Intervista a Sara Di Furia




A tu per tu con l’autore


 

Innanzitutto Le esprimo i miei complimenti poiché il suo libro mi è piaciuto moltissimo. Ho apprezzato questa storia densa di misteri che si intreccia ad alcuni enigmi inquietanti. Il finale poi… mi ha lasciata davvero sbalordita. Per il suo romanzo ha scelto di parlare di Francisco Goya, un artista alquanto occulto che ha vissuto una vita piuttosto travagliata. Perché ha dedicato un libro proprio a questo grande pittore? C’è qualche ragione specifica?

Grazie a Lei per i complimenti, sono davvero felice che la mia storia stia affascinando così tanti lettori, ma il merito è soprattutto di Francisco Goya e della sua arte. Quando, anni fa, decisi di dedicare un mio romanzo alla pittura non trovai difficoltà nell’individuare il genio che mi avrebbe ispirata. Tutti gli artisti, in generale, sono individui particolari con un loro “sentire la realtà” del tutto personale, ma Goya era un’anima tormentata, mai paga… un soggetto interessante da studiare e indagare. In fondo, come ho scritto nel libro, “è negli abissi in cui sprofondiamo che troviamo ispirazione per la nostra arte” (e gli scrittori non ne sono immuni).

Com’è nato il protagonista Manuel? A cosa si è ispirata?

Manuel, apprendista del famoso pittore di Corte e voce narrante di ciò che accade nell’estate in cui ho ambientato il romanzo, è nato senza troppe riflessioni. Essendo insegnante nella scuola secondaria di secondo grado ho visto e pensato il mio protagonista come riflesso dei miei studenti. Della loro sete di sapere, del loro bisogno di affermazione, della loro ricerca d’identità, delle loro paure e speranze, Manuel doveva essere l’emblema. Mi sono quindi ispirata alla realtà per dare vita a un personaggio di fantasia. In un romanzo storico tutto deve apparire credibile e i giovani, per quel che riguarda il loro percorso di crescita, non sono cambiati nei secoli.

“Il ragazzo che reggeva l’ombrellino, da cosa voleva proteggere la sua amata? Dal sole o dalla pioggia in arrivo? La fanciulla, con un fiore rosso tra i capelli, teneva un cagnolino accoccolato vicino” (Cit. L’Apprendista di Goya). “L’ombrellino” o “Il Parasole” è un dipinto di Francisco Goya che ha un ruolo fondamentale nel libro. Perché ha scelto di rendere protagonista del romanzo proprio quest’opera? C’è qualche motivo in particolare?

Ho visto quel dipinto al museo del Prado di Madrid e i colori usati da Goya mi hanno subito catturata. Al contrario delle opere di altri pittori esposte al museo, nel Parasole non sono state utilizzate tinte morbide e tenui per creare giochi di sfumature, ma l’artista ha rotto gli schemi con colori decisi, nitidi, così energici da non riuscire quasi a sostenerne la vista. Questo taglio dato all’opera mi ha impressionata e ho pensato che il giovane Goya avesse coraggio da vendere. Volevo che quel coraggio e quella grinta tornassero a vivere anche tra le parole del mio romanzo.

Se Lei avesse la possibilità di porre una sola domanda a Francisco Goya, cosa gli chiederebbe?

Con voce tremante e il cuore in gola, gli chiederei se con la mia arte sono riuscita a rendere giustizia e onore alla sua.

Il suo thriller è ben documentato. Si nota, infatti, una singolare cura nei dettagli storico-artistici. Immagino che Lei avrà dedicato al libro molta ricerca e tanta passione. Ha avuto difficoltà a recuperare il materiale di studio? Ci può raccontare della sua esperienza di ricercatrice?

Prima di scrivere la prima frase che apre il libro, ho speso otto mesi per lo studio di diversi aspetti. In primo luogo per l’ambientazione. Quando si scrive uno storico è fondamentale trasportare il lettore nel passato e l’ambientazione è la macchina del tempo che permette di fare ciò. Se ben costruita è possibile creare una solida linea temporale lungo la quale il lettore riesce a muoversi con disinvoltura. Ho dedicato inoltre molto tempo alla tecnica pittorica di fine ‘700. Non essendo una pittrice, ho dovuto studiare nei dettagli l’arte dell’epoca, ma quel che si legge nel romanzo a questo proposito è solo una piccola parte delle conoscenze che ho appreso durante questo periodo di formazione che ricorderò come uno dei più emozionanti. Ovviamente non potevo poi esimermi dal conoscere in modo approfondito la biografia di Francisco Goya attorno alla quale ho creato la trama del romanzo. Mi sono anche dedicata allo studio di anatomo-patologia per rendere realistico tutto ciò che avrebbe riguardato le mie vittime. Sì, perché in questo libro si parla senza dubbio di arte, anche di paura e sangue.

Ci sono state letture particolari o scrittori che hanno ispirato il suo lavoro?

In particolare non direi. Ho letto però molti autori spagnoli contemporanei perché la terra e la cultura d’origine trasuda sempre nel modo di pensare e di scrivere. Io avevo bisogno di ritrovare la Spagna attraverso loro parole per poi farle vivere di nuovo tra le mie.

Sta scrivendo un nuovo libro? Ci può anticipare qualcosa?

Come si dice in gergo giornalistico Top secret, ma si sa che gli scrittori non si fermano mai…

La ringrazio, è stato un piacere poterla intervistare. Congratulazioni per la sua abilità di scrittrice.

Grazie a Lei per aver dedicato tempo e attenzioni al mio L’apprendista di Goya.

Sara Di Furia

Manuela Moschin

 

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