A cura di Sara Magnoli
Autore: Davide Calì
Illustratore: Ronan Badel
Traduttore: Laura Molinari, Vera Minazzi
(tradotto dall’edizione francese “La chanson perdue de Lola Pearl”, L’Élan Vert, 2018)
Pagine: 78
Editore: Jaca Book, 2019
Costo: 15 euro
Per fare un piacere a un amico investigatore privato che gli chiede di stare nel suo ufficio una mattina mentre lui è impegnato, Bob si ritrova a essere scambiato per un detective al quale una donna assegna un lavoro: deve trovare qualcuno che si ricordi di una cantante di nome Lola Pearl. Da questa richiesta parte la ricerca di Bob, che conduce con sé il lettore mettendolo al corrente del racconto delle sue scoperte e degli indizi che raccoglie, e facendolo transitare attraverso anche dodici quadri di Hopper. Un libro il cui ritmo ricorda gli ambienti del giallo classico e l’investigatore solitario che unisce parole non dette e piccoli tasselli, dimostrando come un illustrato possa veramente essere opera adatta anche ai più grandi.
A SCUOLA
Lo stile di Davide Calì è un ottimo modo per far riscoprire – o scoprire – le atmosfere classiche dell’indagine, fatta non di frenesia, ma di ricerca e tanta osservazione. La narrazione in prima persona è un bel modo per aiutare a capire e sviluppare il punto di vista del detective che mette al corrente di ciò che sa per indagare con il lettore.
La scelta di alternare le illustrazioni di Ronan Badel con i quadri di Hopper permette un confronto tra linguaggi artistici, dimostrando come tratti ed epoche diverse possano dialogare senza sbavature, ma anzi come la grande arte, in pittura come in tutti i campi, sia sempre attuale e permetta ponti di lettura e narrazione. Inoltre è un ottimo modo per invitare a conoscere e analizzare l’opera di Hopper, oltre che ad aprire la strada a come testo e disegno siano complementari e all’analisi seria del libro illustrato rivolto a un pubblico non di piccolissimi.
Lettura adatta fin dall’ultimo biennio di scuola primaria, ma perfetta anche per secondaria di primo grado.
DUE PAROLE CON L’AUTRICE
Davide Calì è fumettista, illustratore e autore per bambini e ragazzi. Ha all’attivo oltre cento pubblicazioni e i suoi libri hanno ricevuto premi in Francia, Belgio, Germania, Svizzera, Spagna, Stati Uniti e sono tradotti in oltre trenta Paesi.
Come nasce l’idea di questo libro?
Da una mostra di qualche anno fa a Milano. L’ho visitata per curiosità, non conoscevo molto Hopper ed ero curioso di conoscerlo. Ne sono rimasto molto entusiasta, anche della parte che presentava sue opere meno famose. MI ha ispirato la voglia di fare qualcosa e ho scelto di dedicarmi a un lavoro che fosse intervallato da quadri di Hooper e disegni di un illustratore. Nato come progetto francese, ha richiesto un po’ di tempo e la versione italiana è tradotta proprio dal francese. Il progetto originario era quello di un illustrato, ma c’è anche molto testo. È una piccola narrazione di ispirazione chandleriana ed è la prima volta che affronto un lavoro con anche immagini già fatte: ma sono proprio queste che ispirano la storia.
Perché proprio una storia a sfondo giallo?
Non sono un grande conoscitore di gialli, ma è un genere che, leggendo molto e andando molto al cinema, ti capita. L’ho affrontato perché l’idea mi ha ispirato quel genere. La meccanica della narrazione è sempre un po’ obbligatoria nella scrittura, ma in un giallo ancora di più, tutto deve essere preciso, portando in modo intelligente il lettore a credere una cosa che non è la soluzione. C’è un po’ di matematica nel giallo ed è un bell’esercizio di narrazione e di logica, devi rispettare le regole che hai impostato.
Come si coordinano, in generale, le immagini e la scrittura soprattutto in un illustrato?
Io sono cresciuto con il fumetto, la lingua visiva l’ho imparata ancora prima di leggere e scrivere. Per me è normale una lingua mista, ho seguito i modelli con cui sono cresciuto nel momento in cui ho iniziato a creare. Vedo molta difficoltà spesso ad approcciare il fumetto, quasi paura ad approcciarlo e a leggerlo, una difficoltà che sicuramente può avere chiunque se viene “buttato” in una lingua che non parla. Mio padre mi ci ha fatto avvicinare fin da piccolo, con “Topolino”, poi è arrivato il cinema e ne ho visto tanto: sono modi per avvicinarsi a un linguaggio e a conoscerlo.
A cura di Sara Magnoli
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