Intervista a François Morlupi




A tu per tu con l’autore


 

Tecnicamente un romanzo corale come il tuo “Come delfini tra pescecani” viene chiamato “procedural” e richiama alla mente i gialli di Ed McBain con l’87° distretto. In un suo racconto, “Le ore vuote”, il grande giallista italoamericano scrive: “ Il lavoro della polizia è ben diverso da un libro giallo. Niente s’incastra in uno schema prestabilito. Il punto culminante di ogni caso è quasi sempre la scoperta di un cadavere che dà, appunto l’avvio alle indagini. Non c’è nessun crescendo programmato: la suspense esiste solo nei film. Ci sono solo persone e moventi contorti, piccoli dettagli senza un preciso perché, coincidenza e imprevisti. Poi il tutto si combina a formare una sequenza di eventi, ma non c’è mai una vera trama gialla. C’è solo la vita, qualche volta la morte, e nessuna delle due segue le regole precise. Ai poliziotti i gialli non piacciono, a causa del controllo dell’autore sui fatti che invece non esiste nelle loro autentiche, a volte noiose, a volte spettacolari, a volte banali indagini su un caso. E’ molto comodo e bello avere tutte la tessere di un mosaico che combaciano perfettamente. E’ molto gentile considerare gli agenti investigativi come matematici di fama, intenti ad un problema algebrico in cui le costanti sono la morte e la vittima e di cui l’assassino è l’incognita. Ma molti di questi poliziotti si trovano nei guai anche solo a fare i conti con il loro stipendio.”

Penso che questo sia il perfetto paradigma di ogni indagine poliziesca e nel tuo noir si condensano tutte le intuizioni di McBain. Hai avuto come fonte d’ispirazione l’87° distretto o la tua creatività ha seguito altri percorsi?

Ho avuto sicuramente come fonte d’ispirazione, tra le tante, anche Ed Mcbain. Condivido con lui la volontà di descrivere un’indagine veritiera, assolutamente procedurale e senza deus ex machina che risolve tutto alla fine. Si procede passo dopo passo, indizio dopo indizio, e si va, a volte, anche a colpi di fortuna o di intuito. Poi è evidente che “come delfini tra pescecani” non è un documentario, pertanto ci sono sicuramente alcune forzature per animare la trama e renderla appetibile, alcune scene romanzate che esaltano un noir spesso crudo ma pur sempre realistico. La mia creatività è partita dai personaggi e dalle loro personalità e anche da Roma. Vivendola tutti i giorni, ho raccontato anche, tante scene quotidiane vissute personalmente o indirettamente.

Molti giallisti hanno cominciato a scrivere per poter leggere dei romanzi che fossero di loro gradimento. E’ successo anche a te? Qual è il tuo retroterra da lettore e quali sono i generi che preferisci?

Penso siano tanti i fattori che mi hanno iniziato alla scrittura. Innanzitutto la condizione sine qua non del sapere scrivere è il leggere tanto. Prima di essere scrittore, si è lettori. Io ho divorato per decenni gialli, thriller e noir. Adoro il noir mediterraneo di Markaris, Izzo ma anche quello nordico di Indridason, Nesbo e ovviamente Mankell e la coppia Wahlöö-Sjöwall. Essendo italo francese ho avuto la possibilità di accedere ai polar di autori transalpini che mi hanno senza dubbio ispirato. Thilliez, Chattam, Bussi, Lemaitre, Manook. Giebel, Minier…sono tutti autori che adesso stanno invadendo il mercato italiano e stanno ricevendo il successo che meritano. Ho avuto la fortuna di leggerli anni fa in lingua originale. Sicuramente tutte queste letture hanno seminato qualcosa che ha avuto poi l’effetto di ispirarmi. Poi non ti nego che sono rimasto deluso da alcuni gialli tanto acclamati dalla critica internazionale…e invece di criticare soltanto, ho voluto mettermi alla prova! Ed eccomi qui con la Salani e il mio noir.

Gustave Flaubert disse “Madame Flaubert c’est moi!”. Quanto di te c’è nei tuoi personaggi?

Mai frase fu più veritiera! Ogni protagonista prende spunto dal sottoscritto o dalla mia cerchia di amici e famigliari. Ad Ansaldi ho donato la mia passione per l’arte (non l’ansia per fortuna!), a Di Chiara l’essere romanista, amante della pizza e del cinema coreano sottotitolato, a Leoncini la passione per la seconda guerra mondiale, a Eugénie il background italo francese e infine ad Alerami…la mia bellezza! Scherzi a parte Alerami è probabilmente l’unico personaggio totalmente estraneo alle mie passioni e alla mia personalità. Ho voluto condividere con i lettori alcune mie passioni e sempre nel tentativo di essere più realistico possibile, offrire personaggi umani in cui i lettori potevano immedesimarsi.

Nel tuo romanzo emerge una Roma molto degradata e piena di problemi, molto lontana dalla città da cartolina che viene mostrata in certi gialli anche televisivi ma ho notato anche una certa dose di speranza. Pensi che le cose possano migliorare?

