L’ombra crudele…




L’ombra crudele del passato

Recensione di Claudia Mameli


 

 

Autore: Enrico Cetta
Anno: 2017
Casa Editrice: AUGH!
Collana: Ombre
Genere: Thriller
Pagine: 124

 

 

SINOSSI

Jack Doran, brillante detective della polizia di New York, è a capo delle indagini atte a smascherare un omicida seriale con uno strano feticismo per la puntualità; da qui il soprannome “Clock” affibbiatogli dalla stampa. Il killer, infatti, è solito scrivere accanto al corpo delle sue vittime un orario, sempre lo stesso: le 07:00 pm. Ad aiutare il detective Doran interviene Leonard Harris, figlio del defunto psicologo Benjamin Harris che, durante la sua carriera lavorativa, aveva più volte collaborato con la polizia di San Francisco per risolvere casi di delitti perpetrati da maniaci o da individui con gravi disturbi mentali. Come il giovanissimo Micheal Dean, che a soli quindici anni si macchiò dell’omicidio dei genitori, e di cui il dottor Harris si occupò fino al 1982, anno del rovinoso incendio che distrusse l’istituto dove il ragazzo era in cura. La collaborazione dei due specialisti, Leonard e Jack, risulterà decisiva per svelare l’identità di Clock e per portare alla luce le ombre di un passato a lungo tenuto nascosto.

 

RECENSIONE

In un interessante sottofondo musicale, Enrico Cetta crea il lungo filo del mistero con un’abile alternanza tra passato e presente. La scrittura appare subito caratterizzata dalla più classica influenza noir, dove i canoni del genere vengono rispettati senza però adagiarsi sulla staticità delle descrizioni minuziose.

Il racconto scorre infatti in maniera veloce per merito dei dialoghi serrati e, soprattutto, grazie ai repentini cambi di ambientazione che non lasciano il tempo di riflettere. Jack e Leonard ripercorrono la vita del giovane killer, scoprendo dettagli sempre più raccapriccianti, sotterfugi governativi e verità insabbiate, che solo nelle ultime pagine daranno un chiaro quadro di quello che si nasconde nella mente dell’assassino.

Interessante è la personalità del detective Doran che, a dispetto dei suoi colleghi di genere, prova a preservare la propria moralità, mettendo un freno ai vizi e puntando sulla scelta giusta da prendere a ogni costo.

L’autore centra i punti principali della storia regalando diversi indizi, alcuni dei quali con lo scopo di fuorviare la ricostruzione dei fatti da parte del lettore. Una storia, questa, dove tra le righe della sua frenesia sono imposti messaggi di altruismo e redenzione.

 

 

 

INTERVISTA

Salve Enrico, ti do’ il benvenuto con una virtuale stretta di mano! La prima domanda che mi viene in mente dopo aver letto il tuo romanzo è: all’interno dei tuoi scritti e nella tua vita, che ruolo ha la musica?

Ciao Claudia, innanzitutto grazie per la recensione e ricambio la stretta di mano virtuale! Come avrai potuto immaginare, la musica, soprattutto rock, permea la mia vita da sempre. Mio padre è batterista ed è sempre stato interessato, tra i vari generi, anche al rock americano anni 60 e 70 e io, fin da piccolo, mettendo mano alla sua collezione di vinili, sono cresciuto con questa passione. Oggigiorno, anche io suono la batteria, ovviamente in una cover band rock! Non passa giorno che non ascolti in auto o a casa, la “mia musica”, pertanto mi viene naturale incastrarla nei miei scritti. Trovo che, in alcuni casi, possa rendere più interessanti certi personaggi e, in altre situazioni, certe canzoni, citate a dovere, possano fungere da colonna sonora alla scena in questione. Ad esempio, Leggendo il testo dell’ultima canzone presente nel libro, “Simple man” dei Lynyrd Skynyrd, nella situazione in cui viene nominata, secondo me rende la scena ancora più drammatica e amplifica il senso di amarezza che si prova in quelle pagine. E qui mi fermo per non spoilerare nulla!

 

La location che hai scelto per il tuo terzo romanzo è l’America, evidentemente per un’esigenza di copione. Quando scrivi una nuova trama, come ne organizzi la stesura? Sono le storie a portarti in un luogo particolare, o sono i luoghi a ispirarti le storie che racconti?

Credo che sia la storia a indicarmi la propria location. Diciamo che la cultura musicale, cinematografica e letteraria americana fa parte del mio bagaglio culturale e inoltre, ho parenti che abitano a New York, pertanto è un mondo che conosco abbastanza bene e in cui mi viene facile muovermi. Il mio primo romanzo, “Election day” edito da Sensoinverso Edizioni, (un noir fantapolitico) era ambientato interamente nella città di New York. La ricerca e lo studio, sono importantissimi durante le fasi preparatorie della stesura di un romanzo e, se fatte a dovere, permettono di scrivere di cose di cui non si ha conoscenza in prima persona (i vari riferimenti nel libro a psicologia, serial killer o segreti governativi ne sono un classico esempio), ma collocare una storia in un territorio “noto” facilita le cose. Visto che conosco discretamente bene gli Stati Uniti, ne ho approfittato! Inoltre, credo che la trama in questione avrebbe avuto tutt’altro tono ambientata altrove.

