Intervista a Gaia Bermani Amaral




A tu per tu con l’autore


 

Leggendo il romanzo, mi sono trovata di fronte a una storia di segregazione e torture, narrata in modo realistico. Ho sentito sulla mia pelle il freddo delle stanze del convento e il dolore provato da Elda durante le punizioni inflitte con il flagello. Sinceramente mi sono stupita che una giovane e bella attrice dalla vita dorata, almeno in apparenza, sia riuscita a descrivere così bene una storia tanto atroce. Come è riuscita a mettere sulla carta tante emozioni negative e a raccontare la realtà claustrofobica del monastero della Madonna della Catena? 

Credo che ognuno di noi custodisca dentro di sé quella stanza buia, fredda e spaventosa, dove nessuno può entrare. Io ho attinto alle mie cicatrici, al mio lato d’ombra per sentire in prima persona tutte le difficoltà vissute da Ada. L’esperienza del dolore è qualcosa che fa parte della natura umana. Io ne ho fatto tesoro. Inoltre mi sono molto documentata sui luoghi descritti nel romanzo, in particolar modo, sulla struttura del monastero di clausura, lasciandomi poi guidare dall’istinto.

Manuzzelle è ambientato in Sicilia, nei pressi delle Madonie. In molti dialoghi, soprattutto quelli tra Ada e la madre, compare il dialetto siciliano. È stata una scelta coraggiosa, che potrebbe non essere gradita a tutti i lettori, confesso che in alcune pagine anch’io mi sono trovata in difficoltà a capire il siciliano non tradotto. Qual è stato il motivo di questa scelta?

Ho scelto la Sicilia come luogo in cui ambientare la mia storia perché è una terra antica, viscerale, legata alle origini. Ada, non fa che cercare di ricompattare quelle radici perdute nel corso del romanzo, e il dialetto era un modo per rendere più evidente questa sua necessità, dando corpo a un personaggio più vero, credibile e potente. Anche quando ho interpretato Bianca nel film Original Netflix “L’ultimo Paradiso” di Rocco Ricciardulli accanto a Riccardo Scamarcio, il fatto di aver studiato per mesi l’accento e la parlata pugliese mi ha avvicinata moltissimo a Bianca. Perché quando cambi il modo di parlare, ti cambia anche la voce, le movenze, il piglio, l’anima. Forse ha influito anche questa mia esperienza.

Una delle tematiche più importanti del libro è il valore dell’amicizia, che porta la protagonista a fare una scelta estrema pur di ritrovare l’amica d’infanzia, fattasi monaca di clausura. Nella sua vita, che ruolo riveste l’amicizia, è fondamentale anche per lei?

A volte mi sento orfana di una grande amicizia e vorrei anche io incontrare la mia Ada o la mia Elda. Quando mi sono trasferita dal Brasile in Italia a soli nove anni, è stato uno strappo. Ho sentito di perdere le mie radici e un’amica del cuore con cui ero cresciuta fino ad allora. Come per Ada, il mio percorso di vita, è stato in qualche modo un’opera di ricostruzione. Di tutto. Dei rapporti umani, della mia identità perduta, del coraggio di esprimere la mia essenza originaria. Non a caso, Manuzzelle, è un romanzo sull’amicizia ma anche sulla perdita e sull’ostinato bisogno di ricostruire, recuperare ciò che è andato perso.

Sono rimasta colpita dai personaggi femminili del romanzo, si tratta di donne forti e coraggiose. Penso a Ada, Piera, Suor Aurora e non solo. Per delineare così bene il loro carattere, ha preso spunto dalla realtà, nella sua famiglia ci sono state persone con queste caratteristiche, oppure ha trovato altrove l’ispirazione?

Alla madre di Ada, Piera, ho dato il nome della nonna materna che non ho mai conosciuto perché è venuta a mancare troppo presto. Ada ha qualcosa di me e qualcosa che vorrei avere. Gli altri personaggi sono frutto dell’istinto che mi ha guidato durante tutto il corso della stesura del romanzo. Partivo da un piccolo dettaglio, come a esempio, le lentiggini della giovane suor Speranza e pian piano arrivava tutto il resto.

Il finale è particolarmente angoscioso e torna spesso il simbolo di una civetta, la Civetta di Minerva, trascendendo quasi nel soprannaturale. Senza rivelare troppo ai futuri lettori, può dirci perché ha fatto questa scelta? Ci sono state delle letture che l’hanno ispirata?

Mi sono molto divertita a studiare i vari simboli che ho utilizzato nel romanzo. Oltre alla civetta ci sono le molteplici figure del famoso trittico di Bosch, il Giardino delle Delizie. Tra loro ho creato un intreccio intrinseco di significati che Ada ha dovuto decifrare per sciogliere il grande mistero custodito nel monastero della Madonna della Catena. È stato un bel lavoro di documentazione e di ricerca, con rimandi alla letteratura classica, al simbolismo, al mondo esoterico. Forse un romanzo da cui hanno tratto una celebre serie tv ha stimolato la mia fantasia. Mi riferisco all’opera di Margaret Atwood “Il racconto dell’ancella”.

A cura di Chiara Forlani

 

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