REMO BASSINI
Editore: Golem Edizioni
Genere: Noir
Pagine: 152
Anno edizione: 2025

Sinossi. Paolo Limara, giornalista, si aggira di notte tra i portici della sua città natale. Nel suo passato un’indagine interrotta sulla misteriosa scomparsa di una donna e di tre bambini, nel suo presente solo la notte, una carriera in caduta libera e il ricordo dell’amata Marina, morta in un incidente stradale. Nessuno ricorda, nessuno indaga, nessuno parla; chi potrebbe far luce sulle vicende non vuole o non può parlare, come un giovane sacerdote messo a tacere dal segreto della confessione. Ma la notte porta a Limara un incontro importante: una donna, Viola Rodesi, vittima dei videopoker. Sono due, ora, i perdenti, che però vorrebbero ribellarsi. Un noir cupo, amaro e avvincente in cinque notti, un libro dedicato agli oppressi, vittime della macchina del fango e soli contro il potere – forte e invisibile – di un bastardo posto. (Fonte: IBS)
Recensione
di
Claudio Pinna
Bastardo Posto di Remo Bassini è senza dubbio un noir fuori dagli schemi. Si tratta di una nuova edizione, curata dalla Golem Editori, di un romanzo già pubblicato dalla Perdisa Pop nel 2010.
Il romanzo si svolge in cinque notti e si apre con una scena che rimanda al mondo dello spaghetti thriller. Piove, e Paolo Limara, giornalista spezzato dalle vicende della vita, è fermo di fronte a una vetrina vuota e guarda un manichino nudo.
Siamo in un paese imprecisato, e c’è un boss mafioso, Filippo Tuddia, le cui vicende finiscono per intrecciarsi sia con quelle di Paolo Limara e della sua amante Marina Castori, che con l’ex proprietaria del negozio ormai vuoto, ovvero Viola Rodesi, che a causa della ludopatia e dei soldi persi al videopoker proprio nel locale di Tuddia, si è vista costretta a svendere l’attività proprio al boss.
Il mondo di Paolo Limara è quello noto e caro a Bassini, entrambi giornalisti; non è un caso se la redazione del giornale La Civetta è l’ambiente meglio descritto, in questo romanzo che si ambienta al Nord, ma che ha odore di Sud.
Questo romanzo tocca quindi temi non banali, anzi attuali, come la ludopatia, la collusione delle mafie con il mondo dell’informazione e delle forze dell’ordine, oltre che della Chiesa. Ma in tutto questo c’è un ma.
Il ma è la forma narrativa scelta da Remo Bassini: la sua voce, peraltro molto ben definita e identificabile, rende la lettura davvero ostica e alla lunga stancante, per via della farraginosa sintassi che, forte di una punteggiatura sovrabbondante e pleonastica, obbliga ogni volta il lettore a cercare di capire quale sia il soggetto della frase, di cosa si stia parlando, come sia legata al resto.
Mille incisi evitabili con poco; per esempio: basterebbe non mettere il soggetto della frase tra due virgole. Pare inutile specificare che si tratti di una scelta stilistica da parte dell’autore. Sembra necessario, da parte mia, spiegare che questa scelta stilistica risulti quanto mai inefficace e infelice. A tutto questo va aggiunto un altro ostacolo non da poco: il romanzo non è suddiviso in capitoli.
A voler rincarare la dose, ci sarebbe da aggiungere che tutta la storia è come una sorta di lunga e interminabile narrazione, con spostamento costante del punto di vista del narratore, con personaggi che si fatica a “vedere” e con un approccio narrativo che, se ancora è possibile riferire a una precisa scelta stilistica, ovvero la narrazione pura, tuttavia è molto difficile da approvare poiché, unita all’uso convoluto della sintassi, rende la lettura del romanzo estremamente complessa, faticosa e laboriosa.
Siamo in ambito postmodernista, con un narratore a tratti inaffidabile e una narrazione frammentata, che procede con estenuanti ripetizioni di pensieri che vengono ruminati ora da Paolo Limara, ora da Viola Rodesi, ma che hanno il tremendo difetto di rendere quasi impossibile per il lettore seguire il filo degli eventi.
Vale la pena soffermarsi sul fatto che molti lettori ritengono che la storia conti più dello stile narrativo. Questo romanzo costituisce un esempio paradigmatico di come questa affermazione possa essere messa a dura prova, se non addirittura confutata.
Resta poco altro da aggiungere: se questo modo di scrivere di Remo Bassini dovesse incontrare i gusti del lettore, si tratterebbe di una lettura sicuramente gradevole, perché la storia comunque c’è.
Remo Bassini
(Cortona, 23 settembre 1956) è uno scrittore e giornalista italiano. Dall’età di 2 anni, Remo Bassini vive a Vercelli dove si è trasferito con la famiglia nel 1958; i genitori erano contadini mezzadri. Dopo il diploma ha lavorato per 7 anni in fabbrica; nel 1982, pur continuando il lavoro di operaio, si è iscritto alla facoltà di Lettere dell’Università di Torino dove si è laureato con una tesi in storia del Risorgimento. In seguito ha lavorato come portiere di notte (esperienza che ispira qualche pagina dei suoi romanzi, per esempio in Il quaderno delle voci rubate). Nel 1986 inizia a collaborare con il giornale La Sesia, testata storica della città di Vercelli fondata nel 1871, fino a ricoprire il ruolo di direttore (dal 2005 al 2014). Ha collaborato con L’Indipendente (direzione Vimercati) e firmato pezzi, per lo più di cultura, sul Corriere Nazionale e su il Fatto Quotidiano. L’esordio come scrittore avviene nel 2002 con Il quaderno delle voci rubate, romanzo dalla lunga gestazione iniziato a scrivere nel 1996, che contiene spunti tratti dalle storie di persone che gravitano intorno alla redazione di un giornale di provincia. Il giallo politico Lo scommettitore fu “Libro del mese” del programma radiofonico Fahrenheit nel luglio 2006 e finalista del “Libro dell’anno” dello stesso programma. Remo Bassini scrive in due blog, uno personale e uno sulla piattaforma de Il Fatto Quotidiano. Nel 2021 il suo romanzo Forse non morirò di giovedì si classifica al primo posto al Premio Letterario Internazionale Città di Cattolica, ex aequo con A una certa ora di un adot gioerno di Mariantonia Avati. (fonte: Wikipedia)