Macbeth




Recensione di Piergiorgio Pulixi


Autore: Jo Nesbø

Traduttore: Maria Teresa Cattaneo

Editore: Rizzoli / Hogarth Press

Genere: thriller/ noir

Pagine: 612

Anno publicazione: 2018

«Se tu vuoi sopravvivere, la mano deve fare quello che il cuore non vuole».

È una goccia di pioggia a portarci dentro il romanzo. La stilla si muove nella sua caduta come l’occhio di vetro di una telecamera, mostrandoci una città senza nome, post-industriale, avvelenata dall’illusione del progresso, flagellata da una perenne pioggia acida, che rende acquitrinose le strade e le anime di chi le popola.

Siamo negli anni Settanta, ma lo desumiamo soltanto dai riferimenti musicali. La metropoli è divisa in distretti su cui grava una nebbia vischiosa, letale. Solo dei numeri li identificano. La città senza sole ha trasformato i suoi abitanti in iene. Corruzione, degrado, droga, imperversano nelle strade e nei cuori degli abitanti. La stazione centrale è un crocevia di drogati e spacciatori, un tumore che pian piano sembra estendersi fino ad attanagliare tutta la città. Mors tua vita mea non è solo uno stile di vita, ma l’unico appiglio per non soccombere.

La goccia ci accompagna nella zona portuale. Intuiamo che sono due gruppi criminali a contendersi il mercato della droga: la gang di bikers dei Norse Riders, capeggiata da Sweno l’ammazzasbirri, e il leggendario Ecate, detto la Mano Invisibile, vero demiurgo luciferino del destino economico-criminale della città: è lui l’uomo che sta dietro la miscela, la droga che ha messo in ginocchio migliaia di persone che in essa trovano un riparo e una via di fuga dalla tossicità della vita.

Quando la stilla s’infrange al suolo, assistiamo a un grosso scambio di droga. Duff, ambizioso ispettore della Narcotici, è pronto a sventare la transazione con un pugno dei suoi uomini migliori. Ma non sono gli unici poliziotti acquattati nel buio: dall’alto l’intero SWAT team capeggiato dall’agente scelto Macbeth tiene d’occhio la situazione, pronto a intervenire. Qualcosa va storto.

L’aria puzza di resa dei conti. Macbeth e i suoi sono uomini avvezzi alla violenza. «Battezzati nel fuoco, uniti dal sangue» questo è il motto di quella che più che una squadra è una sorta di famiglia di persone che vengono “dal popolo”, dalla strada, non come l’elegantone Duff, che si porta addosso il profumo dei quartieri alti di Fife. La violenza esplode e sarà Macbeth a ripristinare l’ordine, lasciando a terra un mucchio di cadaveri. Più che un’operazione di polizia è un massacro. Ma le cose nella città dell’ex commissario capo Kenneth – uomo dal pugno di ferro, despota più che funzionario di polizia – vanno così; e poco importa che il nuovo commissario capo, Duncan, sia un poliziotto retto e meno incline alla violenza. La città senza nome ha ingaggiato una guerra contro il crimine, e in guerra l’unica legge che viene rispettata è quella del sangue. E sebbene la metropoli abbia un sindaco – Tourtell, uomo flaccido fisicamente e moralmente – in città è la polizia a comandare.

Macbeth e la sua squadra vengono incensati dal “re buono” Duncan, e il capo della SWAT diviene il primo nome sulla lista dei candidati a dirigere l’importante Unità Anticrimine, scavalcando l’uomo che sognava di avere quell’incarico: Duff, ex amico fraterno di Macbeth con cui è cresciuto in un orfanotrofio, prima di avere la fortuna di prendere un ascensore sociale che l’ha portato di filato ai piani alti; li lega un segreto oscuro che in qualche modo ha minato la loro amicizia. Dopo l’orfanotrofio, da cui è scappato per sfuggire alle perversioni del direttore Lorreal, il giovane Macbeth ha vissuto un periodo folle: abile nel maneggiare i coltelli ha lavorato in un circo, finché anche lui è stato attirato dalla droga, diventandone schiavo; è stato Banquo, storico leader della SWAT, a salvarlo afferrandolo per i capelli prima che annegasse nell’abisso, prendendolo a vivere con sé, dandogli una direzione e mettendogli una divisa addosso. Banquo è come un padre per Macbeth, e i due sono insieme, diretti alla riunione con Duncan, quando si imbattono nelle spettrali “sorelle” di Ecate e nella ciclopica Strega, braccio destro del gangster: le tre donne regalano a Macbeth tre profezie, ma è una a sconvolgere più di tutte il poliziotto: sarà lui a divenire il nuovo commissario capo, la carica più alta nel dipartimento di polizia. Il germe dell’ambizione è stato piantato nell’anima di Macbeth e da quel momento nulla sarà più lo stesso. Ciò che attende il poliziotto è un’ascesa ai vertici del potere che di pari passo riflette una discesa agli inferi della colpa, della corruzione e della perdizione che andrà a contagiare tutte le persone che gli sono vicine.

