L’omonimo




Recensione di Cristina Bruno


Autore: Jhumpa Lahiri

Editore: Guanda

Traduzione: Claudia Tarolo

Genere: narrativa moderna

Pagine: 352

Anno di pubblicazione: 2021

Sinossi. Ashoke Ganguli sta leggendo un racconto di Gogol, quando il treno su cui viaggia deraglia nella campagna bengalese. E proprio le pagine di quel libro, che nel buio attirano l’attenzione dei soccorritori, lo sottraggono miracolosamente alla morte. Anni dopo, trasferitosi negli Stati Uniti con la moglie, decide di chiamare il primo figlio Gogol, in omaggio all’autore che gli ha salvato la vita. Il ragazzo non capisce le ragioni di questa scelta, trova il nome insulso e imbarazzante e fa di tutto per liberarsene, allontanandosi anche dai genitori e dalle tradizioni di famiglia, fino a quando un evento tragico lo obbliga a ritornare sui suoi passi.

Recensione

Ashoke Ganguli è un giovane insegnante di ingegneria elettrotecnica al MIT di Boston. È emigrato lì da Calcutta assieme alla moglie Ashima. Il loro è stato un matrimonio combinato, secondo la tradizione familiare.

La nascita del primo figlio, nel 1968, è una gioia ma presenta un problema burocratico riguardo la scelta del nome. Vogliono che sia una nonna in India a sceglierlo e a recapitaglielo per posta. La lettera però si perde e la nonna muore senza rivelarlo. I genitori sono costretti a trovare un nome improvvisato e il padre decide di chiamarlo Gogol.

Perché proprio quel nome? La ragione risiede in un episodio accaduto ad Ashoke, quando da ragazzo è rimasto vittima di un incidente ferroviario, mentre stava leggendo appunto i racconti di Gogol.

Una volta cresciuto, il nome risulta buffo agli occhi del ragazzo che, raggiunti i diciotto anni, lo fa cambiare in Nikhil, il nome “ufficiale” scelto dai genitori oltre a quello “familiare” Gogol. Nuovo nome, nuova esistenza per Gogol che affronta la vita del campus e poi del lavoro, tra affetti vecchi e nuovi, alla ricerca di se stesso e delle proprie origini.

Il libro è un bell’affresco sulla vita degli immigrati negli USA. La famiglia Ganguli offre uno spaccato sulle tradizioni e le emozioni della comunità bengalese tra gli anni ’60 e ’90. Ashima e Ashoke vivono rispettando quanto più possibile le tradizioni a cui sono legati, tornano periodicamente a Calcutta a trovare i familiari, organizzano raduni settimanali in cui tutta la comunità locale bengalese si ritrova e mangia assieme.

Vivono scissi in due paesi, quello delle origini a cui sono legati affettivamente, e quello di residenza dove hanno il lavoro, la casa, la famiglia. Gogol e la sorella minore Sonia invece non vivono questa doppia emozione. Loro sono nati negli USA e Calcutta è un luogo dove trascorrono noiosi periodi di vacanza.

Amano il cibo americano, condividono le feste tradizionali americane con i loro compagni di scuola. Gogol in particolare cerca una sua identità: troppo americano per sentirsi bengalese e troppo bengalese per essere interamente americano. Anche le scelte sentimentali risentono di questa doppia identità e sfociano nello sfortunato matrimonio con Moushumi, anche lei figlia di bengalesi immigrati, anche lei scissa a metà tra la tradizione e la sua negazione.

Vediamo attraverso i diversi personaggi le difficoltà esistenziali che deve affrontare quotidianamente chi lascia il proprio paese per vivere altrove. Ashoke, Ahima, Gogol ci mostrano tutte le sfumature di gioia e tristezza, passione e speranza. Gli affetti lasciati in patria, la distanza che non permette di partecipare a eventi familiari importanti da un lato. Dall’altro il senso di appartenenza a una comunità locale nel paese di arrivo che, sia pure ben integrata dal punto di vista sociale e lavorativo, mantiene comunque le sue usanze considerandole motivo di unione e di forza interiore.

Il rifiuto di Gogol è un modo di rivendicare la propria unicità e la voglia di uscire dal ristretto ambito familiare. È il desiderio di ribellione tipico degli adolescenti che cercano una loro identità fuori dal nucleo familiare e diversa dalle speranze dei genitori. Ma anche Gogol, o Nikhil, diventa adulto e con lui arriva una nuova consapevolezza che gli farà vedere sotto una nuova luce le scelte e la vita di Ashima e Ashoke.

 

A cura di Cristina Bruno

https://www.cristinabruno.it/

Jhumpa Lahiri


è nata a Londra da genitori bengalesi. Cresciuta negli Stati Uniti, attualmente vive e insegna a Princeton, trascorrendo lunghi periodi a Roma. È autrice di sette libri, tutti pubblicati in Italia da Guanda: L’interprete dei malanniL’omonimoUna nuova terraLa moglieIn altre paroleIl vestito dei libriDove mi trovo, il primo romanzo da lei scritto direttamente in italiano e Il quaderno di Nerina. Sempre per Guanda ha curato e introdotto l’antologia Racconti italiani. È inoltre traduttrice, in inglese, di alcuni romanzi di Domenico Starnone. Ha ottenuto numerosi riconoscimenti: Premio Pulitzer, PEN/Hemingway Award, Frank O’Connor International Short Story Award e Guggenheim Fellowship. Nel 2012 è stata nominata membro dell’American Academy of Arts and Letters, e nel 2019 il Presidente Sergio Mattarella l’ha nominata Commendatore dell’Ordine «Al merito della Repubblica italiana».

 

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