Intervista a Andrèe A. Michaud




A tu per tu con l’autore


In occasione dell’uscita in Italia del romanzo thriller del 2014 “L’Ultima Estate”, la casa editrice Marsilio – che ringraziamo sentitamente – ci ha concesso un’intervista privata all’autrice canadese Andrèe A. Michaud. L’abbiamo quindi incontrata per voi per farle qualche domanda riguardante questo suo romanzo thriller, ambientato nella natura selvaggia del Quebec del 1967, dove due ragazzine scomparse nella notte costringono tutta la comunità di confine a fare i conti con i propri segreti, per poter dare la caccia all’assassino e fermare gli omicidi.

Ci accomodiamo quindi in un angolo privato nella hall dell’hotel e dopo qualche convenevolo di rito, incuriositi da questa signora quieta ed elegante, che scrive romanzi in cui si parla di morte violenta e l’adrenalina fa palpitare il cuore, iniziamo subito con le domande inerenti il suo romanzo “L’Ultima Estate”.

I romanzi ambientati in un recente passato sono affascinanti e suscitano nel lettore curiosità, nostalgia e un senso indefinito di cose perdute. Nel tuo romanzo quest’ultimo aspetto è davvero palpabile: il lettore si perde in un ambiente in cui i rapporti umani sono importanti, in cui il focolare domestico è sacro e in cui le donne, seppur relegate ad un ruolo di semplici casalinghe inconsapevoli del proprio potere, vivono la loro vita e quella delle loro famiglie con estrema tranquillità e una buona dose di docilità e di indulgenza verso il proprio uomo. Quali sono i motivi che ti hanno spinto ad ambientare il tuo romanzo nel 1967?

Andrèe Michaud: Ho scelto di ambientare la storia negli anni Sessanta perché sono stati gli anni della mia infanzia, anni per i quali provo tutt’ora una grande nostalgia perché è stata una fase della mia vita davvero idilliaca. E’ quindi un periodo che ho voluto rivivere e mi interessava soprattutto farne e darne un ritratto a partire da quello che era il ruolo delle donne all’epoca, ruolo abbastanza stereotipato. Le donne in genere stavano ancora a casa e si occupavano della famiglia. Diciamo in definitiva che il mio intento nello scrivere questo romanzo era anche fare un ritratto della vita di quel decennio nel Quebec.

Nel tuo romanzo emerge prepotente la figura della cosi detta “Lolita”, una ragazzina  provocante che fa della sua precocità una calamita pericolosa. Nel tuo romanzo le ragazzine sono due e sono contemporaneamente catalizzatrici di gelosia e morbosità ma anche evocatrici di fantasmi di un passato misterioso. Chi sono in realtà Zaza e Sissy? Qual è il loro ruolo?

Andrèe Michaud: Sissy e Zaza sono due giovani ragazze molto libere, che vivono proprio il momento in cui in quegli anni arrivano moda ed emancipazione, con un effetto dirompente. Agli occhi delle altre donne la loro libertà disinibita rappresenta in qualche modo una minaccia, perché non era costume, non era abitudine mettersi così in mostra. In fondo sono due ragazzine, Zaza e Sissi, che vivono libere, non si pongono limiti o barriere, non hanno vergogna di far vedere che sono belle, avendo per di più consapevolezza della loro acerba bellezza. Cosa che appunto per le donne dell’epoca non era usuale. Gli uomini stessi le guardano ovviamente con nascosto desiderio da una parte, mentre dall’altra le giudicano: sono delle “ragazze facili”. In realtà sono semplicemente delle ragazze finalmente libere e questa libertà poi sarà anche ciò che le condurrà alla loro perdita. Anche la voce narrante, che è quella della ragazzina dodicenne, Andrèe, le vede come una sorta di ideale, diversamente dalla madre che è rappresentata nel suo ruolo più tradizionale, in linea come detto con i tempi in cui si basa la vicenda. E’ per questo che le altre ragazzine del campeggio ed in primis la protagonista Andrèe le ama ed ammira così tanto: perché sono un modello positivo, un modello di cambiamento epocale.

