Scomparsi




Recensione di Giuditta Pontini


Autore: Haylen Beck

Traduzione: Carlo Prosperi

Editore: Baldini & Castoldi

Genere: Thriller, Suspance

Pagine: 349

Anno di pubblicazione: Aprile 2018

Sinossi. Audra Kinney sta attraversando gli Stati Uniti a bordo della sua auto per fuggire da un marito violento e da un passato di dipendenza da droghe e alcol. Con lei i figli Sean e Louise, di dieci e sei anni. Lungo una strada desolata dell’Arizona, un banale controllo da parte dello sceriffo locale, Ronald Whiteside, prende ben presto una brutta piega: tra i bagagli viene trovato un sacchetto di marijuana. La donna viene arrestata, mentre Sean e Louise sono affidati alla vice di Whiteside. Una volta in cella, Audra scopre che la sua difficile situazione è destinata a trasformarsi nel peggior incubo di un genitore: quando chiede dei suoi figli, lo sceriffo nega di averli visti sull’auto. Ben presto giungono sul posto sia l’FBI sia i media, convinti che lei li abbia uccisi. Nessuno crede alla sua innocenza, tranne Danny Lee, un sinoamericano di San Francisco che apprende della vicenda dalla televisione. L’uomo si imbarca su un volo per l’Arizona per aiutare Audra e, soprattutto, per fare chiarezza sulla scomparsa di sua figlia, avvenuta cinque anni prima in circostanze analoghe. Nonostante il suo passato violento, Danny Lee rappresenta per Audra l’unica speranza di scoprire la verità e ritrovare Sean e Louise prima che sia troppo tardi. Audra si avvicinò alle sbarre, le afferrò. Guardò Whiteside negli occhi, a pochi centimetri di distanza dall’altra parte. «La prego», disse, incapace di eliminare un tremito dalla voce. «Ho fatto tutto quello che mi ha detto. Ho collaborato. La prego, adesso mi dica dove sono i miei bambini.» Whiteside la fissò. «Quali bambini?»

Recensione

Un libro intenso, sconvolgente e commovente allo stesso tempo. Questo libro è molto più, di un semplice thriller della narrativa contemporanea. Lo definirei una storia drammatica, più che un thriller. Sebbene l’elemento della suspense sia presente in tutta la storia, altri sono gli elementi che saltano immediatamente all’occhio del lettore. Questo libro, attraverso il viaggio e la bufera mediatica che investono la protagonista, Audra Kinney, va a scoperchiare molte tematiche interessanti e, purtroppo, spesso anche molto attuali. Audra è una donna che sta scappando.

Ora sta scappando da un marito violento ma, in realtà, sta scappando da tutta una vita, anche se, all’inizio, non ne è pienamente consapevole. Perché Audra, prima di incontrare Patrick, ha già avuto la sua buona dose di sofferenza. Un’infanzia difficile, un padre violento e alcolizzato. Forse è per questo che, quando ha incontrato un uomo bello e di successo, che si professava innamorato di lei ed era gentile, Audra ha capitolato. Lo ha sposato. Salvo poi dover ammettere ciò che, in un angolo della sua mente, già sapeva da tempo. Che dietro la facciata di uomo gentile e perbene, Patrick è in realtà un manipolatore, un egoista. Un narcisista latente, succube di una madre megalomane e dispotica, pronto a fare qualunque cosa, pur di accontentarla. Un uomo che, per colmare le lacune prodotte nel proprio io dall’ingombro della figura materna, ha bisogno di una figura fragile, succube, di qualcuno da poter controllare per sentirsi potente, vivo, realizzato. Una realtà sconvolgente che, spesso, le vittime di abusi non sono in grado di riconoscere.

Chi è vittima di pesanti abusi durante l’infanzia, tende a sviluppare una visione del proprio io distorta. Il bambino che non viene amato, non viene considerato, non viene sostenuto, tende a credere che la colpa di questo sia sua. Tende, cioè, a pensare di meritare di essere trattato in quel modo. Essendo questo l’unico modello di affettività che conosce, da adulto tende inconsciamente ad avvicinarsi a situazioni analoghe a quelle vissute durante l’infanzia. La descrizione che l’autore dà della protagonista calza a pennello con questa figura.

