Intervista a A.Paolacci e P.Ronco




A tu per tu con l’autore


Paola, Antonio, nessuno di voi due è nativo di Genova, eppure avete scelto questa città per viverci e per ambientare il vostro romanzo noir “Nuvole barocche”. Cosa rappresenta Genova per voi? Cosa ci avete trovato?

Noi due a Genova siamo e saremo sempre dei ‘foresti’, eppure fin dal primo momento ci siamo sentiti come a casa. Ogni giorno camminiamo per i vicoli del centro storico, che sono pieni di bellezza, di contraddizioni, di persone diversissime tra loro, e ogni giorno pensiamo che sia proprio un posto ideale per ambientarci delle storie. Genova è una città carica di storia come poche al mondo, intrisa di un carisma potentissimo da città portuale, mediterranea, che la rende per molti aspetti simile a Napoli e, per altri, alla Marsiglia che ha ispirato e ospitato alcuni gialli e noir tra i più grandi e indimenticabili di sempre. Non è una città facile, ma anche per questo possiede un suo fascino invincibile, un tipo di fascino complesso, articolato, ricco, che forse proprio per questo si può spiegare bene soltanto scrivendone a lungo.

E cosa rappresenta per voi e, secondo voi, per Genova, Fabrizio De Andre’, la cui canzone Nuvole barocche avete scelto come titolo del vostro libro?

Nuvole barocche è il titolo di un album incredibile di Fabrizio De Andrè, ed è anche il titolo di una delle sue canzoni meno conosciute. Ci è sembrato inevitabile, mentre pensavamo a una serie ambientata a Genova, rendere omaggio a quello che per noi è il suo cantore più grande. Da sempre, per noi, le parole e la musica di De Andrè restituiscono in maniera precisa certe atmosfere, colori e storie di questa città. Il nostro desiderio sarebbe riuscire a intitolare ognuno dei romanzi che comporranno la ‘serie Nigra’ con un titolo o un verso di questo straordinario artista.

Parlando del titolo specifico, c’è un verso in Nuvole barocche che per noi è molto evocativo (oltre allo struggente inizio):

mille e una di questa promesse
tu mi hai insegnato il sogno
io voglio la realtà

Entrambi avete trascorsi proficui da scrittori “solisti”. Cosa vi ha portato la voglia di fare squadra e cimentarvi in un romanzo a quattro mani? Cosa aggiunge e cosa toglie alla scrittura il fatto di doversi interfacciare l’uno con l’altro anziché procedere in completa autonomia ?

Noi ci siamo incontrati prima di tutto attraverso i nostri romanzi, e da subito abbiamo scoperto che in qualche modo misterioso le nostre scritture si somigliavano molto. Non tanto per stile, quanto per un senso estetico, un umorismo e una tensione etica comuni. Avevamo da tempo questa idea che ci piaceva raccontarci e rimpallarci, improvvisando sviluppi e possibilità. Il pensiero di lavorarci a quattro mani è arrivato all’improvviso, come una soluzione quasi ovvia, ma che fino ad allora ci era sfuggita. Da lì, tutto è venuto da sé con una facilità sconcertante. In due siamo in grado di sfruttare i nostri punti forti e di correggere, almeno un po’, i nostri difetti, fornendo alla scrittura uno sguardo più ampio. Non è sempre facile, naturalmente: è molto vero che chi scrive è sempre un po’ egocentrico, e manca un po’ di abitudine, in generale, a collaborare per un obiettivo comune. Ma per noi è talmente divertente che ne vale assolutamente la pena. In più, il confronto tra noi, che può essere a volte molto acceso e altre volte molto comico, è parte necessaria del lavoro, indispensabile per smussare angoli e trovare un punto d’arrivo più soddisfacente per entrambi, quindi anche molto meno limitato a un unico punto di vista personale.

Il protagonista assoluto di “Nuvole barocche” è il vice questore aggiunto Paolo Nigra, figura sulla quale tornerò specificatamente dopo, ma avete messo in campo un gruppo di lavoro, una squadra talmente ben strutturata, approfondita e composta da personaggi così centrati e accattivanti, da poter per certi versi definire “Nuvole” un romanzo corale. Ci sono personaggi più di Paola e altri più di Antonio? O compendiano tutti le idee di entrambi?

