Intervista a Giorgio Ballario




A tu per tu con l’autore


Ciao Giorgio ti ringrazio anche a nome di ThrillerNord per averci concesso quest’intervista.

Grazie a te, allo staff e ai lettori di ThrillerNord

Nella nota al tuo libro “Il tango dei morti senza nome” citi una frase molto interessante dello scrittore inglese Jake Arnott, “Il noir riflette la società come se fosse uno specchio rotto. Riflette a pezzi. Mostra la società attraverso frammenti. Perché è l’unico modo in cui si può descrivere la società”. Pensi anche tu che il noir sia un potente strumento per capire la realtà contemporanea?

Sì, al di là delle frasi ad effetto che sempre si usano ai convegni o nelle interviste quando si parla di noir, penso che la definizione di Arnott sua azzeccata. E cioè che questo genere letterario sia una forma di romanzo sociale, forse più ancora di altri. Naturalmente non tutti, non è un obbligo scrivere romanzi polizieschi a sfondo politico, sociale e di costume, ma credo che questa capacità sia nelle corde di molti autori contemporanei, così come lo è stato in passato. Scrivere un romanzo implica sempre confrontarsi con la società che si ha davanti e se si tratta di un noir è inevitabile che si descriva la parte più oscura.

Qual è la genesi del personaggio di Hector Perazzo, l’originale investigatore protagonista di “Il tango dei morti senza nome”?

Hector è nato con il romanzo “Il volo della cicala”, che venne pubblicato nel 2010 da un editore che ora non esiste più, Angolo Manzoni. Poi è ricomparso nel 2013 con “Nero Tav” (Cordero Editore) e infine nel 2020 con “Torino non è Buenos Aires” (Edizioni del Capricorno). A suo tempo decisi di confrontarmi con una delle figure più iconiche del genere poliziesco, cioè l’investigatore privato, personaggio che dai tempi di Sherlock Holmes, e poi di Chandler, Hammett, Scerbanenco, Léo Malet e Vàzquez Montalbàn, si è sempre ritagliato un ruolo importante nel genere noir. Per provare a differenziarmi l’ho immaginato argentino di origine italiana, una specie di emigrato di ritorno che lascia Buenos Aires negli anni Ottanta e arriva a Torino, la città dei suoi avi. Quindi un uomo sradicato, con due patrie e talvolta nessuna.

Come mai hai scelto di ambientare il quarto episodio della serie dedicata a Hector Perazzo a Buenos Aires, città ricca di fascino e decisamente incline al noir ma poco frequentata dagli scrittori non argentini?

Mi piaceva l’idea di farlo tornare nella città dov’è nato e dove ha vissuto fino quasi a trent’anni, di fargli rivedere vecchi amici e colleghi della policìa federal. E naturalmente mi affascinava l’idea di ambientare un romanzo a Buenos Aires, città che conosco bene, dove sono stato più volte e ho tanti amici. Una città straordinaria e, come giustamente osservi tu, che si presta molto bene come scenario noir. Non a caso il poliziesco argentino, la “novela negra”, è da sempre ricca di ottimi autori e romanzi di grande livello, purtroppo in Italia poco conosciuti. E poi la storia argentina si presta moltissimo a diventare spunto per vicende nere e poliziesche, vuoi per il recente passato di terrorismo, guerriglia e dittatura, vuoi per i tempi più recenti in cui si intrecciano episodi di corruzione, sfruttamento economico e narcotraffico, oltre a una violenza endemica negli strati più poveri della società.

Ci sarà un’altra avventura di Hector Perazzo, personaggio che è anche un omaggio ai grandi protagonisti dell’hard boiled?

Credo di sì, ormai sono affezionato al personaggio anche se per ora non c’è nulla in cantiere. Sì, Perazzo è una specie di omaggio ai grandi detective del genere hard-boiled, anche se attualizzato ai giorni nostri, in cui l’investigatore privato non è più il Marlowe che attende i clienti bevendo whisky con i piedi appoggiati alla scrivania. La professione è molto cambiata ma Hector, che non è più giovanissimo, per motivi anagrafici e romantici guarda più al Novecento che all’attualità. E anche in quest’ultima indagine, “Il tango dei morti senza nome”, è costretto ad andare a scandagliare fatti accaduto quasi quarant’anni prima.

Tu hai scritto anche una serie di gialli ambientati in Africa Orientale all’epoca della guerra d’Etiopia Come mai hai scelto questo periodo così ricco di suggestioni storiche?

I gialli storici di ambientazione coloniale con il maggiore Morosini cronologicamente vengono prima, di fatto ho cominciato a scrivere con lui come protagonista (il primo romanzo uscì nel 2008). A parte l’interesse personale per l’esperienza coloniale italiana, un fenomeno storico, umano e sociale poco conosciuto, ho pensato che l’epoca e lo scenario (cioè l’Africa orientale italiana) potessero essere una scelta originale per ambientarvi un romanzo giallo. All’inizio, infatti, non pensavo ancora a scrivere una serie, come poi è accaduto. Insomma, nella piccola società italiana riprodotta in Africa e negli sconfinati territori di Eritrea, Somalia ed Etiopia ho immaginato il quadro ideale per indagini poliziesche che sfociassero nell’avventura tout-court: per molti italiani degli anni Venti e Trenta l’esperienza coloniale è stata paragonabile al mito della frontiera americana, per certi versi era il nostro Far West. Ambientarvi un romanzo giallo (che ovviamente è anche storico, perché la cornice è la più accurata possibile) mi è sembrato un modo originale per evadere dalla miriade di commissari di provincia che affollano il giallo italiano contemporaneo.

A quale tuo personaggio sei più affezionato?

Domanda scomoda, come chiedere a un genitore quale figlio preferisce. Il maggiore Morosini è stata la mia prima creatura letteraria, è la più longeva e tuttora è quella che riscuote il maggior successo fra i lettori; però Hector Perazzo è come quei secondogeniti un po’ discoli e anarchici ai quali è impossibile non voler bene. Fra l’altro muovendosi negli anni a me contemporanei consente anche descrizioni sociali e di costume che con il giallo coloniale non posso fare. Li amo alla stessa maniera, così come sono affezionato a due personaggi più “oscuri” che hanno attraversato altri due miei romanzi non seriali: l’avvocato truffatore Fabio Montrucchio, protagonista de “Il destino dell’avvoltoio”, e il killer malinconico Dante Finazzi che compare in “Niente di personale”.

Quali sono i tuoi prossimi progetti narrativi?

Al momento sono impegnato a scrivere la sesta indagine del maggiore Morosini, che spero di far uscire per fine anno. Poi si vedrà.

Quali sono gli autori di noir/thriller che leggi con maggior interesse?

Come puoi immaginare leggo moltissimi gialli, noir e thriller, ugualmente divisi fra autori contemporanei e del passato. Se proprio devo fare i nomi degli scrittori preferiti, che sono anche un modello ideale cui tendere, dico sicuramente Simenon, Scerbanenco e Vàzquez Montalbàn. E sul versante Usa non posso non citare Chandler, Hammett, Jim Thompson e Don Winslow. Negli ultimi anni ho trovato molto interessanti le opere dello scozzese Alan Parks e dell’inglese Lawrence Osborne, che non scrive gialli ma romanzi di costume a tinte noir. Fra gli italiani non mi delude mai Valerio Varesi. E poi da qualche tempo sto approfondendo la mia passione per gli autori latinoamericani, in particolare argentini e uruguaiani: ho scoperto alcune perle che in Italia purtroppo non si conoscono.

Giorgio Ballario

A cura di Salvatore Argiolas 

 

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