Intervista a Simone Regazzoni




A tu per tu con l’autore


 

Simone, ti conosco (e apprezzo) saggista con La filosofia di Harry Potter e La palestra di Platone; ti ‘perdo’ (e correrò subito ai ripari) narratore di romanzi di azione quali Abyss e Foresta di tenebra, avvicinati alla poetica visiva  di John Woo per la qualità e lo stile della scrittura; ti ritrovo oggi , con I segni del male, libro che sta ottenendo meritati ed importantissimi riscontri di pubblico e critica. Non posso esimermi dal chiederti come sei arrivato al thriller puro, quale è questo notevole romanzo, a partire dalla filosofia, da Derrida, dalle arti marziali, dall’azione più serrata … in pratica Simone Regazzoni sta al thriller come …?

Come Bruce Wayne sta a Batman nel Cavaliere oscuro di Nolan. Con il thriller è al lavoro il mio lato oscuro. C’è in ognuno di noi un lato oscuro fatto di pulsioni, fantasmi, animalità, paure, di cui non ci occupiamo normalmente, ma che è parte integrante di ciò che siamo. E’ quello Jung chiama “Ombra”. E’ lo stanzino che non si deve aprire in Barbablù o nella casa della protagonista del mio romanzo, Giulia Rakar. Sono arrivato al crime thriller perché volevo misurarmi, a livello di scrittura, con questa oscurità che da praticante di arti marziali incontro quando combatto o alleno un’arma, ad esempio il coltello. L’ultimo seminario che ho seguito a Parigi con Derrida trattava il tema della forza-violenzaoriginaria. Ma credo che la filosofia che si esprime in forma saggistica non riesca ad addentrarsi fino in fondo in questi temi. Il lume della ragione deve essere spento: per penetrare il buio bisogna fare il buio dentro di sé. Ecco, il lavoro di tre anni per pensare e scrivere I segni del male è stato un tentativo di scrivere facendo il buio in me. I segni del male è scrittura notturna, in tutti i sensi: è abitata dalla notte ed è stata scritta nel silenzio della notte, quando lasciavo emergere i miei fantasmi che hanno preso corpo nei personaggi del romanzo. Questo credo sia importante per un buon thriller: si sente la differenza tra “l’idea” ingegnosa costruita a tavolino (“adesso faccio fare questa o quella cosa cattiva, terribile”) e i fantasmi interiori che prendono forma nei personaggi. La prima si lascia comprendere ma non ti tocca nella carne, i secondi si insinuano in te mentre leggi, interagiscono con l’oscurità della lettrice o del lettore. In particolare se decidi affronta la questione serial killer o lavori scavando nella tua oscurità o il tutto si riduce a un giochino meccanico e inespressivo. Breat Easton Ellis ha dichiarato di aver scritto American Psycho soprattutto di notte, quando lo spirito del folle assassino veniva a trovarlo. Con I segni del male è avvenuto qualcosa di simile. Per questo, per la prima volta da quando scrivo, non ho dedicato il mio romanzo a nessuno.

La filosofia, per sua natura, esprime i propri concetti attraverso una modalità di esposizione che invita e accompagna alla lentezza, alla riflessione, al meditare. Al contrario la tua prosa è rapida ed incisiva, precisa, affilata e tagliente come il più molato dei coltelli, mai calante pur non essendo concitata, e veicola concetti e messaggi che stimolano il pensiero. Come hai raggiunto questo grande equilibrio?

