Uccidi quei mostri!




Recensione di Francesca Mogavero


Autore: Jeff Jackson

Traduzione: Seba Pezzani

Editore: SEM

Pagine: 336

Genere: Narrativa / Thriller

Anno di pubblicazione: 2020

Sinossi. Quello che hai tra le mani non è un libro di narrativa. È una ninna nanna punk rock per la gioventù bruciata. Un’anomala ondata di violenza sta travolgendo gli Stati Uniti. I musicisti vengono assassinati sul palco durante i concerti da qualcuno nascosto tra la folla. Sono eventi casuali o c’è dietro qualcosa di più grande e terribile? È la musica stessa che è divenuta corrotta, in una cultura in cui tutto è sostituibile, tutti sono creativi ed è l’effimero a farla da padrone? Con il suo cast di band ambiziose, fan disposti a tutto e killer enigmatici, Jeff Jackson racconta una tormentata e vertiginosa storia di inizi improbabili e finali inattesi, che risuonerà nell’immaginario di chiunque ami il rock’n’roll. Come un vinile, questo libro ha due lati e può essere letto in entrambi i modi, basta capovolgerlo. Questo esperimento narrativo, che offre il punto di vista di vittime e assassini, arricchisce l’esperienza di lettura, poiché il lato B non continua la narrazione del lato A, ma piuttosto ne presenta un’altra, ovviamente legata alla prima. Il lato A, Il mio periodo oscuro, racconta di Xenie, una giovane donna disgustata dalla violenza sfrenata che imperversa sulla scena musicale, ma che si trova attratta inesorabilmente dal mistero dei killer di rockstar. Il lato B, Kill City, segue una storia alternativa, che ci presenta personaggi sorprendenti e si infiltra sempre più a fondo nei metodi e nelle ragioni degli assassini. Con una prosa grintosa e tagliente, Jeff Jackson crea una storia di musica, violenza e voci dall’aldilà. Una canzone d’amore per un mondo che muore.

Recensione

Probabilmente chiunque ha una sua canzone, quella legata a un particolare ricordo, a una persona, a una stagione della vita. Qualcuno, poi, ha un’intera colonna sonora, che magari spazia dalla ballata più melensa (purché non si sappia in giro!) al punk che i non avvezzi scambiano per rumore, dallo swing in stile Grande Gatsby alla trap: ogni pezzo è una memoria, ogni solco ha una storia.

Qualcun altro ancora, macabro o solo previdente, pratico, ha una track list, via via aggiornata, allungata, bella pronta per il proprio funerale, e già immagina Thunderstruck, Born to run, Knockin’ on Heaven’s door o Bohemian Rhapsody sparata a tutto volume a coprire una predica sempre uguale.

In ogni caso, ogni disco, di vinile o reminiscenze, ha un lato A e un lato B: il singolo che invade le radio e i canali musicali e il brano più di nicchia, forse proprio per questo più significativo per chi sa ascoltarlo, la perla rara sotto i lustrini o dietro il sipario; da una parte i testi e le musiche ufficiali” e dall’altra i riarrangiamenti, le scommesse, le prove; oppure, ancora, due facce della stessa medaglia, due tappe dello stesso viaggio o concept album, due visioni del medesimo sogno.

Uccidi quei mostri! Di Jeff Jackson è questo e molto altro, con un non so che di irrisolto, di inspiegabile che resta nell’aria, come l’eco di una nota prolungata all’infinito, a una frequenza appena percettibile.

Ci sono Xenie e Shaun, che nelle cicatrici così simili e negli accordi hanno trovato il loro delicato e prezioso equilibrio, ci sono gli amici d’infanzia mai persi del tutto, ci sono le sale prove casalinghe,i vissuti che si confondono, l’insoddisfazione, l’irrequietezza non solo giovanile, il disagio, la sete di fama e riflettori, la consapevolezza, più o meno condivisa e attendibile, di essere diversi, capaci di offrire una musica nuova che sia anche un manifesto. E una serie di killer che sembra aver preso di mira i musicisti, gruppi e solisti, freddandoli nel mezzo dell’esibizione, quando i riflettori si concentrano su di loro, tra il pubblico serpeggia un’attesa elettrica e il successo pare ormai raggiunto o soltanto a un passo.

Armi differenti, località ed eventi scelti senza una ragione comprensibile, in comune lo stessosguardo vuoto e l’aver agito per “legittima difesa.

Chi uccide chi e, sopratutto, chi lo ha fatto per primo?

L’epidemia è iniziata col primo sparo o il virus aveva già incominciato a dilagare invisibile e silenzioso, ma non per questo meno letale?

Gli assassini stanno eliminando delle promesse, dei talenti, oppure sono coloro che si definiscono artisti ad aver compiuto la strage più grande e sanguinosa?

Sullo sfondo di un bosco acceso dagli incendi e dai fucili dei cacciatori i cervi sono malati e Qualcuno deve pur mettere fine alle loro sofferenze una storia dannatamente rock, o forse un delirio, una burla, una metafora dell’attuale concetto di creatività, in cui predatori e prede sono etichette che si attaccano, staccano e si riappiccicano in modo inaspettato e il concetto di male e infezione è tutto da riscrivere, come una canzone assume significati, accenti e forme del tutto diversi e imprevedibili a seconda di chi la suona e la canta.

Sintonizzatevi sulle onde acute e sguaiate Siouxsie and the Banshees, aprite le pagine di questo romanzo, partendo dal lato che preferite, e godetevi il trip: il primo giro è offerto da Jeff Jackson, e la sbornia non vorrà saperne di passare.

A cura di Francesca Mogavero

 

Jeff Jackson


è un drammaturgo, artista e cantante in una band post-punk. Il suo romanzo Mira corpora(2013) è stato finalista del Los Angeles Times Book Prize. Diverse sue opere teatrali sono state messe in scena dalla compagnia teatrale di New York “Collapsable Giraffe”.

 

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