In tutto il romanzo aleggia la scia di alcuni fantasmi del passato, che nell’immaginario collettivo sono colpevoli della morte delle due giovani ragazze. L’atmosfera, i dialoghi, le descrizioni sono così magistralmente rese che sembra davvero  che l’assassino sia uno dei tanti fantasmi che incontriamo nel romanzo, quasi che la natura prenda il sopravvento e si faccia colpevole al posto dell’uomo.  Cosa c’è di voluto in tutto questo? Il romanzo vuole essere anche un viaggio nel soprannaturale?

Andrèe Michaud: No, non è esattamente questo il mio intento, perché a me interessava più descrivere la forza e la potenza della natura. E’ ovvio che così facendo la natura potrebbe sembrare la responsabile, la vera colpevole degli atti degli uomini, ma in realtà la natura è – e basta. Non è né positiva né negativa, non incarna né il male né il bene. E’ solo se stessa. E’ vero anche che i fantasmi del passato, che sembrano vivere e prosperare grazie alla natura selvaggia, sono però qualcosa che deriva dalla natura umana e non dalla natura in sé, che come detto rimane neutra nelle vicende umane descritte.

Una curiosità che i lettori si pongono durante la lettura del tuo romanzo è data dal fatto che due tra i personaggi più importanti all’interno della storia narrata hanno il tuo nome: una è la voce narrante, la ragazzina dodicenne che si chiama come te Andrèe e l’altra è l’investigatore cui è affidata l’indagine,  Sten Michaud (leggi Misciù).  E’ solo un caso? O volevi comunicare qualcosa di particolare ai lettori, con questa omonimia?

Andrèe Michaud: E’ naturalmente voluto questo gioco di nomi ed era una maniera per dire che dietro ad ogni personaggio in un libro c’è sempre un autore che scrive, con la sua vita e le sue esperienze. In realtà avrei potuto chiamarli tutti Andrèe o Michaud, ma questo avrebbe chiaramente creato un po’ di confusione per il lettore. Ribadisco che in fondo un autore è in tutti i personaggi che descrive nei suoi libri, anche in quelle figure che non lo rispecchiano affatto. Ho scelto di chiamare la ragazzina con il mio nome e l’investigatore con il mio cognome con l’intenzione di rammentare questo ai lettori, in una sorta di strizzatina d’occhio proprio per renderlo evidente lungo l’intera narrazione, coinvolgendo il lettore fino alla fine.

Sorge spontaneo a questo punto farti una domanda che è strettamente collegata alla precedente. Pensando alla voce narrante di Andrèe che porta il tuo nome e all’epoca in cui hai ambientato gli avvenimenti, ci si chiede se “L’Ultima Estate” è un romanzo autobiografico, almeno in certa misura, soprattutto perché la vicenda si svolge in una sorta di campeggio sulle rive del lago Bondree e nella sezione dedicata ai ringraziamenti tu fai presente che hai vissuto lì per tre anni…

Andrèe Michaud: Non esattamente lì, ma è vero che è un luogo che ho conosciuto durante quel periodo idilliaco dell’infanzia, di cui ho accennato prima. Mio padre, che per me è ancora un idolo, mi ci ha portata quando ero ancora una bambina di dieci anni. E’ stata quella un’occasione in cui ho imparato a conoscere e capire la foresta. E’ stato proprio mio padre che mi ha insegnato a sentire l’odore degli animali, a riconoscere una traccia o una pista, a capire che cosa avrei potuto mangiare in caso di necessità e se ne avessi avuto bisogno. E proprio per questo sentimento di riconoscenza ho sempre pensato che un giorno avrei scritto un romanzo che parlasse di questo.

E quindi: qualcun altro tra i tuoi romanzi è stato una sorta di racconto, modificato naturalmente, delle tue esperienze passate, che fossero dell’infanzia o di un’età più matura?

Andrèe Michaud: No, direi di no. Sicuramente per quanto riguarda Bondree è il luogo che appartiene al mio passato, ma tendo sempre a non raccontare mai la mia storia personale, tranne in un’unica occasione, un romanzo più recente rispetto a “L’Ultima Estate”, che si intitola “Strada Secondaria”, nel quale effettivamente racconto di me. Ma non è questo il caso. Qui è il luogo che mi appartiene, ma non la storia attorno.

