Intervista a Daria Lucca




A tu per tu con l’autore


 

Amanda Garrone è un personaggio particolare, ben strutturato, con alti e bassi come tutte le persone normali, ma ha un carattere forte e determinato. E’ completamente di fantasia oppure la tua professione di giornalista ti ha portato a conoscere investigatrici che ti hanno ispirato per la costruzione di questa detective?

Può sembrare paradossale ma gli aspetti di Amanda che corrispondono a figure reali di poliziotte non sono quelli professionali. Ho conosciuto investigatrici, e aggiungo anche avvocate e magistrate, che hanno fatto scelte di vita personali ben lontane da certi stereotipi sulla famiglia e la maternità. La prima cosa che mi piace di Amanda è il conflitto pacato con la propria figlia, il rapporto materno che ha instaurato con la figlia del suo nuovo compagno, l’accettazione dei suoi fallimenti come modello femminile di riferimento. Se invece ti riferisci alle sue qualità professionali, direi che sono piuttosto il frutto di ciò che ho letto nelle varie inchieste di cui mi sono occupata, mentre i difetti, ecco, quelli sono del tutto costruiti sulla carta.

E’ successo che scrivendo il tuo libro la personalità di Amanda Garrone si sia imposta e abbia disegnato comportamenti e linee di pensiero? Oppure hai progettato la trama sin dall’inizio?

Prima di cominciare, butto giù un canovaccio, le grandi linee della storia. Poi si parte e, prima di addentrarmi troppo nei dettagli della scrittura, lavoro a perfezionare il plot. Quello che ti frega, quando scrivi, è la comparsa di nuovi personaggi che portano nuove situazioni. Allora che fai? Butti via tutto, torni alla trama originaria o accetti le sfide? Lì Amanda prende a volte il sopravvento, impone le sue decisioni che magari non sarebbero le mie. Io non sono capace di scelte drastiche come le sue, tenendo conto delle potenziali conseguenze. Ma è anche vero che io non mi sono mai trovata nelle sue scarpe. E poi ogni tanto tendo a rivoltare la famosa frittata del romanziere: far muovere il personaggio come se fossi tu. Giusto, ma alla fine io mi domando se sia meglio che Amanda faccia quello che farei io, codarda e indecisa su tutto, o quello che sognerei di fare. Che è tutta un’altra storia. Se questo significa che Amanda prende il comando, allora sì, lo prende e mi sorpassa.

Nei tuoi romanzi l’ambientazione è molto importante. “Distanza di sicurezza” ha come habitat i Castelli Romani ed è splendida la descrizione di Lanuvio e dintorni nella presentazione, “La mossa dell’impiccato” è ambientato a Siena mentre “Morte sottovento” si svolge a Santa Margherita Ligure e nel Golfo del Tigullio. Parallelamente all’indagine sui reati si svolge anche un’attenta analisi dell’ambiente sociale ed umano che valorizza la trama gialla e la rende di grande interesse anche per chi ha una tiepida attrazione per il noir. E’ stata una scelta ben precisa sin dall’inizio del tuo progetto narrativo?

