Intervista a Carmine Caputo




A tu per tu con l’autore


 

Come è nato il personaggio del maresciallo Luccarelli?

Antonio Luccarelli è stato il protagonista di “Ballata in sud minore”, romanzo edito nel 2009 anche se può considerarsi il mio primo lavoro, visto che la stesura originale risale a quando avevo poco più che vent’anni. Accanto a lui c’era il suo amico del cuore Leonardo Stasi: è un romanzo di formazione che racconta l’adolescenza di un gruppo di amici a Statte, il mio paese natale in provincia di Taranto, negli anni Ottanta. La storia era soprattutto una vicenda di emigrazione, visto che in tanti della mia generazione hanno lasciato la Puglia per cercare lavoro altrove. Mi sono però affezionato a Luccarelli, che è stato successivamente protagonista di 6 racconti polizieschi pubblicati in diverse raccolte, fino al suo ritorno con #Stodadio – L’enigma di Artolè

L’enigma di Artolè è un romanzo a più voci dove ognuno dei protagonisti racconta la propria versione della storia. Qual è l’origine di questa scelta narrativa?

Amo molto la narrativa gialla, da lettore mi appassiona. Trovo che se sul fronte della fabula, cioè della storia da raccontare, oggi è davvero difficile essere originali. Sull’intreccio invece, cioè sul modo in cui si racconta la storia, ci sono più margini di inventiva. Non amo molto infatti la struttura classica di alcuni romanzi con l’omicidio, le indagini, due o tre false piste, la risoluzione finale, mescolate magari con le vicende personali del protagonista giusto per divagare un po’. Mi rendo conto che funzionano perfettamente in una trasposizione televisiva, ma visto che sono uno scrittore e non uno sceneggiatore, mi diverto a giocare un po’. In questo caso ho pensato a nove vicende, nove storie personali che si incrociano in un’unica piazza, in un’unica giornata: alcune in effetti sono rilevanti per la narrazione principale, altre invece non portano a nulla. Ma in fondo anche la nostra vita è così, no? Dietro ciascuno di noi c’è una storia, alcune meritano di essere raccontate, altre no.

Artolè è una delle manifestazioni che cercano di ridar vita ai piccoli borghi afflitti da un inesorabile spopolamento. Come si potrebbe attirare di nuovo i giovani alla residenza nei paesi?

Ho lavorato per undici anni sull’Appennino bolognese prima di tornare a Bologna, per due ci ho anche vissuto. È una terra che porterò sempre nel cuore, però, come ho scritto nella dedica, bisogna avere il coraggio di amarla anche tra novembre e febbraio, quando diventa fredda, malinconica, persino cupa. In primavera, estate e autunno questi borghi a misura d’uomo, dove si può passeggiare in mezzo al verde e i bambini possono ancora andare in giro in bici da soli, sono fantastici. Però occorre essere realistici, non è sempre facile viverci, specie con i ritmi frenetici della vita attuale: bisogna fare talvolta chilometri di curve e tornanti per raggiungere servizi essenziali. Occorre abituarsi a rispettare la natura e i suoi tempi: se ci sono cinquanta centimetri di neve, bisogna spalare prima di mettersi in moto. Personalmente non ho risposte su come combattere lo spopolamento, se non che la politica deve tornare a perseguire quella che io ritengo essere una delle sue missioni principali, cioè ridistribuire le ricchezze per aiutare chi è più indietro. Non c’è solo la questione meridionale, c’è anche la questione centro-periferia.

Se  i comuni vengono abbandonati a se stessi, quelli con aziende produttive, quasi sempre in pianura, si arricchiranno, attrarranno capitali, offriranno servizi avanzati per i cittadini, quelli più piccoli in montagna diventeranno dei presepi incantevoli ma deserti. Sta già succedendo. Credo che questa brutta esperienza della pandemia ci abbia se non altro insegnato che si può lavorare bene anche da casa. Se un impiegato non deve fare un’ora e mezzo di viaggio ogni giorno per raggiungere l’ufficio in città dalla casa in Appennino, forse può pensare più facilmente di viverci.

Qual è il suo autore di gialli preferito?

Sono un lettore onnivoro, non solo di narrativa gialla. Amo soprattutto gli autori che riescono anche a farmi sorridere, senza scadere nel grottesco, viceversa mi lascia perplesso chi sembra compiacersi di dettagli truculenti. Se però devo fare un nome in assoluto, faccio quello di Agatha Christie: le emozioni intense che grazie a lei ho provato quando avevo undici, dodici anni non le ho più vissute. Divoravo letteralmente i suoi romanzi.

Ritroveremo Luccarelli in una nuova avventura?

In effetti sto lavorando a un nuovo romanzo in cui svelo il motivo perché Luccarelli è così insicuro con le donne. Un romanzo che idealmente collega gli anni della adolescenza di “Ballata in sud minore” con quelli della maturità dei racconti successivi. Sono piuttosto lento nella scrittura, dubito sarà pronto prima del 2022. Anche perché come al solito ho scelto un intreccio piuttosto ingarbugliato in cui sto pensando a un omicidio che avviene a metà romanzo. Chi l’ha detto che la vittima deve morire subito, senza nemmeno darci modo di conoscerla un po’? Appena riuscirò a districarmi tra i tanti indizi che io stesso ho disseminato, comincerò la rilettura e la stesura definitiva. Devo ancora scoprire chi è il colpevole ma ho diversi sospetti.

Carmine Caputo

A cura di Cristina Bruno

 

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