Intervista a Francesco Recami




A tu per tu con l’autore


 

Buonasera Francesco, siamo felici di avere l’opportunità di rivolgerti qualche domanda!

La prima è quasi d’obbligo. Eugenio Licitra, Il Ragazzo, è uno studente fuorisede.  Lo sei stato anche tu?  Che cosa c’era nel tuo “bagaglio” quando te ne sei andato da casa e che cosa invece hai messo in valigia alla fine del viaggio?

Mi dispiace deludervi ma non sono mai stato uno studente fuori sede. Però ne conoscevo tanti e in particolare quelli che abitavano nell’appartamento dove è ambientato il romanzo, che erano miei compagni di studi. Studenti di Lettere e Filosofia. A essere onesto, per un anelito di autonomia, a un certo punto andai a vivere con due studenti romani, e quindi qualcosa ne so della divisione delle spese telefoniche, o della pulizia del bagno, delle discussioni a tarda notte. Ma in L’educazione sentimentale di Eugenio Licitra parlo di persone vere, che ho conosciuto, tranne il protagonista, Eugenio, che tutti chiamano Il Ragazzo perché è il più giovane. Quello me lo sono inventato.

Comunque credo che gli studenti fuori sede abbiano avuto e hanno una grande importanza, per la loro crescita e sprovincializzazione, la chiamerei decampalinizzazione, di cui oggi c’è tanto bisogno, e anche per le città universitarie stesse, che senza studenti fuori sede languono. Il lato positivo è simile a quanto succede con l’Erasmus. Si conoscono mondi diversi, si formano coppie diverse, ci si libera dalla dannazione di restare nella propria città, a qualsiasi costo.

Nel romanzo affronti tanti temi, si parla di filosofia, di politica, di amicizia. Eppure è centrale nel percorso di crescita di Eugenio la scoperta dell’amore e della sessualità. Che cosa gli danno in più queste esperienze?

Beh, il Ragazzo viene da Ragusa, Firenze come se la immagina lui è la capitale della cultura, del pensiero politico, del nuovo, anche di una nuova concezione dei rapporti sentimentali e sessuali. In parte dovrà ricredersi. Naturalmente la cosa che gli interessa di più è l’eros, ma su molte cose, a quell’epoca di grandi sommovimenti, capisce di essere un po’ indietro, legato a vecchi schemi. E gli schemi cambiano ogni giorno. Ma seguirà la sua formazione: è alla ricerca di qualcosa che non sa precisamente cosa sia, per esempio il pianeta femminile. Ne avrà riscontri contraddittori, frustranti ed esaltanti. Cosa c’è di più naturale?

La storia di Eugenio è un romanzo di formazione e in questo senso potrebbe essere ambientato in qualsiasi epoca, tocca infatti temi che sono universali.  Perché hai scelto proprio la fine degli anni Settanta?

Perché sono i miei, io ho la stessa età del Ragazzo e ho lavorato di memoria personale e di ricerca su quegli anni, sui quali si è molto parlato, perlopiù come gli Anni di piombo. Invece io mi ricordo aspetti di leggerezza e di speranza, e anche scene molto divertenti. Certo un grande disorientamento, ma anche consapevolezza e senso di autocritica, soprattutto contro gli stereotipi eversivi o conservatori, pur egemonici. Sugli anni di piombo sono stati scritti fiumi di inchiostro: io non scrivo per temi, i temi sono roba da giornalisti e da insegnanti. Racconto solo una storia che si trasforma da picaresca ad avventurosa a malinconica, ambientata negli anni Settanta.

La Seicento Abarth di Loris è il simbolo di quegli anni e fa un po’ da filo conduttore alle avventure dei tre coinquilini nel corso del romanzo. Cosa c’è dietro questa scelta?

In realtà il simbolo automobilistico degli anni Settanta non può essere che l’Alfasud, la utilitaria prodotta a Napoli col marchio prestigioso del Biscione. Il Ragazzo e i suoi amici, Loris e il Saggio, hanno invece una FIAT 600, il simbolo indiscusso della famigliola anni Sessanta. Ma è truccata, una Abarth 850 TC, perché gli anni Sessanta volevano andare oltre i propri limiti. E sfideranno l’Alfasud. È una sfida fra due decenni, quello del boom e della crescita (truccata) e quello delle lotte sindacali, dello sviluppo industriale anche del Sud, di una nuova classe operaia. Chi vince non lo dico qui, ma l’esito avrà un effetto anche sui “miei” ragazzi. La formazione è possibile per un susseguirsi di vittorie e di sconfitte.

Tra Loris, Il Saggio e Il Ragazzo, ce n’è uno a cui sei più affezionato? Perché?

Loris e il Saggio esistono davvero e sono tutt’ora miei amici. Come faccio a non essere affezionato a loro? Il Ragazzo mi fa più tenerezza perché è più sprovveduto. In Sicilia, al Liceo, faceva il gradasso, si vantava di prestazioni sessuali inesistenti, a Firenze deve ripensarci, ma in lui c’è una grande ambizione alla conoscenza, al pensiero filosofico, alla crescita, alla femmina. È un bravissimo ragazzo, scopre l’amicizia oltre al desiderio. Non tradirebbe mai nessuno.

Saremmo proprio curiosi di sapere che fine hanno fatto Eugenio e i suoi coinquilini.  Ci sarà un seguito? 

Ci sto lavorando. La mia idea è di rivederli insieme nel 1987, dieci anni dopo, nei mitici anni Ottanta. Quando loro hanno una trentina d’anni il busillis non è più la formazione di una identità personale ma la coppia. Ci sarà chi si sposa e chi no, la scena si sposta a Rimini, un simbolo degli anni Ottanta, che spesso vengono considerati come anni della leggerezza e della libertà. Ma è vero?

Anche per questo decennio ho scelto un’automobile come simbolo: quale potrebbe essere se non la Golf GTI?

A cura di Chiara Alaia

 

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