A Londra con Sherlock Holmes
sulle orme del grande detective
Recensione di Salvatore Argiolas
Autore: Enrico Franceschini
Editore: Giulio Perrone Editore
Genere: Saggio, guida letteraria
Pagine: 119
Anno di pubblicazione: 2020
Sinossi. Sherlock Holmes, l’uomo che non ha mai vissuto e che mai morirà, e Londra, “quel grande pozzo nero dal quale tutti i perdigiorno e gli sfaccendati dell’Impero vengono irresistibilmente inghiottiti”. Enrico Franceschini disegna un itinerario alla scoperta della metropoli seguendo le tracce del padre di tutti i detective, dal 221B di Baker Street per arrivare al Langham Hotel, dove Conan Doyle incontrò Oscar Wilde ed ebbe la prima idea per “Uno Studio in rosso”, al St. Bartholomew’s Hospital, il più antico ospedale di Londra, nel cui laboratorio Holmes incontra il dottor Watson. Quella Londra, tentacolare e multiforme, più di un secolo dopo continua ad ammaliarci, a inghiottirci, nulla è cambiato. Attraversarla significa dilatarne la percezione, moltiplicarne le identità. Comprenderla rivela l’innesto delle storie nella Storia.
Recensione
Sherlock Holmes è uno dei più grandi personaggi letterari e Enrico Franceschini, giornalista e corrispondente da tanti anni de “La Repubblica” a Londra, lo utilizza come guida per farci conoscere la capitale inglese e nel corso degli itinerari presentati fa capire l’eccezionalità di questo investigatore che riuscì ad evitare anche la morte decretata dall’autore, Sir Arthur Conan Doyle, geloso della sua fama che oscurava gli altri romanzi storici.
Doyle fece morire Sherlock nelle cascate svizzere di Reichenbach nel racconto “La soluzione finale”, ma dovette rapidamente cambiare idea in quanto assediato dalle proteste dei lettori e dalle pressioni dell’editore dello “Strand Magazine”, il periodico su cui venivano pubblicati i racconti.
Doyle scrisse quattro romanzi e cinquantasei racconti di Sherlock Holmes che costituiscono il cosiddetto “Canone” holmesiano ma ogni anno si stampano centinaia di nuove avventure definite “apocrifi”, il più famoso dei quali è sicuramente “La soluzione sette per cento” di Nicholas Meyer, in cui il detective fa la conoscenza di un giovane medico viennese che studia i sogni e i pensieri delle persone, Sigmund Freud.
Holmes, diventato l’investigatore per antonomasia, non è una figura totalmente originale nella storia del giallo in quanto è stato ispirato in parte da un medico insegnante di Doyle, il professor Bell, in parte da Auguste Dupin, personaggio di Edgar Allan Poe creatore dei primi racconti di detection e in misura minore dal signor Lecoq che ispirò direttamente Doyle per il personaggio di Sherlock Holmes.
“Ho letto “Monsieur Lecoq ” di Gaboriau, annotò nel marzo del 1886 lo scrittore inglese, e un racconto che parla dell’assassinio di una vecchia di cui non ricordo il nome. Tutti ottimi. Ricordano Wilkie Collins ma in meglio.” Il seme era stato gettato e l’anno successivo sul Beeton’s Christmas Annual fu pubblicato “Uno studio in rosso” il primo romanzo che vede all’opera il segugio londinese.
La sua fortuna è derivata anche dall’illustratore di primi racconti sullo “Strand Magazine”, Sidney Paget che lo raffigurò con dei tratti ben definiti e un abbigliamento caratteristico come il cappello deerstalker e la mantellina Inverness, che non furono mai nominati da Arthur Conan Doyle, per cui quando vediamo questi oggetti li associamo immediatamente a Holmes.
Questo gran numero di omaggi letterari ha creato un universo narrativo sempre in espansione e ha diversi luoghi simbolo che Franceschini ci illustra con bravura raccontandone la storia antichissima, come nel caso dell’ospedale St Bartholomew fondato novecento anni fa, dove in “Uno studio in rosso” (A Study in Scarlet) si incontrano per la prima volta Holmes e il suo fido aiutante e biografo, il dottor John Watson.
Sono tantissimi i luoghi che “A Londra con Sherlock Holmes sulle orme del grande detective” rievoca pianificando una cartografia emotiva, a partire dal 221B di Baker Street dove abitava il personaggio creato da Doyle per continuare con lo Strand, Covent Garden e altri posti che sono indissolubilmente legati a queste avventure ambientate alla fine dell’Ottocento ma che sono ancora estremamente godibili.
Il detective è una figura fondamentale di un secolo, l’Ottocento e di una corrente culturale, il Positivismo che ebbero come stella polare il raziocino, l’adorazione per la logica e l’esaltazione della ricerca scientifica e Sherlock Holmes rappresenta al meglio questa evoluzione culturale ma mentre per la cultura anglosassone Holmes è una figura fondamentale del pensiero mentre in Italia viene talvolta considerato solo un personaggio quasi folkoristico e destinato al divertimento dei ragazzi.
