Intervista a Alessandra Pepino




A tu per tu con l’autore


 

L’omicidio della signora Capasso è decisamente cruento e il lettore rivede degli episodi della nostra società in questo. Cosa ti suggerisce, mentre scrivi, come far morire un personaggio? Come progetti la sua morte?

Credo che a livello inconscio agisca sempre il retaggio della nostra cronaca nera. Nel caso de Il bambino che aspettava la neve, più che al modo in cui far morire Fortuna Capasso, ho lavorato da subito all’ambientazione: la nevicata di qualche anno fa è stato un evento eccezionale,un’opportunità irripetibile per mostrare la città da un’angolazione inedita. In generale, la morte del personaggio muove quasi sempre dal suo contesto: in questo caso, una vecchina sola e abbandonata non poteva fare altro che andare a braccetto con una fine crudele. Il tutto in aperto contrasto con il candore rievocato dalla neve nell’immaginario comune.

Il commissario Mindy Iannaccone può essere antipatica all’inizio per il modo di porsi, ma il lettore si affeziona a lei dopo poche pagine perché è un personaggio che ha difetti, gli stessi dei comuni mortali. È più facile creare un personaggio umano che si avvicina con i suoi problemi e difetti al lettore oppure è meglio crearne uno che sembra perfetto o che tenta di essere perfetto? E perché?

Credo che il tentativo di creare un personaggio che tende alla perfezione sia un’operazione perdente in partenza. Per quanto banale possa sembrare, prima di tracciare il profilo di un nuovo personaggio mi lancio sempre in un piccolo saccheggio interiore: che sia un difetto, una mania, o un tic ha poca importanza; so che quel determinato spigolo del mio carattere diventerà l’inconsapevole punta dell’iceberg di una nuova personalità. Trasferirgli qualcosa di mio, mi aiuta a entrare da subito in confidenza con il personaggio. Mindy, per esempio, nasce dall’idiosincrasia per le mele verdi, spuntino punitivo dei miei periodi di regime alimentare. Da qui si è aperto un mondo su un personaggio pieno di debolezze e di difetti –quelli che ritengo indispensabili per far scattare un rapporto di empatia con il lettore.

Sia con Pesciolino che con sua madre si toccano temi importanti anch’essi diffusi nella nostra società purtroppo. Sono dei mali dai quali può uscire anche qualcosa di buono, ma comunque dei mali che crescono a vista d’occhio. Da dove è arrivata l’ispirazione per questi personaggi e può servire il loro esempio nella storia come una sorta di morale per i lettori?

Più che impartire una morale, cerco nel mio piccolo di sollevare dei dubbi. Scoperchiando dei pozzi bui – in questo caso il bullismo, la dipendenza, l’ombra della violenza domestica – spero sempre di fare entrare una lama di luce. Se il lettore è portato a porsi domande, vuol dire che la storia sta andando nella giusta direzione.

Come dovrebbe esser letto un thriller o un noir? Visto che sono i generi più cupi che prendono spunto dalla realtà, come dovrebbe approcciarsi un lettore a questi libri senza sembrare un dissennato qualora piacessero fin troppo? C’è un messaggio nascosto da parte dell’autore al lettore o è solo un libro che racconta una storia come un’altra?

Parto dal presupposto che la storia raccontata da un libro debba essere prima di tutto intrattenimento, a prescindere dal genere cui appartiene: leggere per me è come affacciarsi a una finestra, se non mi viene voglia di sporgermi, o di tendere l’orecchio, vuol dire che mi sto annoiando. Allo stesso tempo, cerco sempre di creare una trama che offra degli spunti di riflessione. I miei personaggi camminano spesso sul crinale sottilissimo che divide il bene dal male, a volte perdono l’equilibrio e cadono, altre riescono a tenersi in piedi per miracolo. Solo rendendo palese l’ambivalenza delle cose, si può insinuare il dubbio nella mente di chi legge. È per lo stesso motivo che quasi sempre opto per dei finali aperti: mi piace l’idea che girando l’ultima pagina, il lettore rimanga con un pugno di domande cui provare a dare risposta.

È necessario chiedere, da lettrice, se arriverà un altro caso per Mindy e se riprenderà il discorso interrotto con Pietro perché purtroppo è stato troncato in un modo brusco per chi poteva sperare in un’altra fine.

Mindy è nata qualche anno fa, un po’ per gioco, tanto è vero che l’ho tenuta “in panchina” per parecchio tempo. Qualche mese fa, mi è venuta improvvisamente voglia di farla tornare in campo. Non potevo sapere che mi avrebbe tenuto compagnia nei giorni del lockdown, e che grazie a lei avrei ritrovato il piacere di scrivere thriller. Insieme ci siamo divertite, credo sia un personaggio che abbia ancora altro da dire. Sarebbe un peccato non darle voce.

Domanda di rito per Thrillernord: Hai mai letto thriller nordici? Se li hai letti, hai un autore preferito?

I primi autori che mi vengono in mente: Anne Holt, Camilla Lackberg e Carl Morck con la sua Sezione Q.

Alessandra Pepino 

Grazie
Marianna Di Felice

 

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