L’animale femmina




Recensione di Sabrina De Bastiani


Autore: Emanuela Canepa

Editore: Einaudi

Collana: Einaudi. Stile libero big

Pagine: 260

Genere: Romanzo

Anno di pubblicazione: 2018

Sinossi. Vincitrice del Premio Calvino 2017 all’unanimità, Emanuela Canepa mette a nudo non solo le contraddizioni delle donne, ma anche la fragilità degli uomini. E scrive un’educazione sentimentale in cui le dinamiche di potere si ribaltano, rivelando quanto siamo inermi, tutti, di fronte a chi amiamo. «Per molto tempo non ho avuto il coraggio di farlo. Poi mi sono detta che dovevo tentare, e alla fine ci sono riuscita. Perché sapevo che là dentro sarei morta. E io invece volevo vivere» Rosita è scappata dal suo malinconico paese, e dal controllo asfittico della madre, per andare a studiare a Padova. Sono passati sette anni e non ha concluso molto. Il lavoro al supermercato, che le serve per mantenersi, l’ha penalizzata con gli esami e l’unico uomo che frequenta, al ritmo di un incontro al mese, è sposato. Ma lei è abituata a non pretendere nulla. La vigilia di Natale conosce per caso un anziano avvocato, Ludovico Lepore. Austero, elegante, enigmatico, Lepore non nasconde una certa ruvidezza, eppure si interessa a lei. La assume come segretaria part time perché possa avere piú soldi e tempo per l’università. In ufficio, però, comincia a tormentarla con discorsi misogini, esercitando su di lei una manipolazione sottile. Rosita la subisce per necessità, o almeno crede. Non sa quanto quel rapporto la stia trasformando. Non sa che è proprio dentro una gabbia che, paradossalmente, si impara a essere liberi.

RECENSIONE

Non mi piace alzare la voce, e detesto il rimbombo emozionale come arma di sottomissione.

Emanuela Canepa, che potenza narrativa.

La potenza di una voce ferma, solida, matura, che non ha bisogno di carambole e artifizi, che non ha bisogno di urlare per farsi ascoltare. E che per questo risulta ancora più incisiva.

Una voce, una scrittura, che è tatuaggio emozionale, sulla pelle, nell’ anima, nei pensieri.

Basta la prima riga, dell’Animale femmina, per essere “dentro” Rosita Mulè, non solo dentro la sua storia, ma proprio dentro il suo essere.

Basta la prima riga per capire che da un romanzo così non ti distoglierai, perché è di una bellezza abbacinante, che spacca, sconquassa, fa il vuoto attorno a sé, rendendo tutto ovattato, sospeso, come se un telecomando avesse messo in pausa le concretezze del quotidiano. Tutto all’esterno è come in stand-by; unico movimento percepito, le pagine che scorrono, in una lettura totalizzante, dove ciò che paradossalmente destabilizza di più è la totale assenza del conforto di ogni cliché.

Non asseconda un cliché che Rosita se ne sia andata da casa. Non è scappata da una situazione di degrado e violenze. Ha affermato se stessa, lasciando quello che avvertiva come un limite, ossia la prospettiva di una vita già scritta, e non da lei, alla quale sottostare.

Mettendo così in scena il primo atto di una ribellione silenziosa e fiera, frutto di una grande determinazione, che la porta, pur nelle difficoltà economiche, nelle problematiche di conciliare orari di lavoro e studio, a non avere mai nessun ripensamento, a non avere mai, nonostante le insistenze e i “ricatti morali” della madre, la tentazione di gettare la spugna e tornare indietro.

Non asseconda un cliché che Rosita sia una ragazza silenziosa, schiva, mite: è la sua forza, la sua corazza, il tenere tutto dentro, il non parlare dei suoi problemi, di qualunque natura siano, il non raccontare se non l’indispensabile, per non porgere il fianco al pietismo, e ancor di più ad aiuti familiari che potrebbero richiedere una contropartita troppo alta, ossia rinunciare alla propria indipendenza.

Non asseconda un cliché che Rosita sia diffidente, nei confronti delle promesse della vita e delle persone, particolarmente nei confronti degli uomini; questo sebbene l’uomo più importante, o quantomeno determinante, nella vita di ognuno – ossia il proprio padre – sia per lei una figura maschile assolutamente positiva, il cui unico “difetto” è non esserci più…

Nulla, in questo romanzo, è cliché, Tutto, nella sua protagonista, Rosita Mulè, è personalità, carattere, individualità.

La storia, parte sottovoce, la vigilia di Natale, quando Rosita conosce, per un gioco del destino, il distinto, anziano, avvocato Ludovico Lepore, il quale le offre un lavoro come segretaria presso il suo Studio Legale.

Uno stipendio migliore e più ore per poter studiare vincono le titubanze della ragazza, che accetta, ma questi lati positivi pagano il dazio di un atteggiamento sempre più ambiguo da parte dell’avvocato che, e anche qui fuori dal cliché di un qualsivoglia interesse fisico, tende a mettere in imbarazzante difficoltà psicologica Rosita.

Faccio del mio meglio rispondo, quasi euforica perché stavolta mi sembra di cavarmela con poco.

Questa è la dichiarazione d’intento di tutti i mediocri, ribatte Una volta tanto si sbilanci, Rosita, e mi sorprenda.

E, scambiando il muro di gomma che la ragazza alza verso queste “provocazioni” per una sorta di arrendevolezza, di sottomissione, crede di poterla manipolare, usandola come tramite per riavere qualcosa che ritiene essergli stato sottratto.

Ma nemmeno Rosita Mulè, ha perso una cosa.

Il controllo della sua vita.

Solo, forse, non era pienamente cosciente, fino a ora, di possederlo.

Non lo ha perso fin dai primi passi fuori casa, non lo ha perso nell’accettare, sul posto di lavoro, l’imposizione di un abbigliamento e un trucco più femminile, perché così rende tutto più semplice.

Non lo ha perso, infine, nel prestarsi alla macchinazione di Lepore, perché proprio lì, in quella che sembra essere una sottomissione totale al volere altrui, esce tutta la sua forza, la sua dignità. Rosita parla. E si libera. Anche della corazza che da sola si era costruita.

L’animale femmina è la storia di una donna, ed è una grande storia d’amore. E allo stesso tempo nulla di tutto ciò, almeno nei termini in cui ce lo saremmo potuti aspettare.

È pur vero che, per questo romanzo, si parla a buon diritto di educazione sentimentale; credo io, però, che questo sia quanto più vero laddove per sentimento si intenda il rispetto e la sincerità verso se stessi. Prima di tutto. Prima di tutti.

Al termine del libro, mi accorgo di aver trattenuto il respiro, mi accorgo del sole che mi scalda le braccia, e delle risate e degli schiamazzi dei ragazzini che si rincorrono nel piazzale di fronte.

Fino a un attimo prima nulla di tutto questo,

Fammi un esempio, definisci la tua idea di bellezza.

Le pagine scritte, la storia tessuta da Emanuela Canepa.

Emanuela Canepa


Emanuela Canepa (Roma, 1967) vive a Padova, dove lavora come bibliotecaria. L’animale femmina (Einaudi 2018) è il suo romanzo d’esordio, con il quale ha vinto il Premio Calvino 2017.

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