Il tratto più spettacolare e affascinante di Holmes, diretto discendente di Auguste Dupin, l’eroe di Edgar Allan Poe, è la deduzione (che poi tecnicamente è un abduzione) che gli permette di risolvere i casi più problematici e oscuri.
In “Il segno dei quattro” Holmes inferisce dal fango sulle scarpe di Watson che il buon dottore è andato all’ufficio postale per spedire un telegramma:
“L’osservazione mi dice che avete del fango rossiccio sul collo delle scarpe. Proprio di fronte all’ufficio di Wigmore Street hanno divelto il selciato e ammucchiato della terra in modo che nell’entrarvi si è costretti a calpestarla. Quella terra è di un particolare colore rossiccio che non si trova, per quanto ne so, in nessun altro posto qui vicino. Fin qui è osservazione, il resto è deduzione.”
“E come avete fatto a dedurre il telegramma?”
“Diamine, naturalmente sapevo che non avevate scritto una lettera, perché vi sono stato seduto di fronte per tutta la mattinata. Vedo poi che tenete un foglio di francobolli e un bel pacco di cartoline postali nella vostra scrivania aperta. E cosa sareste andato a fare in un ufficio postale se non a spedire un telegramma? Eliminati gli altri fattori, quello che rimane deve essere la verità.”
Benchè in diverse occasioni come nel “Segno dei quattro” Holmes sostenga piccato di non tirare mai ad indovinare, nel suo modo di procedere nell’indagine si nota nella sua procedura mentale una costante selezione della migliore ipotesi, come postulava Peirce, perchè l’ipotesi migliore è quella più semplice e naturale come sapeva bene anche Guglielmo da Occam con il suo rasoio:
“ Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem. “
(A parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire).
Del resto la massima preferita di Holmes è “Quando hai escluso l’impossibile, qualsiasi cosa resti, per quanto improbabile, dev’essere la verità.”
Per raggiungere un’ipotesi sostenibile e credibile Holmes ha bisogno di raccogliere il maggior numero di dati possibili per sottoporli ad una severa scrematura ma avendoli tutti sempre presenti perché “E’ un errore capitale teorizzare senza avere dati. Si comincia senza accorgersene ad adattare i fatti alla teoria, invece che le teorie ai fatti. (Uno scandalo in Boemia) e “La tentazione di formare teorie premature sulla base di dati insufficienti è il veleno della nostra professione. (La valle della paura)
La metodologia investigativa di Holmes risente in modo fondamentale della forma mentis del suo autore il dottor Arthur Conan Doyle che come ogni buon medico aveva un occhio particolare per i dettagli e per gli indizi nascosti nel modo di comportarsi e nel vestiario dei pazienti e i colpi di scena deduttivi sono spesso costruiti ad arte come dice lo stesso Holmes in “I pupazzi ballerini”:
“Non è molto difficile costruire una serie di inferenze, ognuna dipendente dalla precedente e ognuna in sé semplice. Se, dopo averlo fatto, si eliminano semplicemente tutte le inferenza centrali e si presenta ad un pubblico il punto iniziale e la conclusione, si può produrre un effetto strabiliante, benché sotto un certo aspetto, grossolano.” e “ogni problema diventa un gioco da ragazzi una volta spiegato”.
Semplice o no, il metodo holmesiano ha avuto un successo incredibile ed ha allevato tantissimi detective che hanno fatto dell’abduzione la loro stella polare che li guida per mano nei casi più intricati e tra cui spicca Ellery Queen, il più dotato e più intelligente di questi epigoni
Girovagando per Londra con Enrico Franceschini e Sherlock Holmes ogni luogo o monumento porta a galla queste suggestioni che arrivano da lontano raccontando una città e un personaggio che hanno fatto scrivere oceani d’inchiostro.
Sherlock Holmes piace ancora perché ci convince che con la logica si possa dominare il presente superando ogni difficoltà e come Amleto, che si possa “vivere nel guscio di una noce, ma sentirsi re di uno spazio infinito”.
Enrico Franceschini
è scrittore e giornalista. Ha ricoperto il ruolo di corrispondente per il quotidiano “la Repubblica”, nelle sedi di Londra, New York, Washington, Mosca e Gerusalemme. La sua opera Vivere per scrivere è stata finalista al Premio Estense nel 2018. Tra i suoi libri: Londra Babilonia (Laterza, 2011), Vinca il peggiore. La più bella partita di basket della mia vita (66th and 2nd, 2017), L’ uomo della Città Vecchia (Feltrinelli, 2017), Vivere per scrivere. 40 romanzieri si raccontano (Laterza, 2018), Bassa marea (Rizzoli, 2019).
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