L’altro




Recensione e Ambientazioni 


di  
Claudia Cocuzza


Autore: Thomas Tryon

Traduttore: Giuseppe Marano

Editore: Fazi

Genere: thriller

Pubblicazione: 2021

Sinossi.  Holland e Niles Perry sono gemelli identici di tredici anni. Molto legati, tanto da poter quasi leggere il pensiero l’uno dell’altro, ma anche molto diversi: Holland, audace e dispettoso, negli occhi una luce sinistra, esercita il suo carisma sul fratello Niles, gentile e remissivo, desideroso di compiacere gli altri, il tipo di ragazzo che rende orgogliosi i genitori. Hanno da poco perso il padre in un tragico incidente e vivono in una fattoria del New England con la madre e la nonna. Le giornate estive in campagna sono lunghe e noiose ma la fantasia multiforme dei ragazzi è un’arma efficace, che si alimenta di oggetti preziosi custoditi gelosamente in una vecchia scatola di latta, assi che scricchiolano e orecchie tese a percepire passi misteriosi, spettacoli macabri inscenati in cantina e vecchie storie che sembravano dimenticate. Ecco però che l’incantesimo dell’infanzia si spezza: una dopo l’altra, una serie di figure vicine ai ragazzi vengono coinvolte in cruenti fatti di sangue. E diventerà presto chiaro che la mano dietro a queste inquietanti tragedie può essere una sola…L’eterno fascino perturbante dei gemelli è protagonista in questo romanzo in cui nulla è come sembra, che rapisce il lettore e lo conduce attraverso una sottile analisi dell’oscurità che dimora dentro ognuno di noi. Il ritorno di un grande classico dell’horror, bestseller da tre milioni e mezzo di copie, paragonato a Shirley Jackson e Patricia Highsmith e precursore dell’esplosione del genere insieme a pietre miliari come L’esorcista.

Recensione

“The otherè il primo romanzo scritto da Thomas Tryon, nel 1971.

Fu subito un best seller, con oltre tre milioni e mezzo di copie vendute, e l’anno dopo Robert Mulligan ne fece la trasposizione cinematografica con il film “Chi è l’altro?”.

La critica letteraria ancora oggi lo osanna come un monumento della narrativa horror.

Considerato il suo biglietto da visita, non potevo lasciarmi sfuggire l’occasione di leggerlo.

Dico la verità ‒come sempre, del resto‒: la lettura è stata problematica.

Vi spiego perché.

Il romanzo è suddiviso in tre parti, ciascuna delle quali viene introdotta da un narratore che parla in prima persona presente.

Abbiamo quindi tre incipit metanarrativi che scandiscono il ritmo del testo.

I primi due ci fanno intravedere il narratore, che si presenterà solo nell’ultima pagina ‒no, non è per dire:

ci fornirà le sue generalità esattamente a otto righe dalla fine del romanzo‒: intuiamo che si tratta di un adulto (…Prince Albert, una marca che fumo da quando avevo diciott’anni e ne sono passati più di trenta, ormai) rinchiuso in una struttura, forse un ospedale psichiatrico (No, non sono mai andato da nessuna parte né mai ci andrò. Non lascerò mai, temo, questo piccolo mondo ben definito in cui vivo. Un posto triste, penserete senza dubbio),

perché ci racconta che le sue giornate trascorrono tutte uguali e ci parla di una sua piccola fissazione, una chiazza di umidità sul soffitto, proprio in corrispondenza del suo letto, che una volta assomiglia al Madgascar, un’altra al Portogallo, forse un po’ anche a Zanzibar; il terzo sarà rivelatore, ma è ovvio che non aggiungerò altro.

I tre incipit sono affidati a questo narratore ignoto ‒che nel corso del racconto potremmo provare a identificare, ma vi garantisco che, quando sarà lui a presentarsi, ne saremo sbalorditi‒ che parla da questo posto in cui vive da recluso e ci introduce di volta in volta allo svolgimento dell’azione, custodita dai suoi ricordi; l’incipit metanarrativo diventa quindi un espediente per portare avanti la trama, narrata in terza persona al passato.

Chi sono i protagonisti di questa storia?

Il romanzo narra delle vicende vissute dalla famiglia Perry durante il periodo che va dal novembre del 1934 al settembre dell’anno successivo; lo scenario in cui Tryon le colloca è immaginario: la tranquilla cittadina del New England, che chiama Pequot Landing, non esiste ma trae ispirazione da Whethersfield, il luogo in cui è nato e cresciuto.

Cos’hanno di tanto speciale questi Perry?

