Intervista a Angelo Orlando Meloni




A tu per tu con l’autore


 

Si intitola “Santi, poeti e commissari tecnici” l’ultima straordinaria fatica dello scrittore siracusano Angelo Orlando Meloni. Edito da Miraggi Editore, pubblicato nella collana Golem, “Santi, poeti e commissari tecnici” è una raccolta di racconti. Anzi, no: è qualcosa di più. È un viaggio appassionato nell’assurdità del mondo di oggi. Angelo Orlando Meloni è nato a Catania e vive a Siracusa, dove lavora nella libreria storica della città “La casa del libro – Mascali”, un vero e proprio avamposto culturale intrappolato nel suolo ortigiano. Nel 2010 ha scritto “Io non ci volevo venire qui” e tre anni dopo ha sfornato insieme a Ivan Baio “Cosa vuoi da grande”, editi entrambi da Del Vecchio Editore. La sua penultima pubblicazione è “La fiera verrà distrutta all’alba”, uscito nel 2017 per Intermezzi editore, in cui Meloni racconta la mitomania del nostro tempo, e in cui svela «i desideri mostruosamente proibiti degli “aspiranti qualcosa” ai tempi dei social network e della paventata, presunta morte della lettura in un apocalittico mondo post-qualcosa».

Com’è nata la raccolta e dove? (Ti immagino scrivere in libreria, mentre ti chiedono un classico della letteratura bulgara)

La raccolta è nata in due momenti diversi, alcuni racconti sono molto vecchi e altri invece gli scritti tutti di getto uno dopo l’altro. Poi alla fine ho messo tutto insieme, ho rimescolato e cotto a puntino, ho tagliato molto e ho riscritto molto e devo dire che il libro mi sembrava e mi sembra tuttora molto compatto. Ci ho sudato su a casa, però, non al lavoro in libreria, ma per quanto riguarda le richieste diciamo strambe potrei scriverci non uno ma due libri; e con tutto il rispetto per la letteratura bulgara, che mi auguro un giorno di conoscere come certa musica bulgara che è molto famosa nel mondo, di richieste strambe me ne sono arrivate davvero tante, durante le mie esperienze di libraio. Anche se ho paura di non avere ancora visto niente, la mia preferita è quella del cliente che spalanca la porta della libreria e dice: “avete ebook?”

A partire dal primo racconto, che dà il titolo alla pubblicazione, dove Meloni racconta le imprese della Vigor, una squadra incapsulata in una sorta di eterna nullità, fino a “Il campionato più brutto del mondo”, in cui la Serie A rischia il collasso, la catastrofe, e dove emerge un «eroico» ispettor Crisafulli, si rimane incollati alla pagina. A proposito di catastrofe: c’è ancora qualcosa da raccontare di questa Sicilia in continua involuzione?

Invecchiando ho lasciato perdere i discorsi sull’evoluzione o la decadenza della nostra terra che sembrano riferirsi a ipotetiche età dell’oro in cui chi parla era giovane, aveva tutti i capelli e non soffriva per il mal di schiena. Certo, però, rispetto ad altre realtà siamo indietro, ma non solo economicamente, siamo indietro culturalmente. È facile nascondersi dietro la Magna Grecia e altre storie di duemila anni fa, ma a furia di nascondere la polvere sotto il tappeto del salotto, nei nostri antichissimi e nobili tappeti si sono formate montagne. Certo, la letteratura nella cosiddetta involuzione ci sguazza, quindi roba da raccontare ne abbiamo in abbondanza. In linea di massima le cose siciliane sono molto interessanti, proprio per questo nostro mix di abbacinante bellezza e abissale miseria. C’è tantissimo da scrivere sulla nostra società, sulla desertificazione culturale ed economica. Sulle piccole caste che gestiscono le cose siciliane e i nostri destini come proprietà privata. Su un mercato del lavoro, quel poco che c’è, basato al 99% sulla raccomandazione, sulla mafia che è sempre fortissima, su quell’enorme fetta di siciliani che non mandano i figli a scuola e conducono un’esistenza abusiva, tra sale scommesse e catto-paganesimo di facciata. C’è tantissimo lavoro da fare e tutti noi in Sicilia dovremmo rimboccarci le maniche e smettere di lamentarci, la colpa non è di quelli del Nord se le cose sono andate in un certo modo, ma è nostra. Abbiamo cacciato a calci in culo fuori dalla Sicilia una o due generazioni di laureati, come fossero persone non gradite. Abbiamo scambiato la tolleranza per un parcheggio in doppia fila con città senza marciapiedi, strade, servizi, con ospedali e scuole fatiscenti, agitate da un’umanità depressa, impoverita e aggressiva, usata come serbatoio elettorale da politicanti senza scrupoli. Era impossibile che le cose prendessero una piega diversa.

Nel panorama letterario nazionale, ingolfato da una iper-produzione romanzesca, la forma racconto sembra essere una scelta più che coraggiosa, sia per l’autore sia per l’editore.

Nella produzione di molti scrittori i racconti hanno un ruolo fondamentale, se non altro in quella che secondo me è la letteratura per eccellenza, cioè la letteratura fantastica, nelle sue declinazioni horror, fantasy e fantascientifiche. Ma la stragrande maggioranza dei lettori, anche quelli colti, oltre a pensare che la fantascienza (e i fumetti) siano “arte degenerata”, diffida delle raccolte di racconti. Chissà se le due cose sono collegate, mi chiedo a volte scherzando. Ho visto tranquilli uomini della porta accanto soffiare come i gatti se mostri loro la copertina di una raccolta di racconti. C’è poco da fare, dobbiamo farcene una ragione, così è.

Il titolo provocatorio della raccolta fornisce l’occasione per fermarci e riflettere sui risultati ottenuti dalla nostra società, a quale stadio di evoluzione o involuzione è giunta e se il genere umano ha ancora voglia di affidare la propria sopravvivenza a certi meccanismi illogici che la governano. Così succede di scoprirsi santi, poeti, ma anche virologi, infermieri, persino agenti segreti esperti nel rilascio ostaggi.

Un ritorno all’umiltà ritengo sia impossibile – afferma Meloni – almeno secondo me. Ormai l’ego dell’uomo comune, me compreso, è partito e vola alto altissimo lassù, un enorme pallone che oscura il sole, ci impedisce di vedere l’orizzonte e preme sulle nostre vite. Ma quel gigantesco pallone gonfiato a boria, analfabetismo, punti interrogativi e dogmatismo prima o poi esploderà. La clausura da coronavirus mi ha definitivamente convinto del fatto che i dogmatici nevrastenici, quelli che si bevono tutto e puntano a testa bassa come tori infuriati, sono anche peggio dei cospirazionisti. Ma forse la verità è che ci adattiamo a tutto, anche alla perdita del “campionato più bello del mondo”.

In “Santi, poeti e commissari tecnici” l’ironia non piroetta su se stessa, ma è una lama affilata che fa a brandelli il velo di pressappochismo con cui è stato coperto il tabellone del torneo degli improvvisati professionisti, è l’arma che denuncia una società spesso iniqua, vuota e visibilmente agonizzante.

Un amaro ridere, dunque, è quello a cui va incontro il lettore, il quale difficilmente riuscirà a non divorare la raccolta in un boccone soltanto.

A cura di Alberto Minnella

 

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