La figlia dell’ottimista




Recensione di Francesca Giovannetti


Autore: Eudora Welty

Editore: Minimum Fax

Collana: Minimun Classics

Traduzione: Simona Fefè

Genere: narrativa

Pagine: 176

Anno di pubblicazione: 1972

Sinossi. Quando suo padre, il giudice McKelva, le comunica di dover subire un’operazione a un occhio, Laurel non esita a lasciare la sua casa di Chicago e andare a New Orleans per prendersene cura, anche se dovrà avere a che fare con la nuova moglie del giudice, Fay: una donna più giovane di lei, con un carattere duro e scostante, che secondo molti si è sposata solo per interesse. L’intervento sembra riuscito, ma il giudice – l’ottimista del titolo – stenta a guarire, e sprofonda in uno stato di prostrazione a cui seguirà una morte inaspettata. Alle due donne non resta che andare in Mississippi per seppellirlo nel cimitero di famiglia: Laurel avrà così l’occasione per fare i conti con la sua comunità di origine – lasciata forse troppo presto in cerca di una felicità e una realizzazione che hanno faticato ad arrivare – ma anche con Fay e il suo passato, e infine con un mondo che, nella sua meravigliosa testardaggine, si rifiuta di rinunciare alle proprie tradizioni.

Recensione

Ogni classico è uno straordinario viaggio nel tempo. Questo ci porta nel Sud degli Stati Uniti d’America, in una piccola cittadina dove tutti conoscono tutto. Romanzo spiccatamente al femminile, primeggiano le protagoniste Laurel e Fay, figlia e seconda moglie del giudice McKelva. Laurel ha perso il marito in guerra e si è costruita una vita come disegnatrice di tessuti a Chicago, Fay è una giovane e capricciosa ragazza, stanca di un marito anziano con problemi di salute.

L’una l’opposto dell’altra, la ragione contro l’impulsività, la compostezza contro l’irruenza. Due figure che catturano l’attenzione del lettore, l’una in positivo, l’altra in negativo. Laurel ha un vivere spoglio, attaccato ai ricordi profondi della madre e del marito, Fay sfodera invece una effervescente antipatia, è già proiettata al futuro nonostante la perdita appena subita. Ma l’atmosfera corale del romanzo ha la sua forza nella descrizione delle visite al defunto giudice.

Amici, vicini e conoscenti portano il doloroso tributo che fa scintille all’entrata in scena della famiglia di Fay. È come osservare due schieramenti su un campo di battaglia, ma in questo caso le truppe che difendono la propria terra sono armate di pettegolezzi, sottointesi, sguardi e silenzi fin troppo eloquenti.

I personaggi secondari palesano un comune modo di vivere, di pensare, di parlare, tipico delle piccole città, ancora più esasperato dalla notorietà del defunto in questione.

Potremmo forse provare un po’ di compassione per la giovane Fay, buttata nelle fauci di una collettività tanto unita, ma i suoi comportamenti al limite dell’isterico spazzano quel minimo di potenziale empatia. Laurel, d’altro canto, è la donna che si è fisicamente “mossa” trasferendosi a Chicago, ma che rimane legata a ricordi che le impediscono di andare emotivamente avanti.

Il tema del tempo, della sua percezione e del suo significato, pervade l’intero romanzo.

Un attimo in una vita, una vita in un attimo.

Leggere un classico significa sedersi in una macchina del tempo e imparare a godersi il viaggio.

Eudora Welty


Eudora Welty nacque nel 1909 a Jackson, Mississipi, dove trascorse la sua lunga vita. Si spense infatti nel 2001 all’età di novantadue anni. Nel 1929 si laureò all’università del Wisconsin. A soli ventidue anni cominciò a scrivere per alcune testate regionali. Nel 1936, con “Morte di un commesso viaggiatore” iniziò la sua carriera di autrice. Tra le sue opere più acclamate ricordiamo “Nozze sul Delta” (1946), “Mele d’oro” (1949) “A losing battle” (1970).

“La figlia dell’ottimista”, straordinario romanzo che segna la piena maturità artistica, ricevette il Premio Pulitzer.