All’inizio, niente ‒e sarebbe stato un bene per tutti loro se le cose fossero rimaste così‒: i due fratelli Vining e George Perry vivono con le loro famiglie nella fattoria fondata dal padre.

Vining ha due figli gemelli, Niles e Holland, dodicenni all’epoca dei fatti.

Sono loro i veri protagonisti del romanzo.

Tryon sfrutta un tema caro alla narrativa letteraria, a partire dalla mitologia classica (Castore e Polluce, Romolo e Remo), passando per le commedie di Goldoni e Shakespeare fino ad arrivare a Dumas e Lewis Carroll, estremizzando però la componente di mistero che da sempre rende affascinanti i gemelli: la loro capacità, vera o presunta, di transfert.

Il romanzo è tutto qui, in questo gioco di specchi tra Niles e Holland Perry, in cui il lettore si ritrova incastrato senza riuscire a distinguere “chi fa cosa”, sempre con la sgradevole sensazione di essere sul punto di intuire come stanno le cose, salvo poi vedere ribaltata all’improvviso la prospettiva.

L’ambientazione riveste un ruolo importante: la serie di eventi drammatici che colpisce la famiglia Perry e l’intera comunità a cui appartengono è incorniciata da un paesaggio rassicurante.

La casa dei Perry, Pequot Landing: all’inizio pensiamo che sia tutto perfetto, che nulla possa scalfire la tranquillità di questo scenario. Se stiamo attenti, però, ci accorgiamo già dall’uso degli aggettivi che c’è qualcosa che non va.

Vi faccio un esempio.

L’aria di mezzogiorno era torpida, il profumo dei fiori acre, un rubinetto lì vicino gocciolava sulla pietra, da qualche parte tra i rami una cicala friniva. In alto il cielo estivo era azzurro brillante, l’azzurro perfetto, traslucido, di un piatto di porcellana olandese, smaltato da una chiarezza spaventosa, sbalorditiva allo sguardo, ma fragile come un guscio d’uovo; se lo avesse fissato troppo a lungo, si sarebbe incrinato, frantumato in mille pezzi, e una micidiale grandine azzurra gli sarebbe caduta addosso.

Tryon descrive una mattina d’estate. Non lo vedete pure voi il “cielo azzurro” come “porcellana olandese”?

Non vi sentite beati come una lucertola che si riscalda al sole?

Eppure c’è qualcosa che vi dà fastidio, in questa immagine: il cielo è azzurro, sì, ma “smaltato di una chiarezza spaventosa” e all’improvviso quell’immagine di pace diventa allarmante, perché addirittura quello stesso cielo può andare in frantumi da un momento all’altro e travolgerci come una grandinata.

Ecco, questa capacità di trasformare situazioni che nell’immaginario collettivo sono rassicuranti in ansiogene è una dote che va riconosciuta all’autore.

Fin qui quello che mi è piaciuto ma, come dicevo all’inizio, la lettura nel complesso è stata problematica.

Il problema è il ritmo narrativo.

Tryon si dilunga su descrizioni paesaggistiche ma anche sulla caratterizzazione dei personaggi, sia principali che secondari, con passaggi che coprono pagine e pagine senza che avvenga una singola azione. Conseguenza ne è una lettura che diventa lenta, pesante, salvo poi imbattersi in un colpo di scena che è in grado di risvegliare la curiosità del lettore.

Vi dico un’ultima cosa.

Questo epilogo:

Quando ho sempre detto, e lo ripeto da anni, che io mi chiamo Holland. Holland William Perry

non vi farà dormire sonni tranquilli per un bel po’.

LE AMBIENTAZIONI 

Pequot Landing... sono sicuro che saprete già com’è, una tipica cittadina fluviale del Connecticut, piccola, senza pretese, vecchiotta.

Connecticut

Splendidi olmi che formavano passaggi ombreggiati lungo le vie – questo, prima della moria dovuta alla grafiosi – prati spaziosi e ben curati, promettenti a giugno, già secchi entro settembre, case di legno o di mattoni o di stucco, talvolta tutti e tre.

Capitolo uno, incipit metanarrativo: il narratore ‒in questo momento non disponiamo ancora diinformazioni sufficienti per identificarlo‒ descrive la città in cui si sono svolti i fatti, avvenuti più di trent’anni prima (Ha promesso di portarmi un po’ di tabacco per la pipa…Prince Albert, una marca che fumo da quando avevo diciott’anni e ne sono passati più di trenta, ormai).

