Che s’estende, sublime,

Fuori dal Tempo, fuori dallo Spazio.”

(Tratto da “Terra di sogno” – Edgar Allan Poe)

Chi avrebbe mai pensato che un acquisto fatto nel tabacchino di una città balneare come tante avrebbe potuto trasformarsi in amore assoluto dalla prima pagina in poi per lo stile narrativo così coinvolgente di questo autore!

Doveva essere una lettura di ripiego, utile a tamponare il fatto di aver terminato i libri che avevo messo in valigia e invece, eccomi qui dopo tanti anni a ritrovarmi a leggere di nuovo per me, e ora anche per voi, questa meraviglia, con occhi diversi e sicuramente pronti a cogliere ulteriori particolari tralasciati in precedenza.

Due fratelli gemelli: uno è un giornalista di nera, l’altro è un agente di polizia. Il primo è vivo, il secondo si è suicidato.

Morto in auto con un colpo di pistola e con vicino un biglietto dal testo apparentemente senza senso.

“Ho sempre pensato che il segreto nel trattare con la morte consistesse nel tenerla a debita distanza. Questa era la regola: mai permetterle di avvicinarsi sino a sentirne il fiato sul collo.”

Questo almeno era quello che aveva sempre creduto Jack McEvoy prima che il suo gemello Sean prendesse una simile decisione, lasciando lui dall’altra parte, e cioè come un parente incredulo per la perdita subita e che non sa come affrontare la situazione.

A questo punto, per cercare di superare il lutto, la sola cosa che ritiene di poter fare sarà mettere in campo le sue conoscenze usando l’unica arma a sua disposizione, ovvero la scrittura. Decide perciò di portare avanti un’inchiesta giornalistica su un fenomeno alquanto scottante e purtroppo molto diffuso, ovvero il “Police Blues”. Sì, perché il gesto compiuto da suo fratello non è una rarità fra i poliziotti americani.

Ripercorrendo a ritroso gli ultimi mesi di vita del suo gemello scoprirà che molto probabilmente Sean aveva avuto più di qualche motivo per decidere di prendere una scelta così definitiva. Purtroppo alcune indagini ti si attaccano addosso e non è sufficiente timbrare il cartellino, tornare a casa e dormirci sopra.

Un brutto caso, uno di quelli che ti provocano gli incubi, che ti si insinuano dentro la testa tanto da non lasciarti neanche un attimo di pace, così invadenti da impedirti di vivere anche al di fuori del lavoro. Un tarlo che ti divora lentamente dall’interno giorno dopo giorno, fino a convincerti che l’unica soluzione per trovare un po’ di pace sia farla finita.

Jack si mette al lavoro e inizia a fare la sua ricerca. È dotato di buon fiuto per le storie ed è sempre meticoloso nelle sue ricerche, anche perché lui normalmente si occupa di reportage per cui non ha tempi da rispettare, basta che il lavoro sia fatto bene.

Proprio in questo modo inizia ad accorgersi che vi sono alcune analogie fra il caso di suo fratello e quelli di altri poliziotti sparsi nei vari stati americani. Morti apparentemente come suicidi, con un biglietto accanto dal senso incomprensibile e tutti tormentati da un’indagine brutale e mai risolta.

La svolta però avviene quando si rende conto che le frasi incomprensibili sono tutte collegate fra di loro, poiché non sono altro che versi tratti dalle poesie di Edgar Allan Poe.

“La febbre che chiamano vita è infine sconfitta.”

Da questo punto in poi la macchina investigativa si metterà in moto, ma non sarà solo quella giornalistica, bensì arriverà l’FBI a prendere il comando e questo potrebbe essere un bene o un male, a seconda dei punti di vista. Jack è il fratello di una vittima, ma è anche un giornalista e non accetterà di farsi da parte. La collaborazione con la squadra e con l’agente incaricata delle indagini, Rachel Walling, sarà complicata e se rimarrà in piedi sarà solo per interesse dei vari soggetti coinvolti.

Ciò di cui si verrà a conoscenza da qui in poi potrà risultare agghiacciante oltre ogni misura al lettore, poiché assisteremo a un gioco perverso da parte di quello che verrà denominato “Poeta” per i versi lasciati accanto alle vittime. Morti sanguinarie e truci nel mondo dell’infanzia e suicidi simulati fra le forze dell’ordine, tutto meticolosamente organizzato, pianificato, eseguito.

La crudeltà della mente di alcuni uomini non ha limiti, nello stesso modo in cui per tanti altri risulta difficile farsi scivolare di dosso tutto il dolore e superare certe immagini.

Lo stile narrativo con cui è scritto il libro accresce la voglia di leggere; le voci narranti sono due, quella del giornalista e quella dell’assassino. In questo modo l’empatia diventa a mio avviso più forte, ti senti più partecipe, soprattutto nei confronti di Jack che è l’eroe buono della storia. Di conseguenza leggendo con i suoi occhi avverti il dolore che lo spinge a proseguire nell’indagine per dare giustizia a suo fratello.

Sarà un giocare al gatto col topo, solo in modo un po’ più pericoloso e sanguinario, una caccia decisa saltando di Stato in Stato per cercare tracce, ma anche trovandosi di fronte a qualche depistaggio. Quando però tutto apparirà chiaro e sarà il momento di catturare la preda, lo spettacolo finale verrà messo in scena.

I fatti saranno svelati, la paura lascerà spazio alla pace ma… sarà veramente tutto finito?

Secondo me rimarrete molto sorpresi, perché questo è un libro dove nulla o quasi è come te lo aspetti, e dopo essere arrivati all’ultima pagina tirerete un sospiro di sollievo, o almeno questo è ciò che crederete.

Quello che scoprirete vi lascerà basiti e sconvolti, ma se scoccherà la scintilla com’è accaduto a me, vi basterà leggere questo libro per poi diventare dipendenti da Michael Connelly.

“Chi combatte con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E se guarderai a lungo nell’abisso, l’abisso guarderà dentro di te.” (Friedrich Nietzsche)

Se non l’avete ancora fatto, leggetelo!

Michael Connelly


Michael Connelly: Nato a Philadelfia, il 21 luglio 1956 è uno dei più famosi scrittori di Thriller statunitense. Autore di molteplici successi, da uno di essi “Delitto di Sangue” è stato anche tratto un film diretto ed interpretato da Clint Eastwood. Ha scritto molti libri aventi come protagonista Harry Bosch oltre ad alcuni con l’avvocato Mickey Haller. Per entrambi i personaggi sono state realizzate delle serie tv.

 

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