Intervista a Dario Galimberti




A tu per tu con l’autore


Qual è stata l’ispirazione dietro la creazione del personaggio di Ezechiele Beretta e del contesto storico in cui si muove?

Quando riflettevo su dove ambientare “L’angelo del lago” – il primo romanzo della serie, risultato poi il terzo dal punto di vista cronologico – mi rammentai del quartiere Sassello di Lugano. Anni addietro avevo fatto una ricerca sulla ricostruzione di una vasta area nel centro, dove avevano abbattuto alla fine degli anni Trenta un intero quartiere storico. Decisi che sarebbe stato doveroso dare una nuova opportunità, sia alle persone cacciate in malo modo dai decreti e sia agli edifici demoliti dalla miopia di allora. Il quartiere Sassello aveva la nomea di un posto di malaffare che ben si adattava all’ambientazione “gialla”. In quel mondo, e in quell’atmosfera sedicente cupa, è comparso Ezechiele Beretta, nato e cresciuto tra i vicoli oscuri del vecchio borgo, e capace, oltre a risolvere casi complicati, di liberare il quartiere dalle ingiuste dicerie.

Come ha gestito il processo di ricerca per assicurarsi che gli aspetti storici e le procedure investigative del periodo fossero accurati e credibili?

Un altro motivo che mi ha fatto avventurare negli anni Trenta/Quaranta del secolo scorso è una discreta distanza dal presente. L’attualità narrativa, cinematografica e televisiva è ricchissima di storie gialle, crime, thriller e quant’altro. Giocoforza sarei stato costretto a entrare nel mondo del DNA, delle banche dati, delle videocamere e dei cellulari, invischiandomi involontariamente in qualche CSI o simili. Di conseguenza mi era sembrato più intrigante esplorare un mondo sconosciuto, dove la polizia scientifica era agli albori, fatta solo da impronte digitali, rilievi sommari e schedari scarni. Così mi sono concentrato maggiormente sulle strategie investigative legate alla logica deduttiva.

Quali sfide ha incontrato nello sviluppare la dinamica tra Ezechiele Beretta, Tranquillo Bernasconi e Sterlina, soprattutto considerando i segreti e i passati complessi dei personaggi?

Tranquillo Bernasconi è apparso in maniera significativa con il secondo romanzo: “Un’ombra sul lago”, divenendo il coprotagonista un po’ irriverente rispetto a quelli classici, e con il compito d’insinuare nel Beretta gli aspetti semplici della vita. Per una questione di età legata al periodo storico, nell’ultimo romanzo è ormai in pensione. Il delegato Beretta lo fa rientrare in servizio come consulente esterno, ma soprattutto come amico fidato.

Sterlina è apparsa in maniera marginale e con attività dubbie nel primo romanzo. Nel secondo il suo ruolo si intensifica e diventa anche lei una coprotagonista a tutti gli effetti. Ne “La ruggine del tempo” – il primo romanzo dal punto di vista cronologico – vi è l’incontro fulminante con Ezechiele Beretta. Infine, ho voluto svelare con “Il dubbio del delegato” il mistero del perché quella giovane e avvenente donna, che aveva scalfito il cuore del protagonista, fosse finita nei meandri del Sassello. Ho così raccontato le drammatiche vicende di Sterlina, approfittando della diretta interconnessione con la trama di quest’ultimo libro. 

Come ha affrontato la rappresentazione della tensione tra le autorità civili e militari nella Svizzera del 1941, e quali fonti ha utilizzato per rendere questo aspetto il più fedele possibile?

Attraverso un diretto collegamento tra il plot e la realtà del tempo. Nell’archivio dei quotidiani, nei documenti storici, e naturalmente sulla bibliografia specifica, è possibile trovare le informazioni necessarie per narrare la vicenda nel modo più verosimile possibile.

Tramite i quotidiani, ad esempio, il governo svizzero e altre autorità della Confederazione, comunicavano con la popolazione incoraggiando i cittadini nel difficile momento storico, e allo stesso tempo imponevano regole di convivenza. Nel prologo del romanzo, cito il comunicato del commissario federale per l’internamento, che stabiliva le regole comportamentali da tenere tra i cittadini e gli internati: un preciso e dettagliato decalogo svizzero. 

Qual è stata la parte più complicata nello scrivere un giallo ambientato in un periodo storico così turbolento come la Seconda Guerra Mondiale?

La parte più complicata è stata quella di riuscire a trasmettere l’atmosfera e le sensazioni delle persone davanti ai pericoli incombenti e alla preoccupazione per il futuro.  È pur vero che la nostra contemporaneità è colma d’incertezze, ma esserci per davvero credo sia ancora un’altra cosa. Davanti a un mondo che sta impazzendo non è come essere in un mondo impazzito.

Può condividere un aneddoto o una curiosità che ha scoperto durante la ricerca per questo libro che non ha trovato posto nelle pagine, ma che ha trovato particolarmente interessante?

Durante la ricerca sulla presenza dei soldati polacchi in Ticino ho trovato diverse testimonianze, una è addirittura l’incipit del primo capitolo: l’episodio del baratto tra il poveraccio di Lugano e il soldato. Vi era anche un’altra testimonianza, non riportata, ma che si sarebbe potuto romanzarla quale incontenibile sentimento d’amore:

«Io l’ho poi conosciuto l’ultima settimana che era Massagno; mi sono innamorata senza accorgermi. […] Poi è cominciata la storia. Lui peregrinava da un campo all’altro: è stato a Cademario, Gudo, Lostallo… E non si poteva andare a trovarli; allora mi sono fatta fare una carta di Dama della Croce Rossa di modo che potevo andare e venire come volevo».

Come ha deciso il titolo del libro e ci sono stati altri titoli che ha considerato prima di arrivare a “Il dubbio del delegato”?

Diversi. Da “La donna col mantello nero” fino a “Il tarlo del dubbio” per poi arrivare al “Il dubbio” e alla fine, parlando con l’editore, abbiamo aggiunto “del delegato” per meglio definirlo all’interno della serie.

Dario Galimberti

La ringrazio per la disponibilità,

Giusy Ranzini

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