Un’odissea




Recensione di Francesca Mogavero


Autore: Daniel Mendelsohn

Editore: Einaudi

Pagine: 320

Genere: Narrativa

Anno di pubblicazione: 2018

Da sempre amiamo raccontare storie: per far colpo o per accompagnare i più piccoli nel mondo dei sogni, per intrattenerci davanti al fuoco, scacciare il freddo e le paure, per trasmettere ricordi e insegnamenti con leggerezza e senza pedanteria.

E da sempre ci raccontiamo storie: una versione più colorita della realtà – o una panzana bella e buona – è lo zucchero che fa scendere giù la pillola amara, la nostra fiaba personale che si srotola sotto le palpebre pesanti, la classica fetta di prosciutto che ci stendiamo sugli occhi (anche se abbiamo eliminato carne e insaccati dalla dieta!) per non vedere un quadro storto, una scena splatter o un paesaggio tragico.

Il segreto è restare nella mesotēs di classica memoria, nel dorato giusto mezzo tra terra e iperuranio… ma questo non l’ha ancora imparato nessuno.

Così è facile lasciarsi trasportare da una fantasia che corre senza briglie per leghe e miglia, perdersi in un sogno, in un viaggio favoloso, invischiare e invischiarsi in una menzogna incantevole e infinita. E l’epica ci ha regalato un maestro: Odisseo, il Signor Nessuno dai pensieri complessi, “l’uomo versatile” dai mille talenti più uno, il brillante affabulatore seduttore di maghe, ninfe e principesse, il viandante per antonomasia che sogna soltanto di tornare a casa.

Odisseo viaggia per il mondo conosciuto – e anche oltre, secondo certe tradizioni – e attraverso la parola, giocando con le distanze, le grandezze e i doppi sensi: perde navi, compagni, potere, ma mai la capacità di plasmare e manipolare i suoni. È questa la costante, il tratto invariabile che consente di riconoscersi nonostante due decenni di patimenti, lacrime e scherzi (pesanti) degli dei.

La parola è l’identità: il verbo costruito, espresso e usato come strumento, ma anche il sussurro e il non detto, l’intimo sottinteso tra un marito e una moglie, uniti dalla homophrosynē, una concordia, un’unità di pensiero che non si sfalda, tra un sovrano e il suo popolo fedele… tra un padre e un figlio.

Nel libro di Mendelsohn – difficile classificarlo come romanzo – capiamo proprio questo, che le parole pesano, contano e si fanno sentire, anche quando mancano, e che il viaggio più lungo e periglioso – e che non sempre conduce a un porto definitivo – è quello nel proprio vissuto e nel proprio essere, quello che svela segreti di famiglia, le motivazioni di un genitore troppo rigido e distaccato, le ragioni di una lite, di un allontanamento, di una fobia… Un itinerario in cui le mappe e i testi critici servono fino a un certo punto, perché sono le costellazioni di racconti primigeni, il vento della curiosità e della volontà, gli abissi dell’inconscio e il richiamo degli antenati a stabilire la rotta.

L’autore fonde appunti accademici e storia personale per narrare binari che si intrecciano: il suo seminario sull’Odissea e le osservazioni del padre ottantunenne matematico a proposito di Odisseo (“Non capisco perché dovremmo considerarlo un grande erooooe”); i versi omerici, che dall’antro di Calipso, tra digressioni, imprevisti, flashback e spoiler, ci riportano a Itaca, e la crociera nel Mediterraneo di Daniel e, di nuovo, del padre Jay; la coppia Odisseo-Telemaco e i due Mendelsohn… Scontri, sovrapposizioni di ruoli, fusioni: come destinazioni e mete che si confondono, come fattezze mutate dal tempo e dalle circostanze ma invariabili nel DNA, come parole che si stratificano e arricchiscono di sfumature, ma volano sicure e consegnano il loro messaggio.

Daniel Mendelsohn


È studioso di lettere classiche, critico, traduttore e docente di Letteratura al Bard College. Collabora regolarmente con il New Yorker, la New York Review of Books e il New York Times. È autore degli Scomparsi, vincitore del National Book Critics Circle Award 2006, del Prix Médicis 2007 e di numerosi altri riconoscimenti, del memoir The Elusive Embrace (1999), di due raccolte di saggi e di un’edizione critica delle opere di Kavafis. Il suo Un’Odissea è risultato finalista al Baillie Gifford Prize 2017.