Tutto il bene che si può




Recensione di Stefania Ceteroni


Autore: Rye Curtis

Traduttore Francesca Gatti

Editore: Bompiani

Genere: narrativa contemporanea

Pagine: 320

Anno di pubblicazione: 2021

Sinossi. È una domenica d’agosto del 1986 quando un aereo da turismo precipita in un’impenetrabile foresta dei monti Bitterroot, nel Montana. A bordo oltre al pilota ci sono i signori Waldrip, un’anziana coppia texana in vacanza. L’aereo risulta disperso, e le ricerche non danno esito. Ma Cloris Waldrip, 72 anni, è sopravvissuta. È la sua voce che ascoltiamo per metà del libro: la voce interiore di una donna piena di spirito e di energia, che non si lascia scoraggiare dalla situazione impossibile in cui si ritrova e cerca di sopravvivere con coraggio e umorismo, raccontandosi storie del passato e rivelandosi verità mai confessate mentre avanza nella foresta guidata solo dal buonsenso, si nutre di bacche, vermi, erbe, dorme nelle caverne, sfugge per miracolo a ogni genere di pericoli e insidie. L’altra metà del libro è occupata da Debra Lewis, ranger che nel thermos tiene Merlot dozzinale invece del caffè ed è la sola, contro ogni logica, a continuare a seguire le tracce esili e contraddittorie che sembrano dire che Cloris è ancora viva. I giorni diventano settimane; la polizia è alla ricerca di un molestatore-rapitore di bambine che sembra aver trovato rifugio nella stessa foresta; Cloris è sempre più debole, affamata, diminuita dal freddo; Debra sempre più ostinata. Qualcosa deve succedere. Drammatico e umoristico, ricco di sfumature, svolte e sorprese, “Tutto il bene che si può “è il romanzo della sorprendente capacità di adattamento di persone normali in circostanze straordinarie. Ci offre due personaggi memorabili che col loro piccolo eroismo ci ricordano che sopravvivere non basta: per restare umani ci vogliono compassione e dignità.

Recensione

Come può, una donna di 72 anni, sopravvivere all’interno di un’intricata foresta nel Montana dopo essere scampata – unica superstite – ad un incidente aereo (viaggiava su un aereo da turismo) che è costato la vita al pilota e a suo marito?

Sola, debole, infreddolita. Cloris, questo il suo nome, se la cava e lo sappiamo già all’inizio del libro visto che è lei che apre il racconto della sua avventura, da una casa di riposo in cui – a distanza di anni dall’accaduto – si trova. Sappiamo che sopravvive, dunque. Non sappiamo, però, come. Solo durante la lettura ci si renderà conto di quanto tempo sia vissuta allo stato brado, da quella fatidica domenica di agosto in cui il piccolo aereo è precipitato fino ad autunno inoltrato. Ed è più di quanto si possa immaginare.

Cloris non vuole mollare. Oppure sì?

Vuole tornare a casa a tutti i costi. O preferisce restare all’interno di quella foresta visto che, a ben guardare, non c’è più niente e nessuno ad aspettarla nella sua vita di sempre?

E’ sola. Oppure non del tutto?

L’autore alterna il racconto di Cloris, che rende il lettore partecipe delle sue disavventure e delle sue scelte mentre cerca di salvarsi la pelle ma anche del suo passato, al punto di vista di chi, invece, quella donna scomparsa vuole trovarla a tutti i costi.

La seconda protagonista, parallela a Cloris, è Debra Lewis: ranger del Corpo Forestale degli Stati Uniti d’America che non ha nessuna intenzione di mollare ed è convinta che quella donna sia viva. Intende trovarla. Costi quel che costi.

Onestamente ho avuto l’impressione che i due punti di vista fossero scritti da due penne diverse. Alla forza, al coraggio ed anche all’incoscienza di Cloris (che in alcuni frangenti sembra un po’ troppo resistente per essere verosimile, però) si alterna un comportamento quasi sconclusionato e duro di una ranger che beve merlot (è scritto con lettera minuscola, sempre) a fiumi e che si pone in modo quasi violento, decisamente sopra le righe.

Nel dare conto della testardaggine di Debs – questo il suo diminutivo – l’autore sembra lasciar perdere ogni freno inibitore per prodigarsi nella descrizione di dettagli a volte anche disgustosi che sarebbero magari ammissibili nelle descrizioni della vita nella foresta di Cloris ma non nel modo di fare di un ranger.

Onestamente alcuni passaggi mi hanno dato fastidio, alcune descrizioni eccessive e del tutto inutili. Devo invece riconoscere che, a differenza di altri, ogni volta che i personaggi si sono trovati ad imprecare, per un motivo o per l’altro, l’autore ha mostrato rispetto (glielo devo) per il lettore lasciando intendere senza essere esplicito. Questo l’ho apprezzato.

Nominare il merlot ogni tre pagine mi è sembrato esagerato soprattutto tenendo conto del fatto che nella prima parte del libro questo consumo smodato non è affatto trasmesso come un problema. Solo verso la fine si parla di dipendenza e lo si configura come un problema. Non si può certo far passare una persona che tiene vino nel thermos e ne trangugia quantità esagerate ad ogni ora, anche con il caffè, come se fosse normale.

Debs non è sola a cercare Cloris ma è come se lo fosse visto che è l’unica a credere, veramente, che possa avercela fatta. Ma come si può pensare una cosa del genere per una donna di quell’età, in un ambiente così ostile, in un periodo dell’anno che dal caldo porta verso l’inverno? Qualcosa o qualcuno sarà arrivato in suo soccorso?

Lo stile narrativo è molto particolare: non viene usata nessuna punteggiatura per distinguere i dialoghi dal resto, dai pensieri, dalle osservazioni, dalla narrazione. Se nella parte che riguarda Cloris non è poi un gran problema visto che di dialoghi ce ne sono davvero pochi, nell’altra parte invece il lettore è messo alla prova. Molto. Anche a questo, come allo stile particolare, ho fatto fatica ad adattarmi…

Il finale è ciò che mi è piaciuto più di tutto in assoluto. Non me lo aspettavo proprio e mi ha davvero colpito.

Per il resto posso consigliare questo libro a chi ama sperimentare stili inusuali, a chi non va troppo per il sottile durante la lettura ed è disposto a chiudere un occhio anche davanti a delle frasi che lasciano un po’ a desiderare, a volte.

Ai perfezionisti no, non lo consiglio. Troverebbero solo difetti e questo credo sminuirebbe le intenzioni dell’autore che ha voluto, così l’ho interpretato io, consegnare due storie senza troppi filtri, anche a costo di essere impopolare.

A cura di Stefania Ceteroni

https://libri-stefania.blogspot.com

 

Rye Curtis


è uno scrittore texano nato ad Amarillo. Dopo essersi laureato alla Columbia University ha scritto il suo primo libro Tutto il bene che si può (Bompiani, 2021).

 

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