Intervista a Silvio Muccino




A tu per tu con l’autore


A tu per tu incontra Silvio Muccino, che in occasione dell’uscita del suo ultimo romanzo “Quando eravamo eroi”, ci ha regalato un po’ del suo tempo, rispondendo alle domande della nostra Sabrina De Bastiani.

Silvio, la prima di tante riflessioni  terminato il tuo ultimo romanzo “Quando eravamo eroi”, si riferisce alla connotazione e caratterizzazione positiva che hai dato alle figure femminili: Eva la bellezza, la sensibilità, l’apertura mentale che abbraccia, la capacità di amare a prescindere;  la madre di Alex, la saggezza dell’esperienza, l’amore, il gettare la maschera, empiricamente così ben reso dallo struccarsi in camerino;  Nina l’entusiasmo, la giovinezza pura intesa come animo; Samantha stessa, se vogliamo, per la determinazione.   Questi elementi positivi, di grande forza, spiccano ancora di più in relazione alle figure maschili sia dei protagonisti che dei comprimari (padri, suoceri..). Uomini impantanati nell’insoddisfazione, nell’irrisoluzione, rancorosi per questo gli uni verso gli altri ma prima ancora verso se stessi.  In mezzo Alex, il centro di tutto, lo yin e lo yang. E’ stata voluta da subito questa dicotomia così accentuata o è stata la storia, le storie, via via che si sviluppavano, a “condurtici”?

Sicuramente sono un uomo che è molto più affascinato dall’universo femminile che da quello maschile. E il motivo è semplice: mi attrae ciò che non riesco a comprendere. In questo senso Alex rappresenta il desiderio di integrare il femminile (inteso come coraggio, sensibilità e profondità) in un universo maschile dominato dal bisogno di controllo e di razionalità, e che sicuramente descrivo come meno “virtuoso” di quanto agli uomini piace raccontarsi. A dispetto del titolo i miei personaggi sono tutti antieroi, e forse sono proprio le loro fragilità a renderli così speciali, la loro capacità di vivere con coraggio dubbi e paure. Quello è il loro vero superpotere.

Pur essendo molti, e molto importanti, i temi che affronti, con grande coraggio e sensibilità, trovo che il filo rosso che li lega sia l’apparenza, l’immagine che diamo rispetto a quello che siamo, e quanto ciò provochi frizioni se non addirittura fratture in noi stessi. Ricorrono, infatti, molto spesso nel romanzo, riferimenti a maschere, fotografie, specchi. Quanto di ciò è dovuto al fatto che tu sia anche un attore, un uomo di immagine, abituato a confrontarti con l’apparire? Mi spiego meglio,  che ruolo ha avuto la tua esperienza personale nello stimolarti questa riflessione? Come vivi questo dualismo?

Essere diventato famoso a sedici anni è stato ovviamente un privilegio.  Ma poi ha rappresentato anche un ostacolo alla mia crescita, perché in un età in cui è normale cambiare, trasformarsi, e mettersi in discussione, il cinema ha cristallizzato la mia immagine identificandomi con i film che facevo. Con gli anni mi sono reso conto di essere molto più complesso dei personaggi di celluloide che interpretavo e ciò che desideravo davvero era esprimere quella complessità, togliermi la maschera del giovane attore per permettermi il lusso di conoscermi a fondo e raccontarmi con maggiore libertà.

Si percepisce nettamente quanto tu abbia amato i tuoi personaggi, nessuno escluso, e la misura di questo è data anche dalla tua scrittura, baciata da una fluida versatilità. Sei stato in grado di modulare una voce diversa per ogni protagonista, dando resa  perfetta alla loro identità. Ti immagino scrivere “uscendo” da Silvio Muccino e “vestendoti” via via di Alex, Eva, Torquemada, Rodolfo, Melzi. Come hai trovato, (ri)conosciuto loro e le loro  voci?

In questo sì, la mia esperienza da attore, mi è stata molto utile. Perché sono partito proprio dall’analisi dei miei personaggi. Avevo bisogno di conoscerli a fondo, di sentirli vivi, pulsanti, autonomi per poter raccontare con verità questa storia. La prima persona è stato il grimaldello che ho usato per scandagliare la loro anima. E una volta scritti i primi cinque capitoli dove ognuno si “presenta”, ho sentito che non aveva senso fare scalette o pianificare gli eventi, perché sarebbero stati i miei personaggi a indicarmi la strada. Mi sono lasciato sorprendere da loro, spiazzare alle volte, perché erano diventati reali. Non volevano sottostare al volere dello scrittore, pretendevano la libertà di agire secondo la loro coerenza e il loro sentire. E questo ha reso la scrittura del testo avvincente, sorprendente e ricca di emozioni.

