Tre madri




Recensione di Claudia Cocuzza


Autore: Francesca Serafini

Editore: La nave di Teseo

Collana: Oceani

Genere: Giallo

Pagine: 304

Anno di pubblicazione: 2021

 

 

 

 

 

Sinossi. La commissaria Lisa Mancini a soli trentatré anni ha già alle spalle una carriera straordinaria. Tanti successi in Italia e all’estero di cui potrebbe vantarsi, ma che creano intorno a lei un’aura di mistero il giorno in cui decide di abbandonare l’incarico all’Interpol di Lione per dirigere il commissariato di Montezenta, un piccolo centro romagnolo con i pregi e i difetti della provincia italiana, e di tutte le province del mondo. Nessuno conosce il motivo del trasferimento di Lisa. Tutto quello che sappiamo sul suo conto è che, sbrigate le pratiche di routine, passa le giornate chiusa nel suo ufficio a giocare a Candy Crush sul cellulare. Finché non viene denunciata la scomparsa di River: un quindicenne di origine inglese che vive con la sua famiglia in un piccolo villaggio appena fuori dalle mura medievali di Montezenta. Una comunità libertaria e anticonformista che trasforma in opere d’arte i materiali di scarto, e che attira per questo su di sé l’ostilità e i pregiudizi del resto della popolazione. River – uno studente modello, capace di farsi amare da tutti – è davvero una vittima oppure sta scappando da qualcosa di cui è lui stesso responsabile? Per riuscire a rispondere a questa domanda, Lisa dovrà combattere i demoni del suo passato, e trasformare la ricerca del ragazzo in un viaggio a perdifiato dentro sé stessa.

 

Recensione

Finito di leggere Tre madri di Francesca Serafini resto un attimo perplessa.

Non so bene come impostare la mia recensione, da cosa partire.

Sono troppe le cose di cui vorrei parlare, che mi hanno spiazzata.

Okay, facciamo un po’ d’ordine, mi impongo.

Decido che, per parlare di Tre madri, devo intanto scindere il romanzo dall’esercizio stilistico dell’autrice.

Partiamo dal romanzo.

Tre madri sancisce l’esordio di Francesca Serafini come autrice di gialli e, di conseguenza, la comparsa sul panorama letterario italiano di un nuovo investigatore, il commissario Lisa Mancini, o meglio “la commissaria”, come viene definita nel testo, con una declinazione al femminile di un ruolo istituzionale che non incontra il mio gradimento, in quanto mi sembra più sessista rimarcarlo piuttosto che il contrario.

Preciso che mi provoca la stessa reazione sentire parlare di “sindaca”, “ministra” e affini, termini mio malgrado entrati nell’uso comune, per cui è evidente che sia un mio problema e che, presto o tardi, me ne farò una ragione.

La vicenda è ambientata in un paesino della Romagna, Montezenta, luogo di fantasia ispirato a Santarcangelo di Romagna, nel gennaio del 2019 e la narrazione è affidata a un narratore onnisciente, che interviene in svariate occasioni: per presentarci alcuni dei personaggi, tra cui la stessa Lisa (Prima, però, è tempo di conoscere Lisa.

Del perché una commissaria dirigente già a ventisette anni in un quartiere della periferia romana più controversa, passata successivamente prima alla Mobile e poi alla sede dell’Interpol di Lione, sia finita sei anni dopo a dirigere gli uffici di un piccolo centro romagnolo avremo modo di parlare) ma anche Iole e Domenico, la coppia di sessantenni presso il cui residence Lisa alberga (Prima di sapere chi sono – so che avrebbe la sua utilità – è più importante capire di che cosa stanno discutendo, per provare a immedesimarsi nello stato d’animo di Lisa appena lo scopre); per rassicurare il lettore che più avanti avrà tutti gli strumenti necessari per comprendere appieno una certa situazione (Avrò occasione di raccontare perché non guida ma adesso bisogna correre con lei in commissariato) o ancora per semplificare la rappresentazione di una scena (il dialogo naturalmente si svolge in inglese, ma qui è tradotto per tutti i Codeluppi e i Vannini in ascolto).

La vicenda principale riguarda la scomparsa di un adolescente, River, da un sobborgo di Montezenta, Ca’ de Falùg, abitato da artisti in camper non molto ben visti dalla popolazione residente.

Durante gran parte della narrazione il motivo per cui Lisa abbia abbandonato la sua carriera all’Interpol di Lione, per decidere di rifugiarsi in un paesino sperduto, rimane ignoto. Perché sì, anche se non siano al corrente delle ragioni, questa scelta sa proprio di fuga.

Da quando ha assunto il comando del piccolo commissariato, Lisa Mancini si è mostrata disinteressata verso il mondo circostante; ha solo smistato compiti, delegato ai suoi sottoposti e, per il resto, ha trascorso le sue giornate a giocare Candy Crash chiusa nel suo ufficio, finché la scomparsa di River non la scuote.