«I sogni esagerati spesso sono una ricetta per l’infelicità».

Aderendo al programma della Hogarth Press, che sta portando avanti un bel progetto di riscrittura delle opere shakespeariane a firma dei più apprezzati e talentuosi scrittori del nostro tempo, Jo Nesbø scrive il suo romanzo più nero, totalmente dominato dal male.

Nella sua fervida immaginazione, Macbeth, il generale del re di Scozia Duncan, diviene un poliziotto duro ma apparentemente onesto, fragile e più uso alla violenza che al ragionamento. Quello che è stato il castello di Macbeth e della sua sposa nell’opera del Bardo, Inverness, diventa un casinò/scannatoio di lusso (così come il suo gemello/nemesi Obelisk), che si erge a guardare dall’alto la città senza nome. Lady Macbeth diviene una maîtresse dalla lunga e vaporosa chioma rosso fuoco, vera artefice del progetto di regicidio a opera del marito.

Il bosco di Birnan diverrà una famigerata Birnha, locomotiva inossidabile e deus ex machina nello showdown finale, e così via, in una serie di mutamenti in chiave noir degli stereotipi e dei riferimenti geografici e narrativi della tragedia. Il ritmo cresce d’intensità e pare aumentare via via che la psicosi e gli errori/orrori di Macbeth lievitano.

Anche la scrittura si fa sempre più affilata e meno descrittiva. È palese che Nesbø si sia molto divertito in questa riscrittura della tragedia più cruenta e oscura della produzione del drammaturgo inglese, ed è chiaro che anche i suoi lettori si svagheranno in quest’opera che non tradisce affatto lo spirito e il nucleo narrativo primigenio del Macbeth shakespeariano.

A differenza dei romanzi di Harry Hole, qui non c’è nessun mistero o indagine da risolvere: in questa storia, si assiste inermi al precipitare degli eventi e a un’ambizione e una sete sfrenata di potere che divorano l’anima del personaggio, istigato da una Lady che – così come nell’originale – risulta il personaggio più interessante e meglio descritto dell’intera storia. L’unica redenzione possibile è incarnata dalla morte.

Chi ha amato romanzi come “Corruzione” di Don Winslow, serie come “The Shield”, graphic novel come “Sin City” e film come “Il Padrino”, non potrà che amare questo noir potente che racchiude in sé tante anime accomunate da un unico punto comune: il buio. Un buio che contagia e non lascia scampo. Nell’ambiente teatrale il Macbeth è considerato un’opera nefasta, che porta sfortuna, e sono pochi gli attori che non cedono a questa superstizione; in ambito letterario, a giudicare dall’entusiastica accoglienza ricevuta dal romanzo di Nesbø, ai vertici delle classifiche dei libri più venduti in mezzo mondo, pare invece che quel malaugurio sia stato drasticamente rovesciato.

Jo Nesbø


 Jo Nesbø. (Oslo, 1960) è uno degli autori di crime più importanti al mondo. Della serie con protagonista Harry Hole, presso Einaudi ha pubblicato: Il leopardo, Lo spettro, Polizia, Il pipistrello, Scarafaggi, Nemesi, Il pettirosso, La stella del diavolo, Sete e L’uomo di neve. Da quest’ultimo è stato tratto l’omonimo film con Michael Fassbender.

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