“Quando eravamo eroi” è una storia di passato e di futuro, il presente  una sorta di ponte tra questi due momenti. Sei d’accordo? Perché, nelle dinamiche delle vite che racconti, è tanto importante attraversarlo insieme questo ponte? Cosa sarebbe cambiato, cosa sarebbe stato se gli alieni, se anche uno solo  di loro, non avesse raccolto il messaggio di Alex?

Avrebbero perso un occasione, credo, l’occasione di riprendere in mano ciò che si è smarrito lungo la strada, quella scintilla di originaria diversità che il mondo non gli ha permesso di coltivare,  la speranza di essere ancora gli “eroi” della propria vita. Alex offre ai suoi amici la possibilità non solo di un confronto, ma anche di fermare il tempo per un weekend e tornare insieme su quella “stella”, la loro, dove è possibile guardare la propria vita da lontano e chiedersi se quella corsa dissennata che li ha portati dove sono, sia stata sensata o meno.

Alex è il protagonista assoluto del romanzo, il suo carisma, sempre forte in presenza ed in assenza, pare determinante nell’equilibrio delle vite degli alieni, senza spoilerare, per lasciare intatta in chi ti legge e leggerà, l’emozione di svelare Alex assieme ai protagonisti, ti chiedo, alla resa dei conti,  quanto davvero  sono gli alieni ad avere bisogno di Alex e quanto invece è forse vero il contrario?

Alex rappresenta uno specchio nel quale è molto scomodo guardarsi, perché ha la purezza di un bambino che ha ancora il coraggio di dire “il re è nudo” smascherando le ipocrisie e le finte sicurezze degli altri. Ma rappresenta anche la parte migliore dei suoi amici, perché ricorda loro chi erano prima che la vita li “normalizzasse”, ovvero  dei “meravigliosi alieni”  capaci di amare al di là delle convenzioni, di accettare le fragilità dell’altro, e di essere per questo anime sensibili e speciali in un mondo di persone che tendono spesso solo a giudicare, etichettare e dividere in base al concetto di vincenti e perdenti. Loro hanno bisogno di lui, quanto lui di loro. Perché la forza di risplendere e il coraggio di vivere la trovano oggi come allora nel gruppo, nell’essere un piccolo e orgoglioso branco di freak (detto con accezione assolutamente positiva) . Personalmente io ho sempre avuto un debole per i cosiddetti freak. Sono le persone più interessanti che abbia mai incontrato. E forse un po’ freak lo sono anche io.

Si può dire che il  tuo romanzo sia in un certo qual modo visivo, nel senso che ci consegni immagini emozionali indimenticabili, non di azione, ma di gesti, che, seppur in alcuni casi dure o difficili da affrontare, grazie alla tua sensibilità nel renderle, non risultano mai disturbanti. Come è arrivata a te questa storia e il desiderio di raccontarla? Pensi di sceneggiarla per lo schermo od il teatro? Credo che sarebbe bellissimo, reincontrare Alex, Eva, Torquemada, Melzi e Rodolfo “in persona”…

Vedremo… dal momento in cui la storia è nata, lei ha preteso di essere un libro e non un film, proprio per la libertà che offre la scrittura di scandagliare il vissuto dei personaggi senza limiti di tempo. Le digressioni nel vissuto di ognuno, sono ciò che rende il libro autentico. Farne un film non è semplice, perché dovrei trovare il modo di restituire ai miei personaggi tutto i loro background di esperienza e di emozioni stando però all’interno dei rigidi tre atti del cinema… se dovesse presentarsi l’occasione, l’affronterò con il massimo dell’entusiasmo ma anche con un po’ di prudenza.

Silvio Muccino

Ringrazio con tanto affetto Silvio Muccino che fin da subito con  calda disponibilità  ha avuto voglia di parlarci di meravigliosi alieni e di eroi splendidamente umani.

Sabrina De Bastiani

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