In primo luogo grazie per le tue parole, mi rendono davvero felice. Un conto è tentare di scrivere in un certo modo, tutt’altro è riuscirci; e quando lettrici e lettori ti dicono che le cose funzionano non puoi che essere felice. Hai usato la metafora del coltello. Per me è più di una metafora. Le parole non descrivono solo le cose: le parole fanno le cose, producono effetti, ci fanno ridere, piangere, ci rendono felici o terribilmente tristi, ci curano o ci feriscono. Io ho cercato di scrivere con il coltello perché la scrittura si incidesse nella carne delle lettrici e dei lettore, proprio come il serial killer Romulus scrive con il coltello sui corpi delle vittime. Per fare questo ho tenuto sempre presente, a me stesso, le sensazioni di quando mi alleno nelle arti marziali con il coltello: movimenti rapidi, efficaci, precisi ma al contempo mai concitati. La mia mano che scrive ha provato a fare qualcosa di simile sulla pagina. Il crime thriller prevede un ritmo alto: tensione, suspense, adrenalina, colpi di scena. Perché questi elementi si realizzino devi portare lettrici e  lettori dentro il mondo del testo e non permettere loro di rivolgersi ad altro, di alzare gli occhi, di prendere respiro, di annoiarsi e di essere un passo davanti a te. Troppo spesso anche in ottimi thriller ci sono lungaggini, passaggi didascalici, descrizioni bozzettistiche di ambienti e personaggi, prevedibilità di trama. Per non parlare poi di quelli, già meno buoni, che vogliono lanciare messaggi sociali o politici creando polpettoni indigesti. Con I segni del male volevo toccare il grado zero del thriller, distillare un thriller puro che non desse tregua. La prima notte scrivevo alcune pagine. La seconda notte ritornavo sul testo per togliere lungaggini, sbavature: una parola di troppo, un aggettivo ridondante, una descrizione inutile. La terza notte rileggevo ad alta voce, quasi recitavo, per sentire il ritmo: perché non basta asciugare, occorre non far perdere ritmo alla pagina e la lettura ad alta voce aiuta a sentire. Ma tutto questo non è sufficiente, la lama della scrittura non taglia, resta un coltello giocattolo, di gomma, se non c’è un lavoro più profondo che, prendendo a prestito due termini di Stanislavski, chiamo “reviviscenza”, vale a dire attingere dal mio bagaglio psichico ciò che il personaggio prova, e “personificazione” che traspone nel personaggio ciò che ho attinto dalla mia psiche. Durante il giornoinvece scrivevo altro. A un certo punto per quasi un anno ho scritto di giorno “La palestra di Platone” e di notte “I segni del male”. Non a caso questi due libri sono usciti a un mese di distanza. C’è poi un altro l’elemento chiave del crime thriller che va costruito con la massima cura: la suspense. Qui entra in gioco la struttura della trama che è il labirinto in cui rinchiudere lettrici e lettori mentre dai loro l’illusione passo passo di poter intravvedere la luce dell’uscita. Ho provato a giocare, tra indizi e false piste, con le lettrici e i lettori proprio come Romulus gioca con la polizia. E soprattutto ho provato a non deluderli con il finale, giocando con loro letteralmente fino all’ultima pagina. Questa attenzione quasi maniacale per la forma non significa che non mi interessino i temi trattati. Tutt’altro. Però i temi devono essere distillati nel flusso della narrazione, quasi come messaggi subliminali che arrivano ad ondate. Una lettrice mi ha scritto su Facebook: “Pensa che stanotte ho sognato di fare pugilato, io che non ho schiacciato neanche un insetto”. Ecco, non mi interessa molto far “riflettere” lettrici e lettori, quello lo faccio con la filosofia. Mi interessa ossessionarli e in questo modo stimolarli a pensare.

Fai dire alla tua protagonista, l’ispettore profiler Giulia Rakar, in almeno  un paio di occasioni, quando tutto intorno a te accelera, tu rallenta. Mantra e metafora che trovo validissimisempre, particolarmente ora, nella stretta attualità che stiamo vivendo. Ci spieghi quanto questo concetto sia caratterizzante e importante  in Giulia e per Giulia, nella quale convivono in una perfetta alchimia che trovo unica, la forza fisica e mentale e le fragilità emotive, e quale possa essere la sua valenza applicata al nostro quotidiano?

Questione di ritmo, ancora una volta. Chi combatte sa (e Giulia come me combatte) che il combattimento all’esterno è frenesia: colpi veloci da una parte e dall’altra, movimento, cose imprevedibili che ti piombano addosso da tutte le parti. Se non si vuole essere travolti da tutto questo, occorre mantenere un tempo mentale più lento. La concentrazione e la presenza a sé, doti che vanno allenate, sono la capacità di portare la mente a una profondità in cui i movimenti della tempesta che si agita in superficie si sentono ma arrivano attutiti, rallentati. Giulia è in grado di farlo. Sa scendere dentro di sé, ci sa fare con la parte profonda della propria psiche. Normalmente valutiamo forti le persone con un “Io” forte. In realtà queste persone appaiono forti in situazioni di normalità: sono molto performanti quando tutto si svolge secondo protocolli noti. Misandri, il suo collega, è uno di questi. Giulia invece è fragile dal punto di vista dell’Io (che non è altro che la punta dell’Iceberg del soggetto) e della sua emotività di superficie, ma ha risorse psichiche che le permettono di affrontare ciò che fa crollare gli altri. E’ una forza altra che dobbiamo intendere come un tipo di intensità vitale in cui paura, coraggio, pulsioni si mescolano. Di questo tipo di forza abbiamo bisogno oggi visto che ci troviamo a vivere in una condizione eccezionale e traumatica. Molte persone stanno crollando psicologicamente oggi perché non sono abituate a misurarsi con questa parte sommersa di sé e restano in superficie in balia dei flutti che li travolgono. Per dirla con Platone non sanno entrare in alleanza con gli animali feroci e talvolta mostruosi che portiamo in noi, che sono una minaccia ma anche una risorsa. Giulia Rakar sa che quando la situazione si fa difficile occorre prendere la chiave che apre la porta in fondo al corridoio della sua vecchia casa in cui si conserva ciò che il mondo normale non può o non vuole vedere.

