End of the road bar




A cura di Giuliana Pollastro


Autore: Daniele Batella

Editore: Dark Zone

Genere: Narrativa

Pagine: 176

Anno pubblicazione: 2018

 

 

 

 

 
 

Sinossi. All’End of the Road non si arriva per caso. È uno strano luogo, un vecchio bar nascosto nel vicolo di una metropoli, a metà strada tra una bettola e la sala di un cinema. È un locale d’altri tempi, lontano dalla frenesia delle notti di baldoria della città. Ma l’End of the Road ha anche un’anima. È questa l’unica certezza che colpisce i sette avventori che ci arrivano per caso, in una sera di aprile, condotti là da un curioso scherzo del fato. Penny, l’algida e imperscrutabile cameriera, li accoglie e serve loro da bere. Ma sarà il pretesto di una violenta tempesta a far avvicinare i sette l’uno all’altro, a sciogliere imbarazzi e timori prima, e a condurli in un viaggio lungo il viale dei ricordi poi. Uno a uno cominceranno a raccontare la loro esistenza, fatta di amori, gioie, dolori, segreti mai confessati e peccati indicibili. Sette vite si snodano nel flusso dirompente della memoria, svelando poco a poco le trame di un sorprendente destino.

 

Recensione

 

End Of the Road, un bar che non è come tutti gli altri; un bar che quasi compare dal nulla, come l’isola che non c’è, che non riesci a trovarlo per due volte di seguito, defilato, lontano da quelle che sono le vie principali, ma non per questo meno suggestivo.

Il maestro d’orchestra di questo  misterioso e magnetico luogo è Penny, non una semplice cameriera. Da dietro al bancone, lei non serve solo gli avventori di turno, li studia, quasi sa già perché sono lì.

In una notte, apparentemente come tutte le altre, sette avventori si incontrano lì e da semplici clienti si ritroveranno protagonisti di un misterioso scherzo del destino.

Bloccati a causa di una tempesta che imperversa all’esterno, costretti a condividere, loro malgrado tempo e spazio, pian piano ognuno di loro comincerà a raccontarsi, a snocciolare storie,ricordi, paure e debolezze. In uno scenario che va piano piano delineandosi e che ha come sfondo i drammi interiori.

È un romanzo che ti spinge a girare pagina, che ti spinge a sporgerti per vedere cosa c’è “alla sua fine della strada”.

Batella, descrive i personaggi e in sentimenti in modo preciso, pulito. Se ne deducono caratteristiche e contesto. In questo romanzo,  emergono vari elementi ben miscelati, curiosità, mistero, avventura; non ci resta che aspettare l’uscita del secondo.

 

 

 


Intervista

 

Da quale necessità nasce la volontà di scrivere, un libro, ed un libro di questo genere?

Fin da piccolo ho sempre sentito la necessità di raccontare, in qualunque forma: dal disegno, alla recitazione, al canto. Scrivere è stato un modo per dare vita al mio mondo interiore, farne una foto da regalare a chi avesse voglia di osservarlo e magari chissà, di parlarne. L’idea di un gruppo di persone con un pesante bagaglio emotivo da scaricare riunite in un luogo particolare, ameno, mi girava in testa da un bel po’. L’ambientazione, poi, è nata una mattina all’alba, dopo aver accompagnato un’amica a prendere il treno nella piccola stazione di un paesino umbro. Tornando a casa con gli occhi pieni di sonno mi sono accorto di un piccolo locale cui non avevo mai prestato molta attenzione: si tratta di un bar per ferrovieri, mezzo nascosto da una siepe poco curata. Il nome, “Il Capolinea”, ha fatto nascere in me una scintilla. Da lì, l’idea della “fine della strada” e del bar.

 

 

Perché questa decisione di voler dividere il libro in più parti?

La decisione è stata presa in accordo con la mia casa editrice, la Dark Zone edizioni. Il manoscritto era piuttosto voluminoso e l’opera finale sarebbe stata molto corposa; data la struttura del romanzo a “raccolta di novelle”, si è pensato che una divisione in due volumi avrebbe funzionato senza spezzare troppo il ritmo.

 

 

Ti rispecchi, o hai empatia con qualcuno dei personaggi in particolare?

Ogni personaggio rappresenta una vita che potenzialmente avrei potuto vivere, una sfumatura di me che, per un motivo o per un altro, non ha prevalso nella formazione della mia personalità e della mia esperienza. Scrivere per me è catartico, in questo senso, in quanto riesco a realizzare, attraverso i miei personaggi, esistenze nascoste negli angoli più o meno bui della mia anima.Amo tutte le intricate e complesse umanità che popolano il mio libro, ma sicuramente la mia preferita è Penny, la cameriera dell’End of the Road: impassibile, algida, sicura di sé e misteriosamente affascinante. L’ho messa a capo di un luogo che fin dall’inizio pone l’avventore in soggezione, in una sorta di ammirazione estatica.

 
 
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