Intervista a Emiliano Dominici




A tu per tu con l’autore


L’antipatica è un libro incentrato tutto sulla figura della protagonista, sul suo dolore, come sono nati il personaggio e la sua storia?

L’idea de L’antipatica è nata in un momento molto particolare. Tornando in auto da un viaggio a Berlino ebbi una peritonite che, dopo l’operazione, mi costrinse al riposo forzato per alcune settimane. Durante la degenza la mia compagna, Alessandra, mi lesse ad alta voce Espiazione di McEwan, la cui protagonista, Briony, è tutto fuorché simpatica. Per cui, per anni, ho rimuginato sul fatto di scrivere un romanzo che avesse come protagonista un personaggio negativo (non sapevo ancora se sarebbe stato un uomo o una donna) verso il quale, nonostante l’antipatia, il lettore potesse provare una sorta di identificazione. Ho saputo sin da subito, prima ancora di sviluppare la storia, che il titolo sarebbe stato “L’antipatica”. Mi sembrava un buon titolo, e in fondo quell’aggettivo è diventato il tratto identificativo del personaggio principale, che infatti non ha nome. Ho cominciato a scrivere la storia ambientandola nella mia città, Livorno, e ad alternare il presente al passato, con una sorta di mistero che il lettore deve scoprire per poter comprendere il carattere e le azioni della protagonista.

La protagonista di L’antipatica non riesce a superare il senso di colpa per un errore commesso in passato, non si dà pace e si tormenta continuamente autoinfliggendosi una punizione perpetua allontanandosi dagli altri. Pensi che nella vita reale sia così? che una persona possa colpevolizzarsi talmente tanto da rischiare di annientarsi con le proprie mani? che il passato possa influire così tanto sul presente?

Non per tutti è così, ma per alcuni sì. Credo che vivendo in un paese culturalmente cattolico, il senso di colpa è qualcosa che fa parte di noi. Spesso proviamo sensi di colpa, a volte anche ingiustificati, nei confronti della famiglia, degli amici o delle persone meno fortunate. Il passato influisce sempre sul presente, è quello che ci ha reso ciò che siamo, e questo credo si capisca bene nel romanzo, dove il comportamento della protagonista deriva in gran parte da quello che le è successo con la madre, col padre, con gli amici, con l’amore.

Ho visto nell’essere antipatica un grido d’aiuto da parte della protagonista. Mi ha fatto pensare al capriccio di un bambino, mi comporto così per attirare l’attenzione su di me, sul mio dolore. Condividi il mio pensiero?

Lo condivido in parte. È vero che l’antipatica ha un bisogno di attenzione, ma in fondo lei non chiede aiuto a nessuno, non cerca di attirare troppo l’attenzione su di sé, il suo dolore non lo condivide con nessuno, e in questo senso è anche peggio, perché quello che ci fa star male e che non riusciamo a tirare fuori cresce dentro di noi fino a diventare un macigno, qualcosa di irremovibile e apparentemente insuperabile.

Oltre a L’antipatica hai scritto anche dei racconti, hai una preferenza tra i racconti brevi e i romanzi?

Io nasco come scrittore di racconti. Mi piace molto la sintesi, e credo che il racconto sia la forma in cui per molti anni mi sono espresso meglio. Mi sento più a mio agio con le forme brevi, infatti prima di scrivere romanzi ho scritto tantissimi racconti, poesie, spettacoli teatrali, canzoni, insomma tutte cose che possono essere concluse in pochi giorni. Ho dovuto fare uno sforzo, per passare a forme più lunghe di narrazione. Sono due modi di scrivere molto diversi. Come lettore sono attratto dai romanzi lunghi, come scrittore devo ancora capire dove posso arrivare.

Hai in serbo nuovo progetti per i tuoi lettori?

A settembre 2020 uscirà il mio nuovo romanzo, Gli anni incerti – Canzone di fine millennio, per la casa editrice effequ. È un lavoro a cui sono molto legato, perché ripercorre più di trent’anni di storia italiana, dal 1969 al 2001, in cui sono inserite le vite dei tre protagonisti, che come me nascono proprio nel 1969. Pur non essendo un romanzo autobiografico, contiene molto di quello che sono stato, i luoghi in cui ho vissuto, gli avvenimenti a cui ho assistito, le persone che ho conosciuto. È un romanzo piuttosto lungo, e di questo sono contento, perché mi ha dato la possibilità di lavorare in un altro modo rispetto alla scrittura di racconti o di romanzi brevi e di imparare cose nuove rispetto alla creazione dei personaggi e della storia. È un romanzo che, sotto il tono da commedia, nasconde un’inquietudine sottile, un modo di venire a patti con le delusioni piccole e grandi della vita. Mi ha dato inoltre la possibilità di parlare della vita dei bambini e dei ragazzi, che secondo me è l’età più interessante da narrare.

Conosci il genere thriller nordico? Apprezzi qualche autore in particolare?

Io sono un lettore onnivoro, leggo soprattutto romanzi e non faccio distinzioni di genere, dal mainstream alla fantascienza, dal noir ai romanzi più sperimentali (forse l’unico genere che mi piace meno è il fantasy). Tendenzialmente tento di alternare un classico della letteratura a un romanzo contemporaneo. Anni fa ho letto la trilogia di Uomini che odiano le donne, che ho apprezzato molto e che credo sia stato un grande apripista per tutto il genere di thriller nordici. Dei thriller, in generale, mi piace il fatto che tengano (o comunque dovrebbero tenere) l’attenzione del lettore fino alla fine. Nella scrittura sono sempre molto attento alle trame e ai finali, e questa cosa l’ho ereditata da mia madre che era una grande lettrice di gialli, e capiva subito se un libro che stava leggendo funzionava o no. Anche L’antipatica, secondo me, ha risentito di questa influenza, perché in certi momenti, soprattutto nella parte finale, sembra quasi un thriller psicologico, in cui c’è un mistero da scoprire che ci rivela il carattere e le debolezze della protagonista.

Emiliano Dominici

A cura di Ilaria Bagnati