Dopo quasi due anni che scriviamo e inventiamo le avventure della squadra di Nigra, ormai è per noi molto difficile riuscire a ricostruire chi ha pensato per la prima volta a cosa. Parliamo molto, anzitutto. E le idee, le trame come i personaggi, cominciano così, parlandone assieme. Quando uno di noi ha un’idea anche vaga ne parliamo subito, la definiamo insieme, e così succede anche che i nostri personaggi si possano allontanare da quello che avevamo in mente agli inizi, anche perché come spesso succede prendono vita e carattere mentre li definiamo e mentre li scriviamo. Per fare un esempio, Rocco si è imposto con la sua flemma e il senso dell’umorismo in modo quasi autonomo. A un certo punto ha iniziato a reagire così, e non abbiamo potuto fare altro che assecondarlo. In generale, entrambi tendiamo ad avere forse solo una maggiore facilità con alcuni personaggi rispetto ad altri, ma in maniera fisiologica: Paola per esempio ha una spiccata facilità nel dare voce al primo dirigente Virdis, mentre Antonio si diverte di più a far muovere l’ispettore capo Caccialepori. Quanto a Nigra, naturalmente, lo sentiamo ormai talmente vivo che non abbiamo mai dubbi su come agirà o reagirà, non ci serve che inventarci le situazioni migliori in cui calarlo.

Paolo Nigra, vice questore aggiunto, torinese trapiantato a Genova, gran bell’uomo ma mai piacione, solido, omosessuale. Innanzitutto complimenti ancora per aver saputo delineare un protagonista davvero “nuovo” e fuori da ogni cliché, pur perfettamente calato nel contemporaneo. Come è arrivato a voi, con queste precise caratteristiche, Paolo Nigra?

Non lo sappiamo veramente, e forse non riusciremo mai a ricostruire questa alchimia che ha dato vita a Nigra. Sembra un luogo comune o una banalità per non rispondere, ma davvero per noi Nigra è saltato fuori di colpo, come un’ispirazione, e poi si è imposto pagina dopo pagina, facendoci scoprire cose di lui cui non avevamo proprio pensato. Nigra è un vincente, un uomo che ha combattuto le sue battaglie e le ha vinte tutte. Ogni tanto ci capita di buttare un occhio alla televisione italiana, e capita ancora di scontrarsi con battute deprimenti e rappresentazioni di persone omosessuali che sono più che altro macchiette, del tutto monodimensionali. Tutto questo per fortuna sta cambiando, anche grazie a romanzi e serie tv, ma certi stereotipi sono duri a morire, e con questi Nigra è costretto suo malgrado a confrontarsi, ancora adesso che ha passato i quarant’anni, ha capito già da un bel po’ chi è e ha anche trovato la persona giusta con cui stare bene. È questo scontro tra un personaggio sicuro di sé e una parte ancora arretrata della società che ci pareva particolarmente interessante da indagare. Tutto il resto, il suo carattere, i silenzi che precedono le sue azioni, la faccia da poker e le passioni che ha, è davvero in qualche modo venuto da lui.

L’omofobia è tema centrale dello snodo noir di “Nuvole barocche”. Avete trattato questa materia, spesso spinosa quando non dolorosa, con taglio fortemente originale ed efficace. Scegliendo di mostrare un protagonista, da questo punto di vista, risolto e compreso. Sentimentalmente felice. Più portato a dichiarare la propria sessualità che, a parole, i propri sentimenti. Perfettamente inserito nella sua squadra di lavoro. E per contrappeso, avete costruito una trama centrata su un delitto crudele ed efferato, di stampo omofobo (almeno tutto porta a pensare che…). Il paragone tra queste due dimensioni, fa sì che la seconda emerga nel suo più totale e completo orrore. Come se l’una facesse da lente di ingrandimento allo squallore cattivo dell’altra. Qual’ è stata la causa scatenante che vi ha orientato su questo tema e su questo tipo di approccio?