E arriviamo ora a parlare della guerra e dei fantasmi che sempre si porta appresso. Saprai che purtroppo la maggioranza del pubblico italiano non conosce le vicende storiche e politiche del Canada ed in particolare del Quebec, perché normalmente non sale agli onori della cronaca e quindi resta un territorio abbastanza oscuro per noi. Puoi parlarcene, evidenziando come queste vicende influenzano la trama del romanzo? Soprattutto per le differenze che hai evidenziato tra popolazione francofona ed anglofona.

Andrèe Michaud: (sorridendo) Diciamo che in Italia non sentite parlare molto del Canada o del Quebec perché sono luoghi tranquilli, dove non succede effettivamente granchè. Sono tante domande insieme e quindi partirei da quella relativa alla guerra. Durante la Seconda Guerra Mondiale agli uomini è stato chiesto di andare in Europa a combattere, ma molti si sono rifiutati perché non riuscivano a capire le cause di questa guerra e del perché dovessero essere coinvolti. Una delle figure chiave del romanzo, Pierre Landry, è uno di questi uomini che ha scelto di fuggire e di rifugiarsi in questa foresta e di vivere quindi di caccia per sostentarsi. Ricordo che qui siamo negli anni Quaranta del secolo scorso. Qui si innamora di questa donna meravigliosa che sarà però la causa di quello che gli succede e del fatto che oggi (1967) è un fantasma che in qualche modo vive ancora in queste foreste. Ma mi fermerei qui, per non raccontare una parte importante del romanzo.Per quanto riguarda invece ciò che concerne la questione di anglofoni e francofoni: il Canada ha una componente francese ed una anglofona e Ve ne parlo utilizzando una formula che dalle nostre parti si usa comunemente per definirle, chiamandole “le due solitudini”. Questo è il modo comune per noi per definire questa situazione. Effettivamente non si parla molto dei canadesi anglofoni. Ad esempio nel mio romanzo io mi concentro sugli americani che arrivano in vacanza presso il Lago di Bondree e questo perché effettivamente come canadesi francofoni ci sentiamo nord-americani e in questo senso molto più simili agli americani, dai quali in fondo ci distingue solo la lingua. Ma se devo esplicitare una somiglianza, siamo molto più simili agli americani che ai canadesi di lingua anglofona. Per terminare, Bondree è il terzo titolo di una trilogia tutta ambientata lungo il confine tra il Canada e gli Stati Uniti d’America, perché in questa fase ero interessata ad esplorare le relazioni e le differenze dal punto di vista geografico, linguistico e della cultura tra queste due nazioni. Mi interessava molto lavorare su questo tema. Gli altri due romanzi della trilogia sono “Lazy Bird” e “Mirror Lake”, da un musical di Coltrane e per il fatto che l’ambientazione presso un lago mi permette la similitudine con lo specchio e la questione del doppio. L’autrice sorridendo ci specifica ulteriormente che questo è il suo unico romanzo umoristico, dove c’è il lago a separare la vita di un canadese francofono dall’arrivo di un americano e racconta appunto la loro relazione. Romanzo da cui tra l’altro è stato tratto un film.

L’ultima domanda che desideriamo porti, senza entrare troppo nei dettagli per non rivelare la fine del romanzo, è perché hai scelto questa particolare conclusione per il tuo romanzo thriller. Nello specifico per il colpevole, chiamiamolo così – e nel non fargli affrontare le sue responsabilità, ma permettendogli una sorta di fuga… Come detto, rimaniamo sul vago per non far capire ai lettori il finale, ma veramente questo era un punto sul quale ci premeva chiedere la tua opinione, sia come “burattinaio” della storia che come persona.

Andrèe Michaud: L’ho fatto perché considero in fondo anche lui una vittima: della guerra senz’altro, ma anche della morale e dei pregiudizi della sua epoca. Sicuramente i suoi atti sono condannabili, ma lui ha una sua propria giustizia, che porterà avanti, così come ha fatto per gli atti tragici che ha commesso.

Esaurito il tempo a noi concesso in compagnia di questa autrice di thrillers, ci disponiamo a salutarla e ringraziarla, non prima però di esserci fatti fare una dedica speciale per tutti i lettori di Thrillernord in particolare e per i suoi lettori italiani in generale.

A cura di Marina Morassut e Laura Salvadori

 

 

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