Pequot Landing è il luogo immaginario in cui Tryon ambienta il suo romanzo d’esordio ‒destinato a diventare una pietra miliare del genere horror‒ e anche molti dei suoi romanzi successivi; si ispira a Wethersfield, la cittadina in cui è nato e ha trascorso la sua infanzia.

Wethersfield

Un posto tranquillo, immerso nella natura, rassicurante: circondato da colline verdeggianti, a due passi da un fiume in cui gli abitanti vanno a pescare e a trascorrere i pomeriggi d’estate, un centro abitato che degrada verso la campagna con fattorie produttive, coltivazioni e pascoli.

Tutti si conoscono, a Pequot Landing; tutti conoscono la famiglia Perry, la stimano, ne sono affezionati.

Le vicende, che coprono un arco temporale di meno di un anno ‒approssimativamente da novembre a settembre‒   si svolgono nella fattoria dei Perry.

È il nostro misterioso narratore a presentarcela: Non ricordate la casa dei Perry, vero?

Adesso non esiste più, mi dicono. Sparita, tutta quanta. Il pozzo è stato riempito e sopra vi hanno seminato erba, ma avrebbe potuto benissimo essere sale, per quel che rimane. I fabbricati… il fienile, la cantina per le mele sottostante, la ghiacciaia, le rimesse per le provviste e per le carrozze, i silos per il granturco, il torchio per il sidro, sono spariti tutti.

Già, il narratore a cui è affidato l’incipit del romanzo adesso è un adulto e la fattoria dei Perry non c’è più, ma all’epoca in cui tutto accadde era un posto gioioso, vivace, accogliente.

Fondata dal capostipite, nonno Perry, ospitava i suoi due figli maschi, Vining e George, e le rispettive famiglie, composte da mogli e figli. A questi si aggiungevano Ada Vedrenya, suocera di Vining, e i domestici. Una casa viva, allegra, animata dalle voci e dai giochi dei bambini.

Ecco il nocciolo della questione, i bambini.

L’intera narrazione ruota intorno alla storia dei due fratellini gemelli, Niles e Holland, e qui capiamo perché la descrizione dell’ambiente diventa così importante: la focalizzazione passa dal narratore adulto al bambino, più e più volte, come in un rimpallo, e le scene descritte rievocano luoghi inevitabilmente ammantati dal fascino tipico del mondo esterno come solo uno sguardo infantile può filtrarlo.

Ho raccontato a Miss DeGroot storie d’ogni genere sulla cantina delle mele. Lei dice che è un posto spettrale e ha ragione. Sepolta in profondità nel cuore del fienile, con muri spessi in basalto del New England, e nessuna illuminazione elettrica, la cantina era un luogo meravigliosamente clandestino.

La cantina delle mele, il cortile con il pozzo, la cameretta che i due gemelli condividono, il fienile, la cucina in cui nonna Ada e Winnie sono sempre indaffarate, l’armadio in cui zio George conserva le mazze da golf e i gemelli giocano a nascondino: tutti posti che qualsiasi adulto ricorderebbe con tenerezza e descriverebbe con nostalgia.

La bravura di Tryon sta qui: nel rendere inquietanti posti che dovrebbero essere l’emblema della sicurezza.

Casa Perry non c’è più, ce lo dice il narratore adulto; ma perché non c’è più?

Perché quella casa è diventata teatro di così tanti episodi abominevoli che la comunità ha preferito abbandonarla, lasciarla agonizzante e infine farla morire.

E quando scopriremo cosa si cela dietro quelle mura, quali crimini sono stati commessi e soprattutto da chi e perché, guarderemo quella casa con altri occhi e faticheremo a vederla come il nido che ogni casa dovrebbe essere.

Secondo me, buona parte dei τόποι della letteratura horror successiva ha origine dalla descrizione di questa casa amorevole e di questa cittadina tranquilla; l’insegnamento è chiaro:

niente è come sembra e in nessun luogo si è mai davvero al sicuro.

Tryon con “L’altro” ha tracciato la strada.

A cura di Claudia Cocuzza  

www.facebook.com/duelettricisottountetto/

 

Thomas Tryon


Attore e scrittore statunitense, ha avuto un’importante carriera cinematografica recitando anche al fianco di John Wayne. Dopo aver assistito alla proiezione del film Rosemary’s Baby di Roman Polanski, tratto nel 1968 dall’omonimo romanzo di Ira Levin, Tryon volle misurarsi con la stesura di un romanzo proprio. Ne scrisse diversi, di genere horror e fantascientifico. L’altro è la sua opera più celebre, e ispirò il film omonimo diretto da Robert Mulligan.

 

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