E veniamo dunque proprio a lei, Giulia. La sua caccia ed il suo approccio, in quanto profiler appunto, alla mente del serial killer è sviluppato in maniera davvero peculiare, costruendo una sorta di dialogo continuo tra loro, nel quale via via i ruoli del gatto e del topo si invertono, si confondono, si sommano, si sublimano, si mantecano, passami il termine culinario. Come hai costruito questo meraviglioso personaggio? Cosa hai traslato di tuo in lei? Le sue paure sono soltanto sue? E’ pur vero che tutti noi costeggiamo l’ombra ….

Giulia si muove come i primi profiler dell’FBI, che non usavano solo la razionalità come il classico detective ma mettevano in gioco le loro risorse psichiche provando a immedesimarsi sia con la vittima sia con il carnefice, senza saper bene (cioè in termini razionali) come ciò potesse accadere. John Douglas, l’inventore del profiling, nella sua biografia afferma che deve sentire cosa prova la vittima quando urla e al contempo provare il godimento che il serial killer prova. Quindi aggiunge “non so bene come questo accada, e non escludo la presenza di una componente patologica”. Giulia ha una certa dote, sa usare il suo preconscio, sa accogliere in sé le fantasie elaborate da Romulus, il serial killer,quindi riesce a dialogare con lui. Ho trasformato quello che Platone chiama il dialogo interiore dell’anima con se stessa con il dialogo interiore della profiler con il serial killer a cui Giulia presta la massima cura: cura per le sue parole, i suoi segni, le sue fantasie, le sue pulsioni. Si inseguono, si annusano, si sfiorano: come in un combattimento o in un rapporto sessuale o in entrambe le cose insieme. E’ una caccia in cui la cacciatrice più che motivata da idee morali o da sete di giustizia sembra interessata alla caccia in sé. A fare giustizia penseranno altri: il commissario Santià. Come ho costruito Giulia? Qui ho più difficoltà a rispondere. E’ nata nel corso di anni da una costola del mio lato oscuro, che non ha la forma del mio “Io” maschile-razionale-filosofico ma femminile. Entrambi condividiamo una attrazione mista a terrore infantile per una fiaba che è inscritta nel cuore di tenebra del mio romanzo: Barbablù. Entrambi siamo attratti dal gusto del sangue che si sente talvolta quando si combatte. Ma Giulia, diversamente da me, non cerca troppi alibi per immergersi nell’oscurità, lo fa e basta, perché né ha il gusto. E’ questo che la rende speciale ai nostri occhi. Come Douglas potrei dire parlando di  come ho creato Giulia Rakar “non escludo una componete patologica”, ma come Douglas aggiungo “ma preferisco attribuirne il merito alla creatività”. Giulia ha la bellezza di una perla nera. La perla si produce a partire da un corpo estraneo che si introduce nell’ostrica e che viene ricoperto da strati di madreperla per essere isolato. Il tempo per la nascita di una perla è circa due anni: il tempo della nascita di Giulia.

La commistione tra leggende antiche e antiche realtà, esoterismo e ‘giorni nostri’ è senza dubbio catturante e vincente. Ci parleresti delle ricerche storiche che hai affrontato per la scrittura de I segni del male e del significato della tua scelta di ambientare un thriller così forte, sotto ogni punto di vista,  durante il periodo natalizio, in una Roma eccezionalmente innevata?