 

Jack Doran e Benjamin Harris hanno due personalità molto forti: il primo combatte il vizio del fumo e si preoccupa di far valere la legge, il secondo è disposto a fare carte false pur di sostenere quella che reputa una giusta causa. Come nascono i tuoi personaggi, e quanto ti assomigliano? La scelta di creare dei salti temporali così marcati fa parte del tuo stile personale?

Credo che sia sempre la storia che mi aiuti a sviluppare i vari personaggi. Nella mia mente si caratterizzano in base ai “bisogni” della trama. Se noto che in un determinato ruolo, il personaggio necessita di alcune caratteristiche, gliele costruisco attorno. Detto questo, in ogni cosa che ho scritto e forse dentro ogni personaggio, c’è un aspetto della mia personalità. Probabilmente anche a livello inconscio, ma penso che sia una cosa naturale. Ovviamente non dico che dentro ognuno di noi si nasconda un serial killer, ma forse, alcuni sentimenti o sensazioni che prova, possono tranquillamente ricondursi, seppure in maniera molto più edulcorata e inconscia, a certi nostri pensieri, e questo è solo un esempio. Credo che questo permetta di “umanizzare” i personaggi e renderli più reali per il lettore, creando empatia nei loro confronti. Per quello che riguarda la scelta di usare salti temporali, è stata una decisione presa a tavolino per questo romanzo. Il cinema è pieno di stratagemmi simili e ho provato a costruire la trama con questo stile. Avevo già usato flashback e salti temporali, seppur in quantità molto inferiore, nel mio secondo romanzo, “L’occhio del demone” edito sempre da Sensoinverso Edizioni, ed essendo tutt’altro genere (un fantasy di mitologia giapponese), la cosa mi aveva aiutato a presentare meglio alcune sorprese e a spiegare determinati accadimenti, ma questa è la prima volta che la “dislocazione temporale” è riconducibile alla struttura stessa della trama. Mi piaceva l’idea di scrivere due racconti legati ma fondamentalmente autonomi, che in realtà andassero ad intrecciarsi, per fondersi in una soluzione unica. Non è facile tenere le redini di tutta la struttura ma credo che questa sia una trama che mi abbia permesso di giocare con questa soluzione.

 

Uno dei temi che hai affrontato, seppur in maniera velata, è quello dell’adozione. Ce ne vuoi parlare?

In realtà, un tema che volevo a tutti costi trattare, era quello della famiglia in generale e del rapporto tra padri e figli in particolare. Io non sono ancora padre ma credo di avere un bel rapporto con i miei genitori e spero, se dovessi mai avere figli, di riuscire ad instaurarne uno simile. Quello che so, è che non è facile essere genitori. Questo è un racconto di decisioni difficili, dettate da buone intenzioni, ma che a volte, involontariamente, possono portare a brutte situazioni. L’adozione è una pratica complicata e difficile. Nella mia ignoranza, immagino che ci sia il desiderio inconscio di crescere il bambino cercando di trasmettere la propria essenza, il proprio “dna”, anche se non si è reali parenti biologici. Sono comunque situazioni di difficile interpretazione. L’altro tema che mi piaceva sottolineare è quello della natura umana. I comportamenti che abbiamo nella nostra vita, sono originati dagli insegnamenti che ci vengono impartiti e dalla nostra condizione sociale, oppure sono instillati nella nostra personalità dalla nascita? E qui torna in gioco il discorso tra genitori e figli, sia biologici che adottati. La risposta ovviamente io non ce l’ho, ma spero di riuscire a far riflettere i lettori su questi aspetti, che penso vadano presi in esame almeno una volta nella vita.

 

Ora che ci conosciamo un po’ di più è arrivato il momento di salutarci, ma prima vorrei sapere se hai da poco letto qualche thriller nordico.

Purtroppo devo darti una risposta negativa dato che ultimamente, nella lettura, mi sono impegnato in tutt’altro genere (biografie cinematografiche). Ma pronto da leggere, sul comodino, ho il romanzo thriller di una mia “collega” scrittrice, che conosco e che avete recensito non molto tempo fa. “L’egoismo del respiro” di Giada Strapparava, quindi a breve mi tufferò nuovamente nel torbido mondo dei thriller! Grazie mille per l’intervista e un saluto a tutti i visitatori del sito e agli appassionati di questo genere ad alta tensione!

Enrico Cetta