Morte di una sirena




Recensione di Stefania Ceteroni


Autore: Rydahl & Kazinski

Traduzione: Eva Kampmann

Editore: Neri Pozza

Genere: gialli e thriller

Pagine: 402

Anno di pubblicazione: 2020

Sinossi. Copenaghen, 1834. Anna lavora in una zona della città dove le botti d’acquavite prendono fuoco per strada, i panettieri vendono pretzel infilati sui bastoni, i marinai ballano tra di loro e i mendicanti e i ladri si aggirano senza sosta. Per provvedere alla Piccola Marie, la figlia di sei anni, riceve fino a tarda ora uomini ubriachi ed eccitati che non le chiedono nemmeno il nome, le strappano i vestiti di dosso e la prendono. Una sera viene condotta a forza in una casa elegante e, davanti a una grande porta spalancata sul mare, qualcuno pone fine alla sua giovane vita. Il suo corpo viene ritrovato nell’immondezzaio della città, il canale dove si raccolgono tutti i rifiuti di Copenaghen. Un corpo bellissimo con gli occhi chiusi, ma con i capelli che, come quelli di una sirena, scintillano di conchiglie. «L’uomo dei ritagli»… l’assassino non può essere che lui. Molly, la sorella minore di Anna, ne è sicura: soltanto un dissoluto può recarsi nell’appartamento di una prostituta e starsene tutto il tempo su una panca a contemplarla e a realizzare ritagli di carta che le somigliano. Ne è convinto anche il questore: il responsabile dell’infelice decesso non può essere che lo scrittorucolo con la passione per carta e forbici, l’uomo che è stato visto uscire per ultimo dall’appartamento della vittima. «L’uomo dei ritagli»… si chiama Hans Christian Andersen ed è o, meglio, vorrebbe essere uno scrittore; tutti i tentativi per diventarlo sono però miseramente falliti, stroncati senza esitazione dai critici. Non fosse per la protezione dell’influente signor Collin, che lo ha spedito in collegio, ha pagato la retta e lo ha introdotto nel bel mondo, sarebbe immediatamente incriminato di omicidio e condotto nelle patrie galere per essere poi punito con vedrebbe volentieri decapitato e sulla ruota, ma, dato il peso dei Collin in città e persino sulla corona, deve scacciare per il momento la visione e offrire ad Andersen un’ultima chance: tre giorni, soltanto tre giorni per trovare altri colpevoli. Se non salteranno fuori, Hans Christian Andersen si trasformerà da scrittore povero in canna in assassino.

Recensione

Morte di una sirena è un romanzo che mi ha spiazzata. Toni cupi, descrizioni crude, situazioni spesso disgustose e in alcuni passaggi davvero inverosimili: gli autori propongono la storia di Hans Christian Handersen (che non era ancora quell’Handersen che è arrivato a noi grazie alle sue favole per bambini) e che è alle prese con una pesantissima accusa.

La morte violenta di Anna viene attribuita a lui: quell’ometto strano che si recava da lei, donna di strada, non per “consumare” ma per ritagliare la sua figura nella carta. Un uomo strano, l’ultimo che è stato visto in compagnia della povera ragazza ritrovata cadavere e martoriata nel corpo. Molly, sua sorella e anche lei donna di vita, è la prima accusatrice di un Hans Christian che rischia davvero grosso.

Riesce ad ottenere la possibilità di difendersi: ha tre giorni di tempo per dimostrare la sua innocenza. In questa impresa troverà un’alleata proprio nella sua accusatrice. Molly cerca vendetta per la morte di sua sorella e si rende conto che non può essere quell’omuncolo che ha davanti agli occhi il colpevole.

In una Copenaghen d’altri tempi, siamo nel 1834, fatta di contrasti profondi, dove ad una profonda povertà si sovrappongono gli sprechi e la ricchezza sfrenata e la lussuria degli ambienti di corte, si consolida una coppia alquanto bizzarra: uno scrittore squattrinato, senza arte ne’ parte, ed una prostituta alla quale, tra l’altro, rimane anche l’affido della bambina della defunta, la Piccola Marie.

Tre giorni mi sono sembrati decisamente troppo pochi per tutto ciò che capita a quella coppia di investigatori improvvisati e, onestamente, in più passaggi ho trovato le descrizioni fin troppo meticolose, tanto da rallentare parecchio una narrazione che sembra proseguire a fatica. Nonostante il disgusto per alcune situazioni devo dire, però, che sono stata spinta dalla curiosità di capire come la situazione potesse risolversi…

Ci ho messo un bel po’ di tempo a concludere la lettura che avevo immaginato più scorrevole e decisamente meno cupa. Ho avuto l’impressione che fosse sempre notte, nonostante le descrizioni di un sole accecante.