Audra è fragile, debole. Ha un disperato bisogno di sentirsi amata e quindi, anche se nel profondo sente che qualcosa non va, accetta la corte di Patrick, e lo sposa. Dopodiché, precipita in un perenne stato di apatia e di non lucidità, a causa della pillole e dell’alcool che Patrick continua a procurarle ogni giorno, pur di poterla controllare e renderla soltanto un burattino nelle proprie mani. Ma Audra non è solamente questo. È anche una donna forte. E, soprattutto, ama i suoi due bambini, Sean e Louise. E sa di aver inconsciamente fatto loro del male, lasciandosi manipolare in quel modo dal marito. Il desiderio di riscatto, di poter essere per i suoi figli una madre migliore, di poter recuperare tutti i compleanni, i giochi, i momenti che quell’obnubilamento indotto le ha portato via, spinge un giorno la donna a ribellarsi. Audra, approfittando dell’assenza del marito, prende i suoi due figli, li carica in macchina, e scappa. Purtroppo, però, il suo incubo peggiore sta per cominciare. Mentre attraversa il deserto dell’Arizona, viene fermata da una pattuglia.

Lo sceriffo Witheside, con la scusa di alleggerirle il carico dell’auto, perquisisce il bagagliaio, trovando una bustina di marijuana. In men che non si dica, Audra si trova sola, dietro le sbarre, con i figli affidati alla temporanea custodia di una collega di pattuglia, il vicesceriffo Mary Collins. Quando Audra, presa dal panico, chiede allo sceriffo dove siano i suoi figli, questi la fissa incredulo, dicendole che non c’era nessun bambino in auto con lei. Per Audra è l’inizio di un incubo. La donna ha così poca stima di se stessa, da arrivare inizialmente a pensare di essersi immaginata tutto, di non aver mai caricato i propri figli in macchina. Ma, quando la stampa e la polizia la accusano di aver ucciso Sean e Louise per vendetta nei confronti del marito, e di averne abbandonato i corpi nel deserto, questa donna si rende conto che la realtà è molto peggiore rispetto a ciò che chiunque potrebbe sospettare.

A questo punto, inizia il vero cammino di Audra. Quello per ritrovare i propri figli, ma anche, attraverso la consapevolezza dell’immenso amore che prova per loro, quello per ritrovare se stessa. Audra è sola. Nessuno le crede. Nessuno, eccetto Danny Lee, un poliziotto di San Francisco che, cinque anni prima, ha vissuto il suo stesso dolore. Anche sua figlia Sara, dopo un insolito controllo da parte di una pattuglia della polizia locale, è scomparsa senza lasciare traccia. La figura di Danny è bellissima. Dentro di sé, sa bene che non rivedrà mai più sua figlia, ma sa anche di poter evitare che questo orrore possa accadere a qualcun altro. Il primo dialogo fra Danny e Audra è spiazzante e commovente.

Danny rappresenta, in quel momento, lo specchio d’acqua limpida in cui Audra riuscirà finalmente a vedere se stessa. Danny diventa personificazione dell’essenza pura di Audra. È come uno specchio di acqua limpida, in cui Audra può finalmente vedere se stessa per ciò che veramente è. Una brava persona. E una donna che ama i propri figli, indipendentemente dal fatto che è stata anche una persona fragile e, per questo, facilmente plagiabile. La battaglia fra la consapevolezza di se stessa e la voglia di arrendersi permea l’intero romanzo, con una potenza straordinaria. Come accade nella vita, non si rinasce così, subito e per intero, come la Fenice. Si rinasce lentamente, passo dopo passo. Si rinasce contraddicendosi, avendo paura, piangendo e pentendosi.

Ma l’elemento costante della rinascita è la voglia di riscatto. E sia Danny che Audra hanno bisogno di lottare. L’autrice mostra una capacità straordinaria. Ci fa evincere tutta questa complessità grazie a poche, semplici descrizioni. I dialoghi più salienti sono brevi, punteggiati, estremamente incisivi. Sono come un pugno nello stomaco, danno al lettore quel qualcosa in più. Mentre si legge questo libro, infatti, l’attenzione non è indirizzata solamente sulla curiosità di scoprire come finisce la storia. Il lettore si immedesima in Audra e in Danny e, attraverso un bilanciamento perfetto fra scene d’azione e scene di cruda immobilità, è portato a riflettere sulle innumerevoli tematiche che questa trama porta con sé.

Fra le altre, quella sulla facile corruttibilità dell’animo umano, impersonata dallo sceriffo, e sull’egoismo, sulla debolezza, su cosa si sia disposti a fare pur di salvare le persone che ami, tutti sentimenti condensati attorno alla figura della vicesceriffo Mary Collins. La fugace intensità con cui l’autrice rende le reazioni di quest’ultima porta il lettore a non riuscire a odiarla, malgrado l’orrore riconducibile alle sue azioni. Una capacità non da tutti.

Un libro profondo e particolare. Leggetelo, se oltre all’adrenalina volete anche qualcosa di più.

Haylen Beck  (Stuart Neville)


Stuart Neville è un autore nordirlandese meglio conosciuto per il suo romanzo The Twelve o, come è noto negli Stati Uniti, The Ghosts of Belfast . È nato e cresciuto a Armagh, nell’Irlanda del Nord.