Da sempre sono appassionato della storia della Roma arcaica, quella in cui la frontiera tra storia e mito è più sfumata. Insieme a Atene, Roma rappresenta l’origine della civiltà occidentale, la nostra origine. Quando si parla di questo si evocano i classici e si scade spesso nella retorica edulcorata ed edificante che ce li presenta come modelli di virtù e saggezza. Ho scelto l’origine di Roma per un romanzo che vuole immergersi nel tema del male perché l’origine di Roma è segnata dalla violenza, dal sangue, dai sacrifici umani. Non a caso I segni del male si apre con il luogo simbolo di questa origine: il complesso archeologico del Lapis niger dove secondo la leggenda sarebbe stato ucciso e sepolto Romolo. I Romani lo consideravano un luogo maledetto. Per questo venne ricoperto con lastre di marmo nero. Ecco il lato oscuro della civiltà, accanto al lato oscuro del soggetto. Le fonti per le mie ricerche sono state molte. Ma restano imprescindibili alcune opere. La nascita di Roma in due volumi di Andrea Carandini; Remo e Romolo dello stesso Carandini; e un ponderoso volume di Roberto Fiori su un misterioso istituto giuridico-sacrificale romano arcaico:  Homo sacer. Dinamica politico-costituzionale di una sanzione giuridico-religiosa. Perché ambientare un thriller così cupo a Natale sotto la neve? In primo luogo mi interessava il contrasto: un bianco Natale da film natalizio con colonna sonora di Frank Sinatra (l’incipit del romanzo gioca proprio con questo immaginario) in cui irrompe il terrore. Un po’ come i Gremlins dell’omonimo film di Joe Dante che amo moltissimo. Poi c’è la dimensione simbolica: tra il 21 e 24 dicembre va in scena il solstizio di inverno. Il mio romanzo,ambientato a Roma tra il 21 e il 25 dicembre 2020, si svolge nei giorni in cui il buio della notte raggiunge la massima estensione, fino alla rinascita, appunto il Natale. Ecco il doppio volto: la luce delle festività è una luce che ha il fascino della luce nera. La nevicata inoltre segnala fin da subito che la quotidianità è scossada un evento eccezionale: l’evento atmosferico segnala che qualcosa nella legge delle cose si è rotto.

Le note dei Radiohead e la voce di Thomas Edward Yorkeriecheggiano per tutto il romanzo. Credo che A woolf at the door, uno dei brani citati, incarni visceralmente (a partire dal titolo) I segni del male. Per inciso non ti nego che terminata la lettura ho avuto l’esigenza addirittura di ascoltare più volte questa e le altre tracce. Sono convinta che la lettura del tuo romanzo andrebbe proprio accompagnata ed integrata dall’ascolto della playlist che idealmente suggerisci nelle pagine. Cosa ne pensi? Come hai scelto queste canzoni? Le ascoltavi durante la stesura?

Sì, ossessivamente, era un modo per risvegliare in me emozioni che poi provavo a trasferire nei personaggi e sulla pagina. Le canzoni sono state scelte per i testi e per la tonalità emotiva: per questo andrebbero ascoltate mentre si legge. Perché i Radiohead? Perché c’è qualcosa di perturbante nelle loro canzoni nel senso di Unheimlich proposto al filosofo Shelling: “E’ detto unheimlich tutto ciò che potrebbe restare […] segreto, nascosto, e che è invece affiorato”. A woolf at the door è I segni del male: I keep the wolf from the door(Tengo il lupo alla porta) But he calls me up (Ma mi chiama) Calls me on the phone (Mi chiama al telefono) Tells me all the ways that he’s gonna mess me up (Mi dice tutte le maniere in cui mi scombussolerebbe) Stealall my children (Ruba tutti i miei bambini) If I don’t pay the ransom (Se non pago il riscatto) But I’ll neverseeem again (Ma io non li vedrò mai più) If I squeal to the cops (Se faccio una soffiata alla polizia).

Mi esprimo senza mezze misure: I segni del male è tra i più bei thriller che io abbia letto fino ad oggi. Giulia Raker tornerà non dirmi di no. Hai già una storia in mente? Avverti la pressione di una sua prova dopo una prima così strepitosa?

Grazie di cuore, non so se merito queste parole, mi limito a dire grazie. Sì Giulia tornerà, ho già una storia in mente, ma voglio ascoltare l’evoluzione di Giulia dopo una prova così dura, non le scadenze editoriali. Devo essere giusto con lei. Mi sta sussurrando qualcosa, dentro l’anima. Quando le parole saranno più nitide dovrò di nuovo aprire il mio studio a notte fonda, sedermi alla mia scrivania davanti alla finestra e lasciarmi dettare una nuova storia.

Simone Regazzoni 

A cura di Sabrina De Bastiani

 

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