Il rapporto con la città per i cinque poliziotti di Monteverde è come un rapporto d’amore con la loro donna ideale; Roma è capace di far trasformare la loro giornata dall’inferno al paradiso o viceversa, in un secondo. Se da un lato Roma è senza dubbio la città più bella del mondo, dall’eterna bellezza incontrastata, dall’altro lato tutto questo, penso per noi romani, non basta più poiché non è sinonimo di vivibilità. E’ evidente che constatiamo ogni giorno un degrado lento ma inarrestabile. Traffico, buche, sporcizia, rumori…chi più ne ha più ne metta. Anche per questo nel mio noir,  l’indagine è una scusa per poter raccontare altro come Roma, assoluta protagonista che non è né vittima né testimone ma anzi agisce e interferisce con i suoi capricci con le indagini lungo tutte le 416 pagine del romanzo. La speranza che le cose migliorino c’è, ma è evidente che il problema di Roma sono anche i romani; il cambiamento prima di passare dalle istituzioni, deve passare da noi cittadini. Dovremmo rispettarla di più, in tutti i sensi.

Sottolineo anche che il romanzo risulti, in alcuni passaggi, ironico, poiché penso che una delle caratteristiche di noi romani, sia appunto l’ironia. Senza di essa, abitare nella città più bella del mondo sarebbe ancora più difficile.

“Come i delfini tra pescecani” è ricco di citazioni, similitudini e spunti culturali che si integrano perfettamente nella trama dando anche un rumore di fondo condiviso tra i lettori. A me questa cifra stilistica è piaciuta molto. Ha avuto altri riscontri su questo personale stile narrativo?

Devo ammettere che questa tecnica narrativa e di scrittura sembra piacere molto. Non ho la presunzione di offrire risposte ma almeno di porre interrogativi ai lettori questo sì.  “Un grand livre est un livre où l’on peut mettre beaucoup de choses.” sosteneva il filosofo francese Joseph Joubert e io sono d’accordo con questa disamina. Molti lettori mi hanno riferito di apprezzare i molteplici riferimenti culturali, cinematografici, artistici, storici, letterari che permettono loro di scoprire nozioni sconosciute o magari approfondire alcuni argomenti. E’ evidente però che bisogna sapere dosare queste citazioni molto bene nella trama; non devono assolutamente rallentare l’indagine né ostacolare il climax narrativo. Spero di esserci riuscito.

Biagio Maria Andaldi, il tuo eroe ansioso e ipocondriaco subisce un’evoluzione positiva dovuta anche all’interazione con una gentile libraia. Ci saranno ulteriori sviluppi?

Questo non lo so nemmeno io! Però tengo a sottolineare quanto io tenga Ansaldi, per due motivi molto semplici. Il primo: rappresenta per me l’elogio della fragilità; per questo è umano e veritiero. Va controcorrente in confronto a ciò che la società ci impone, ovvero una persona perfetta sia fisicamente che mentalmente. Lui non è così; non vuole apparire ma essere. Piange e non se ne vergogna. Il secondo motivo è che Ansaldi è la dimostrazione che si può convivere con l’ansia, di cui tutti soffriamo (ovviamente con vari gradi di intensità). Infatti non solo Ansaldi arriva sano e salvo a casa e si rialza dopo ogni caduta, ma guida anche con mano ferma un commissariato e dalle sue scelte dipendono le vite dei suoi sottoposti. Trovo molto bella questa immagine: da un lato la società che tenta di veicolare il messaggio dell’uomo perfetto e dall’altro lato il commissario, che grazie alla sua sensibilità differente arricchisce con valori, conoscenze e cultura la società stessa.

Tra i tanti personaggi del tuo libro appare anche un iperattivo ministro presenzialista e fanatico delle divise, la cui presenza aggiunge un tocco di satira politica alla trama gialla, e che ha un tragicomico scontro con Ansaldi. Hai avuto problemi nell’inserire questo siparietto?

No anche perché non ho voluto criticare un politico in particolare o uno schieramento. Essendo italo francese, posso confrontare il mondo politico dei due paesi. In Francia sarebbero impensabili alcune cose, tra cui ovviamente quella di indossare una particolare divisa a seconda del ministero che si occupa. Una pratica troppo spesso diffusa nel nostro paese, in maniera trasversale tra le forze politiche. Ho voluto scherzarci su, creando appunto una situazione tragicomica.

Nell’ipotetico film tratto da “Come delfini tra pescecani” se potessi scegliere in piena libertà la colonna sonora, quali artisti ospiteresti e, conoscendo la tua grande passione per Battiato, quale sua canzone inseriresti?

La mia passione per il Maestro mi porterebbe a scegliere tantissime sue canzoni; probabilmente la maggior parte per l’epilogo. Sceglierei per quel capitolo “L’ ombra della Luce” e “Fisiognomica”. Per la trama ambientata anni 90 sicuramente canzoni di quel periodo: Bittersweet symphony dei Verve, You get what you give dei New Radicals, Tubthumping dei Chumbawamba, Placebo-Bitter End, The Cardigans-Favourite Game….Per le restanti parti M83-Nouveau soleil, Kavinsky-Nightcall e Mitumme-Supereroi.

François Morlupi

A cura di Salvatore Argiolas 

 

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