I toni cupi predominano e credo che questa sia stata una scelta ben precisa degli autori: quella di rendere gli ambienti dell’epoca, soprattutto quelli dei bassifondi, dove sporcizia e miseria la fanno da padroni. A ciò si contrappongono gli sprechi e la lussuria che si vive a palazzo. Si insiste molto su questo, soprattutto sugli sprechi che caratterizzano i banchetti mentre fuori la gente muore di fame. Nonostante i difetti che mi sono saltati agli occhi devo però dire che l’idea mi è piaciuta. E la ricerca del colpevole – la cui identità viene svelata già all’inizio ma rispetto al quale gli autori riservano delle sorprese – è caratterizzata da alcune forzature e situazioni decisamente inverosimili, fino ad arrivare a riferimenti magici che poco hanno a che fare con le circostanze. Eppure mi ha colpita il fatto che sia la follia a fare da filo conduttore dell’intera vicenda.

La follia di un Handersen che sente vorticare nella sua mente idee e pulsioni che sarebbe tentato di soffocare ma che lo tormentano e lo portano, ad un certo punto, a tenere comportamenti lontani dalla sua indole tranquilla.

La follia di una donna privata dell’unico affetto rimastole – quello della sorella – che si vede strappare via con violenza i propri sogni e  che viene spinta a fare di tutto che farà per trovare un colpevole che deve pagare per quanto ha fatto.

La follia che muove il colpevole e che è, nel suo caso, sommata ad una lucidità tale da dare quasi dignità ai suoi comportamenti.

Ciò che accade – tenendo da parte la lentezza della narrazione, la confusione e assurdità di alcune situazioni – ma ha fatto riflettere molto sul desiderio di voler essere diversi da ciò che si è.

In un’epoca in cui tutto doveva essere tenuto sotto controllo, dove il popolo doveva vedere solo ciò che il regno voleva far vedere, dove si muovevano marionette con fili tirati dall’alto, dove si aveva bisogno di ordine e di tranquillità, c’è stato qualcuno che ha tentato di sovvertire l’ordine naturale delle cose. E ad un certo punto mi ha anche fatto compassione, il colpevole. Un personaggio assurdo e pericoloso, un malato, un folle che ha cercato disperatamente e ad ogni costo, di arrivare all’obiettivo che ha motivato ogni sua scelta.

Mi ha fatto compassione anche lui, Handersen: il continuo sottolineare il suo aspetto dimesso, il suo fallimento come scrittore viene nobilitato, secondo il mio parere, dal suo coraggio nel non abbassare la testa sul finale davanti ad una richiesta di silenzio, per il bene del regno.

Trova un modo sottile per raccontare quanto accaduto, riesce anche ad avere successo ma c’è un grande fallimento alle porte, il fallimento di un’intera città che resta indifferente davanti ad una morte che, come altre, verrà poi raccontata in una delle sue fiabe più famose.

A cura di Stefania Ceteroni

https://libri-stefania.blogspot.com

 

Rydahl & Kazinski


Thomas Rydahl, nato ad Aarhus nel 1974, scrive fin dall’infanzia. Ha una vivace carriera alle spalle e nel 1992 vince un importante concorso per racconti brevi, con il romanzo di YA Forever Young. Rydahl ha studiato filosofia e psicologia, oltre ad essere stato addestrato come vigile del fuoco. Haanche lavorato come barista, traduttore e correttore di bozze. Si è laureato presso l’Accademia danese di scrittura nel 1999, dove ha pubblicato numerosi racconti.Dal 2001 Thomas ha lavorato con la narrazione di storie e la strategia nella comunicazione. Vive a nord di Copenaghen insieme a sua moglie e due figli, quattro gatti, un cane e un criceto.

A.J. Kazinski è in realtà uno pseudonimo, dietro cui si celano due scrittori, Anders Rønnow Klarlund e Jacob Weinreich. Klarlund ha esordito nel 2009 con il romanzo “De hengivne” ed è sceneggiatore di numerose serie televisive danesi. Jacob Weinreich si è diplomato alla Danish School of Film ed è autore di romanzi per ragazzi.

 

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