Grazie della domanda, che mi permette di dilungarmi un po’ su quella che io penso come scena, quando scrivo. La serie di Amanda Garrone fu immaginata in quattro puntate e insieme al personaggio progettai anche le quattro scene. Perché non la scena fissa tipica dei polizieschi con investigatori istituzionali come il detective di Los Angeles, l’anatomo-patologa di Richmond o il vicequestore ad Aosta? Avevo due motivazioni. La prima è che, in Italia, il funzionario di polizia o l’ufficiale dei carabinieri all’inizio della loro carriera, cambiano sede e comando. La seconda era molto meno burocratica. Volevo sfruttare Amanda per descrivere un po’ il paese in cui viviamo. Paese inteso non come il villaggio, il borgo pur magnifico (l’Italia è la nazione con i più bei borghi del mondo), la cittadina. No, proprio l’insieme del paese, per sottolinearne la profondità di campo. Lanuvio fu fondata prima di Roma da genti che forse provenivano dal nord Africa o dall’Asia, Siena ha inchiodati alle pareti del palazzo comunale gli effetti del buon governo nei secoli della rinascita, il levante ligure rimanda a una tradizione marinara che forse andrebbe rilanciata, e via di questo passo. Adoro l’Italia e volevo che la si ritrovasse nelle sue infinite facce. Il cambio di scena mi serviva anche per raccontare le infine varietà dei crimini che vi sono stati compiuti, oggi e anche prima. Distanza di sicurezza mette sullo sfondo un uso quasi feudale del corpo delle donne; la Mossa dell’impiccato parte dal malaffare nel mondo bancario e torna indietro fino a certe barbarie compiute durante i cambi di regime, alla fine del ‘700; Morte sottovento si sposta decisamente sull’attualità e porta in Liguria ciò che i liguri non vogliono vedere, cioè la penetrazione della ‘ndrangheta nel loro tessuto sociale. Intendiamoci, non scrivo cronaca. Costruisco fiction ed estremizzo, ovviamente, ma certo sono rimasta colpita che, giusto alla vigilia della pubblicazione di Morte sottovento, il procuratore Gratteri lanciasse il suo grido d’allarme sulle infiltrazioni al nord della mafia calabrese. E’ la colpevole sottovalutazione di un fenomeno decisamente preoccupante di cui pochi si interessano veramente. Di chi sono i capitali che gonfiano la bolla immobiliare di Milano, la capitale morale d’Italia? Eppure quasi dieci anni fa Giuseppe Catozzella con “Alveare” lanciò l’inascoltato allarme sull’espansione delle ‘ndrine in Lombardia e soprattutto a Milano.

Morte sottovento mette bene in evidenza questa tendenza e poi fai anche un’escursione nell’ambito spionistico, ma, un altro motivo di interesse, è la riunione di colleghi e amici che accorrono in aiuto della vicequestrice a dispetto di regole e competenze. Questo team-up era presente anche ne “La mossa dell’impiccato” e devo dire che funziona benissimo. Hai intenzione di utilizzare ancora questi validi aiuti in nuove avventure?

Ecco una caratteristica molto spiccata di Amanda: la sua capacità di fare squadra. E il bello è che lei fa squadra anche con i concorrenti, vale a dire i carabinieri! Certo, il rapporto con il colonnello Nasi ha i suoi alti e bassi, entrambi provano ad anticipare le mosse dell’altro, ma tutto è sempre improntato al reciproco rispetto. Mi sono chiesta la ragione di questa scelta e la risposta sta forse nel mio passato professionale. Io sono cresciuta in una redazione, quella del Manifesto, dove lo spirito di collaborazione era più forte di qualsiasi divergenza politica che pur c’era. Perciò, come dicevi, si arriva alla riunione in casa della collega che ospita Amanda a Santa Margherita, dove convolano tutti i personaggi “buoni” e dove si conclude, a ben vedere, quella che le scuole di scrittura definiscono “la notte prima della battaglia” della protagonista. Persino nei tempi: è mattina presto quando ognuno dei convenuti raggiunge il suo posto di combattimento. Dopo di che, alla prossima avventura parteciperanno quelli che avranno motivo di trovarsi nuovamente in scena.

Quello che colpisce in “Morte sottovento “è l’estrema attualità della trama. Hai messo in evidenza il tema della criminalità organizzata, ma, il tuo libro,  parla anche del traffico di organi, una pratica troppo orrenda per poterla credere possibile, ma purtroppo ben documentata. Un altro aspetto che rende Morte sottovento pienamente immerso nella contemporaneità, è il frequente uso delle più evolute tecnologie da parte degli investigatori. Inoltre in certi passaggi fai riferimento a prassi non ortodosse che, ogni tanto, vengono usate per superare gli ostacoli procedurali. Tutti questi fattori sono espedienti narrativi, oppure hanno un fondo di verità?