In parte abbiamo già risposto nella domanda precedente. Siamo entrambi molto coinvolti dalla questione, e nella lotta per i pari diritti di tutti. Abbiamo avuto amici, nel tempo difficile dell’adolescenza, che ci siamo ritrovati a dover difendere dalle angherie del solito branco di vigliacchi, e abbiamo amici che non dichiarano volentieri la loro omosessualità perché temono che verrebbero discriminati o bullizzati sul lavoro, o che hanno comunque avuto dei problemi. È una questione che davvero dovrebbe riguardare tutti, quale che sia l’orientamento sessuale, perché se non coinvolge direttamente noi va a toccare parenti, amici, persone che vivono intorno a noi. Anche per questo abbiamo ambientato Nuvole barocche nel 2016, alla vigilia dell’approvazione delle unioni civili in Italia. Abbiamo cominciato a pensare e lavorare a questo romanzo qualche mese dopo, con ancora nelle orecchie l’eco di dibattiti assolutamente surreali, in cui persone palesemente omofobe venivano invitate in televisione a dire la loro su una questione di lancinante chiarezza, sulla quale la gran parte delle nazioni occidentali e più civili del mondo è ormai decenni avanti rispetto a noi, che poi era semplicemente quella di garantire pari diritti a tutte le coppie. È davvero sconfortante, nel 2019, doversi ancora ritrovare in un mondo in cui fa più scandalo un bacio tra due uomini o due donne che un bambino che soffre la fame, o che muore tragicamente per presunte ragioni politiche, eppure è ancora qui che stiamo.

Non chiedo se ci sarà un seguito a “Nuvole barocche”, semplicemente perché non voglio nemmeno pensare che non sia così. Chiedo invece se affronterete ancora nel vostro prossimo noir, tematiche fortemente legate e connotate al sociale.

Ci possiamo anche provare, ma proprio non ci riesce di evitare le tematiche legate al sociale. È uno dei motivi per cui abbiamo scelto il genere, che ci permette di raccontare una storia coinvolgente e insieme di fare un’inchiesta sulla società in cui viviamo. La seconda indagine di Nigra avrà una maggiore ironia legata ad alcuni dei personaggi coinvolti, e sarà un omaggio smaccato al genere giallo più classico e puro, ma tratterà anche alcune ombre tipiche della formazione mentale degli italiani e il pregiudizio verso gli stranieri, un tema che diventerà poi assolutamente centrale nel terzo romanzo della serie.

Paola e Antonio lettori. Gusti comuni o antitetici? Cosa ne pensate, se lo leggete o avete letto, del thriller nordico?

Condividiamo la vita, il lavoro, la scrittura, ma in effetti i nostri gusti in fatto di film, serie tv e libri sono spesso divergenti. Paola è da sempre un’amante del giallo puro e del genere noir, con qualche sbandamento per il fantasy e il distopico: da Agatha Christie, letta e riletta, al meraviglioso Adamsberg di Fred Vargas, da Elizabeth George ad Anne Perry, fino agli incubi di Valerio Evangelisti. Antonio proviene da una formazione più legata alla letteratura nordamericana, è un lettore forte dei postmoderni, ma anche sempre attratto dal thriller, in particolare, per cui per esempio non perde un libro di Sthephen King fin dall’adolescenza, perdonandogli anche i meno riusciti. Ma ci sono cose sulle quali assolutamente convergiamo, specie parlando di letteratura di genere, come il culto per Conan Doyle, l’amore per i maestri Fruttero e Lucentini e l’attenzione sempre vigile verso Lucarelli, Carlotto, e naturalmente l’esame attento delle novità (uno degli ultimi che abbiamo letto insieme è stato l’appassionante “Cinese” di Andrea Cotti). Il thriller nordico ci piace anche se non lo conosciamo bene come vorremmo. Apprezziamo soprattutto Mankell e la coppia Sjowall/Wahloo, gli inventori di Martin Beck.

Antonio Paolacci e Paola Ronco

Grazie di cuore per la vostra disponibilità, grande come il vostro talento.

Sabrina De Bastiani

 

 

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