Taccuino di una sbronza




Recensione di Gaudenzio Schillaci


Autore: Paolo Roversi

Editore: SEM

Genere: Narrativa

Pagine: 170

Anno di pubblicazione: 2020

Sinossi. Charles Bukowski muore il 9 marzo del 1994 a San Pedro, California. Nemmeno il tempo di capire se la sua anima debba bruciare nell’inferno degli scrittori maledetti e a Dublino la vita di un impiegato standard si lega indissolubilmente alla sua. Carlo Boschi, trentenne bancario, nonché futuro marito di Sara, una ragazza della Milano bene, parte con l’amico di una vita per un addio al celibato memorabile: tre giorni a Dublino, impiegati a raggiungere una sbronza colossale. Birra dopo birra, però, il promesso sposo finisce all’ospedale, in pieno coma etilico. Al risveglio non è più lo stesso: è convinto di essere la reincarnazione del suo scrittore preferito, Charles Bukowski, morto proprio quella notte. Da quel momento in avanti, per quella pinta in più, la vita di Carlo cambia radicalmente. Drogato di scrittura e assetato di alcool, manderà all’aria il matrimonio con Sara, mollerà il lavoro, comincerà a scrivere spinto dal whisky, a rimorchiare donne nei bar e a vivere di espedienti e lavoretti saltuari, alle prese con sgangherati reading di poesia o impegnato a fare a pugni nei vicoli. Una galoppata a briglie sciolte nella movida milanese, mentre l’Italia di fine millennio cambia per sempre.

Recensione

In una delle opere di quel geniaccio anarchico e contro ogni cosa che risponde al nome di Franco Maresco, ovvero “Enzo, domani a Palermo!”, l’opera che forse meglio sintetizza la ferocia del grottesco con la leggerezza di un racconto documentaristico com’è nello stile del cineasta siciliano, uno dei personaggi, un sedicente stuntman dalla dentatura prominescente e l’italiano claudicante, pronuncia la frase “prendiamo porta come materia”: nel nostro caso, ad essere preso come “materia” è il romanzo, non l’oggetto ma il concetto, ovvero tutto l’insieme di regole scritte e non scritte, dette e non dette, che si porta appresso, insite nella sua definizione. “Romanzo”, ovvero “componimento letterario in prosa di un certa ampiezza che narra una vicenda del tutto o in parte immaginaria”, traggo dalla Treccani.

Questo “Taccuino di una sbronza”, edito da SEM a firma Paolo Roversi, pare entrare a pieno diritto nella definizione, trattandosi di un componimento letterario, in prosa, di una certa ampiezza e che narra la storia, verosimilmente immaginaria, di un banchiere milanese, tale Carlo Boschi, che durante un week end ad alto tasso alcolemico in quel di Dublino si sveglia convinto di essere la reincarnazione di Bukowski. Eppure non è soltanto questo.

Con quest’opera, Roversi guarda al suo idolo letterario e ne offre un tributo che non vuole essere un semplice scimmiottamento o una sequela di citazioni, piuttosto tenta di farne rivivere lo spirito corrosivo attraverso un personaggio, il già citato Boschi, che si presenta come un’antitesi borghese dello scrittore statunitense: inquadrato in una vita dentro ai margini delineati della società contemporanea, pronto all’impegno massimo, ovvero il matrimonio, destinato alla regolarità della quiete, agli orari fissi, agli obblighi e alla routine, e lo fa lasciando che scorranno fiumi di alcolici, tra le pagine che sembrano quasi puzzare di whisky come se l’autore si fosse preso la briga di andare dal tipografo e abbia versato una goccia di liquore su ogni copia prodotta.

Roversi si è posto una missione difficile, ovvero partire dalla forma romanzo, trascenderne le logiche e poi santificarla, e l’ha portata a compimento in maniera eccelsa: la storia scorre (mi ripeto, lo so, ma è senza ombra di dubbio il verbo più adatto a questo romanzo) in perpetuo, liscia e credibile, talmente credibile da far sentire il lettore stesso come fosse la reincarnazione di Bukowski, e racconta non solo il tentativo di Carlo di affrancarsi dalle logiche sociali in cui si è mosso prima del coma etilico ma anche (e trovo sia la parte più interessante del romanzo) il tentativo di tutti quelli che gli stanno intorno di prendere le misure di quella che è la sua nuova identità.

Pieno di sfaccettature, “Taccuino di una sbronza” non è semplicemente la storia di un uomo che voleva essere Bukowski e dei suoi amici ma è anche un vero e proprio documentario cinico e divertito sulla Milano “cool” degli anni ’90, la Milano che si poneva come motore trainante di un’Italia che oggi ne paga le conseguenze, la Milano in eterna contraddizione tra quello che era e quello che voleva essere, in bilico tra i Centri Sociali e i manifesti elettorali.
Oltre il romanzo, appunto, c’è di più: c’è la morte di un secolo, la nascita di un secolo. La morte del romanzo, la nascita del romanzo.

Proprio come in certe opere di Maresco dove si loda il cinema cantandone la veglia funebre, qui si loda il romanzo partendo dalla morte di uno dei suoi più grandi esponenti e facendolo rivivere. Un romanzo importante, per capire lo stato delle cose, per capire chi siamo e da dove siamo venuti.

E soprattutto, un romanzo che diverte come solo certi grandi romanzi riescono a fare.

A cura di Gaudenzio Schillaci

https://instagram.com/denzyotollah

 

Paolo Roversi


è nato il 29 marzo 1975 a Suzzara (Mantova). Scrittore, giornalista e sceneggiatore, vive a Milano. Collabora con quotidiani e riviste ed è autore di soggetti per il cinema e per serie televisive, spettacoli teatrali e cortometraggi. Tiene corsi di scrittura crime per la scuola Holden di Torino. I suoi romanzi sono tradotti in otto Paesi.

 

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