Portare al limite le contraddizioni del vivere, o del morire, è ciò che mi interessa. Volevo scrivere una storia che partisse dalla domanda: che cosa saresti disposta a fare per salvare la vita della persona che ami di più al mondo? La risposta non è scontata e per fortuna il mondo ospita anche i buoni, in questo caso i ricercatori che stanno lavorando alacremente per costruire organi umani usando le nuove frontiere offerte dalla tecnologia, perché altrimenti l’orrore dei trafficanti di organi, i cattivi, non cesserebbe mai. D’altro canto, se ci pensi, per gli uomini della ‘ndrangheta vale la stessa domanda, declinata in modo un po’ differente: che cosa sono disposti a fare per mantenere in vita il potere fin qui raggiunto? Perciò, ho cercato di muovermi su quel filo del rasoio che è il confine. Il confine tra buono e cattivo, tra legale e illegale, tra giusto e ingiusto. Sarà poi il lettore a trarre le conclusioni.  Quanto alle tecniche investigative, a forza di sentir parlare di hacker, di trojan nei cellulari, di spionaggio elettronico, ho deciso una cosa: la prossima avventura di Amanda sarà totalmente all’insegna del rifiuto tecnologico. Si torna a consumare la suola delle scarpe.

Il tuo amore per i cani è testimoniato anche dal personaggio di Gaston “un Hovawart fatto e sputato” segugio che si inserisce perfettamente nella squadra investigativa creata da Amanda e che consente di fare un paragone con l’istinto per la caccia della vicequestrice che intuisce tracce importanti dove altri vedono solo fatti slegati. Il suo metodo d’indagine è quello deduttivo oppure quello “dell’intelligenza guidata dall’esperienza” consigliato da Nero Wolfe?

L’importanza di Gaston nella storia è che lui introduce un elemento assente in un investigatore umano: l’istinto animale. Forse perché conosco i cani e in particolare gli hovawart, ma da loro ho imparato che non si può vivere di sola intelligenza. Non che i cani non abbiano intelligenza, al contrario. I cani pensano, lo dicono le più recenti ricerche sul loro comportamento. Però è il loro istinto che ho imparato ad apprezzare e per questo ho deciso di dargli una parte in Morte sottovento. Garrone invece è una funzionaria di polizia e quindi di partenza usa i metodi che le hanno insegnato. Non può evitare di essere deduttiva: se il proiettile è un tipo usato in precedenti reati, se quei reati sono stati commessi da un certo tipo di criminali, allora…Il metodo di Wolfe è fantastico, ma personalmente ho amato Nero soprattutto per la presenza di Archie. A proposito di metodi, ho appena finito di rileggere “Il silenzio degli innocenti”. Qual è la battuta del dottor Lecter che tutti noi ricorderemo per sempre? “All’inizio, desideri quello che vedi”, dice a Clarice e lei da lì riparte per trovare Buffalo Bill. Desiderare quel che si vede non vale solo per i serial killer, vale anche per i boss della ‘ndrangheta. E’ vero che le mafie oramai dispongono delle migliori menti finanziarie per riciclare o ampliare il loro raggio d’azione (non altrimenti si spiega la bolla del Bitcoin alla fine del 2017) ma gli uomini che le comandano non potranno mai fare a meno di “desiderare” l’immobile che vedono tutti i giorni mentre l’autista li scarrozza. Sto divagando, dalla fiction alla realtà, perdonami.

Spesso sono proprio le divagazioni gli aspetti più interessanti delle interviste. L’ultima domanda riguarda gli scrittori di thriller noir. Quali sono i tuoi preferiti e quali sono i gialli, classici ma anche recenti, che ti sono piaciuti di più?

Ho letto e leggo quasi tutti i generi, con una predilezione per le storie aperte, con molti personaggi e molto movimento. Ho finito da poco la trilogia di Don Winslow la storia dell’agente Art Keller e della sua guerra alla droga. Un caposaldo per chi, come me, non può fare a meno del crimine organizzato e della politica nel noir. Ho riletto alcuni Gorilla di Sandrone Dazieri, ho scoperto quest’anno Riccardo Bruni e quando voglio imparare qualcosa della scrittura brillante leggo Valeria Corciolani. I classici? Non saprei scegliere. Hammet, Chandler, ma anche Mc Bain e l’ironico Westlake. Tra i personaggi femminili contemporanei mi piace molto Pedra Delicado. Ma adoro la Lorraine Page di Lynda La Plante.

Daria Lucca

Ti ringrazio tantissimo per la tua squisita cortesia e disponibilità.

A cura di Salvatore Argiolas

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