Intervista a Diego Collaveri




A tu per tu con l’autore


 

Giacomo Donati e Mario Botteghi, cosa li distingue e cosa li unisce?

Entrambi livornesi, vivono la città e la vita in modi opposti. Mentre Botteghi è un malinconico personaggio incollato a un passato e a un mondo che inesorabilmente vengono trasformati dal tempo, Donati è ben saldo nel presente di un susseguirsi di giorni senza aspettative, impegnato a ottenere il massimo da qualsaisi situazione dell’oggi, senza una visione verso il futuro. Sono agli antipodi anche dal punto di vista della legge, visto che Botteghi è un commissario di polizia e Donati uno che vive di espedienti al limite della legalità. La cosa che li unisce però è l’essere fedeli a una certa etica morale nei confronti di ciò che fanno, non la medesima ovviamente, in cui credono fermamente come valore di vita.

La genesi dei personaggi è sempre una sorta di parto per gli autori e si sa, anche se la radice da cui provengono è la stessa, il concepimento è diverso. Giacomo Donati rappresenta quasi la Livorno di quel momento, sporca, distrutta ma pronta a riscattarsi. Perché un reietto? 

Ho sempre amato più gli antieroi che gli eroi, gli outsider che in determinate situazioni possono sorprenderti con capacità e modi di fare che non gli avresti mai attribuito. Donati nasce dalla mia voglia di un personaggio borderline con cui fosse difficile entrare in empatia, ma che però immerso in un frangente molto particolare, come quello dell’alluvione, azzerasse le sue differenze sociali attraverso l’affinità dei sentimenti provati di fronte a quella tragedia. Volevo anche osservare la cronaca cittadina e la sua microcriminalità da un’ottica diversa da quella delle forze dell’ordine, quindi uno sguardo che ne facesse parte per cui quell’ambiente fosse la normalità, la quotidianità.

Ti leggo da anni e l’apporto che hai dato alla tua città attraverso le indagini passa dalla sua Storia fino all’archeologia e all’architettura della città. In merito a questo lato della tua scrittura, ci saranno ancora le visite nei luoghi descritti nei tuoi romanzi? 

Ormai sono legato a doppio filo a questo aspetto che caratterizza i miei romanzi, quindi continuerò su questa strada, ma vorrei esplorare modi diversi di raccontare. La scrittura è uno strumento fantastico e polivalente con cui poter divulgare questi fatti attraverso un contenitore che può essere di generi diversi, e i fatti che nel corso degli anni ho raccontato hanno attirato e incuriosito me per primo, motivo per cui sono alla continua ricerca di nuovi stimoli.

La pandemia ha creato un varco, il prima e il dopo. Quanto ti ha influenzato nello scrivere? 

Tantissimo, ma non riguardo al tipo di storie, bensì in merito al mio approccio pratico alla scrittura. L’ho vissuta come una privazione sensoriale che ha segnato la mia capacità di concentrarmi, la mia voglia di fermarmi davanti a una tastiera e mettere nero su bianco ciò che avevo in testa. Ammetto che mi ero un po’ spaventato perché le parole uscivano a rilento e con molta fatica, mi soffermavo in continuazione sulle frasi mai contento, e il ritmo ne risentiva, ne usciva appesantito. C’è stato un momento in cui credevo davvero di non riuscire a ritrovarmi nel modo di raccontare e c’è voluta tantissima forza di volontà per superarlo. La creatività, come tutto ciò con cui viene veicolata, dalla scrittura alla musica, alla regia, alla pittura, etc, ha necessità di essere in costante esercizio e sviluppo, mai essere affogata nell’apatia, perché serve davvero poco per perdere la bussola e non ritrovarsi più nel modo con cui ci si esprime. Per fortuna è stata solo una sensazione passeggera e dopo ho ritrovato me stesso con la medesima voglia di raccontare, ma più motivato, più determinato.

Quando rivedremo Donati e Botteghi e, non contenta io, hai mai pensato di farli incontrare? 

Botteghi tornerà penso nel 2022, sono già da un po’ alla ricerca di un qualcosa all’altezza delle aspettative dei lettori e ammetto che non è facile, seppur stimolante. Ho già un paio di idee quindi penso che in autunno metterò mano alla sua nuova storia. Mi fa uno strano effetto pensare che sarà la sua sesta avventura, non lo avrei mai immaginato anni fa quando uscì per la prima volta; l’affetto che gli dimostrano i lettori è davvero qualcosa di unico. Per quanto riguarda Donati, considero la sua un’avventura fine a sé stessa, quindi per adesso non c’è un progetto futuro che lo riguardi, ma visto come è stato accolto il personaggio non mi sento di escluderlo proprio, anzi.
Sarebbe carino farli incontrare (cosa difficile visto che appartengono a due diverse case editrici) ma non credo ne nascerebbe una bella amicizia.

Nell’ultimo anno cosa hai letto che ti ha così colpito da consigliarne l’acquisto?

L’anno della pandemia non si era portato via solo la voglia di scrivere, ma anche quella di leggere. Penso sia stato il periodo in cui ho fatto meno in tutta la mia vita. Le uniche letture sono state saggi storici e cronologie di famiglie che servivano a delle ricerche per una storia molto particolare a cui sto lavorando, ma non mi sentirei di consigliarli. Mi sono ripromesso di fare una scorpacciata di letture questa estate e intendo dedicarmici in modo assiduo e costante, per cui posso dirvi quali saranno i miei primi titoli sotto l’ombrellone: Un colpo al cuore di Piergiorgio Pulixi (RizzoliNero), DarkWeb di Sara Magnoli (Pelledoca Editore) e Indagine Parallela di Rocco Ballacchino (Mursia).
Diego Collaveri

A cura di Fiorella Carta 

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