A questa vicenda se ne intrecciano altre due, in apparenza indipendenti le une dalle altre: l’omicidio di una bambina cinese e la morte di una donna anziana del luogo, madre autoritaria di un cinquantenne eterno bambino.

Ecco le “tre madri”: Aimee, madre di River; Ting Yimou, madre della piccola assassinata; Edda, l’anziana. Le storie di queste tre donne incrociano l’indagine di Lisa, che non può fare a meno di associarle alla teoria di Brandt del “tre più uno”: secondo il filosofo tedesco questa struttura quaternaria è ricorrente nella cultura occidentale ed è possibile rintracciarla negli in ambiti più svariati, dalla letteratura alla religione alla sociologia. Allora Lisa rivede in sé stessa il quarto elemento di diversità, che al contempo serve a consolidare l’unione dei tre.

Proprio questa identificazione nel “quarto diverso”, scopriremo alla fine, è collegato al motivo che ha spinto Lisa a lasciare la Francia.

Il tema della diversità è affrontato dall’autrice sotto molteplici aspetti: lo ritroviamo declinato ora come omofobia, ora come razzismo, o ancora come sospetto verso chi sceglie uno stile di vita lontano dai clichè, come gli artisti di Ca’ de Falùg.

Tre madri è anche il titolo di un famoso brano di Fabrizio De André: l’elemento musicale è ricorrente nel romanzo, fa da apertura e lo ritroviamo costantemente nel corso della narrazione.

Si avverte forte il legame con il cantautore genovese, ma questo non ci stupisce, se pensiamo che la Serafini è l’autrice di Lui, io, noi, scritto con Dori Ghezzi e Giordano Meacci, e della sceneggiatura di Fabrizio De André_ Principe Libero, ancora in coppia con Meacci.

Con Tre madri nasce quindi un nuovo investigatore di carta, che ben si presta alla serialità; una donna giovane, dotata di un’intelligenza fuori dal comune, ma anche di piccole fissazioni che la rendono unica: patita di videogiochi, nel senso di “quasi a rischio ludopatia” se non sapessimo che è abbastanza razionale da sapersi controllare, ha la tendenza a ingabbiare concetti, apparentemente lontanissimi, in elenchi e associazioni; questo è uno dei suoi modi per tenere sotto controllo la realtà.

Mi ha stupito che il romanzo non sia autoconclusivo, il che mi dà la certezza che un sequel sia già nella mente dell’autrice.

I personaggi sono tutti ben caratterizzati, anche i secondari.

Tra tutti, mi soffermo su Arsene, compagno di Lisa e scrittore.

Quando Arsene è indeciso se scegliere un narratore onnisciente in terza o una focalizzazione interna in prima, e si sforza di inventare un narratore che gli permetta una sintesi dei due perché “Voglio essere sincero con chi spende soldi per leggermi. Non ho verità da rivelare. Semmai riflessioni da condividere nel dubbio: e voglio che lo capiscano attraverso la forma in cui gliele presento”: potrei sbagliarmi, ma ho sentito forte la voce dell’autrice.

Fin qui, il romanzo.

Dicevo però che, per parlare del romanzo, non posso non parlare della prova stilistica.

L’impressione che ho avuto è che l’autrice abbia voluto giocare con la sintassi e con l’uso della punteggiatura, in modo sapiente e da esperta della materia.

Ne è venuto fuori uno studio sperimentale molto interessante, ma il cui risultato è quello di rallentare il ritmo della narrazione. In tutta onestà, avrei visto bene una scelta stilistica del genere in un saggio sul tema o in un romanzo di narrativa letteraria, ma non in un giallo che, per sua natura, necessita di ritmo sostenuto e incalzante, ed è un vero peccato perché la trama è ricca, i colpi di scena non mancano e il lettore rimane con il fiato sospeso fino alla fine e oltre, considerato che l’indagine non viene portata a termine.

Stesso discorso vale per i lunghi flashback, le numerose elucubrazioni che rappresentano interessanti spunti di riflessione (sui temi della “diversità”, del libero arbitrio, dell’opportunità di mettere al mondo un figlio) e il ricorso preferenziale al discorso indiretto: tutte scelte che distraggono dalla trama e hanno rallentato la mia lettura.

 

A cura di Claudia Cocuzza  

www.facebook.com/duelettricisottountetto/

 

 

Francesca Serafini


è nata e vive a Roma. Linguista e sceneggiatrice, ha pubblicato, tra l’altro, Di calcio non si parla (Bompiani 2014), Questo è il punto. Istruzioni per l’uso della punteggiatura(Laterza 2012 e Biblioteca della Lingua Italiana del Corriere della Sera 2017) e con Dori Ghezzi e Giordano Meacci Lui, io, noi (Einaudi 2018). Con Claudio Caligari e Giordano Meacci ha scritto il film Non essere cattivo (2015) e con Giordano Meacci Principe libero (2018) sulla vita di Fabrizio De André.


 

 

Acquista su Amazon.it: