Recensione di Patrizia Argenziano
Autrice: Danner Darcleight
Editore: Marsilio
Genere: Autobiografia
Pagine: 378
Anno pubblicazione: 2016
Quando si apre un libro, inizia un lungo viaggio alla scoperta di un mondo sconosciuto che spalanca porte spesso chiuse e fa luce dove spesso è buio: mai affermazione è stata più vera come in questo caso. Colpevoli di omicidio è un viaggio alla scoperta del mondo passato, attuale e, perché no, anche futuro di Danner Darcleight.
Danner è chiuso in un carcere di massima sicurezza americano, condannato per omicidio, deve scontare una pena che va dai venticinque anni all’ergastolo, e scrive. Scrive di sé, della sua famiglia, della sua vecchia casa e di quella nuova, scrive di cibo e cucina, di musica e libri ma scrive anche di emozioni, sensazioni, sentimenti: è una sorta di autobiografia che affascina nonostante le tematiche dominanti.
E’ un insieme di memorie che non hanno un vero inizio e una vera fine, non seguono un iter temporale preciso ma si amalgamano l’una con l’altra, definendo così il mondo del protagonista. Conosciamo Danner bambino proveniente da una famiglia abbiente cui non è mai mancato nulla e che ha sempre vissuto nell’agiatezza, Danner adolescente ribelle e preda degli sballi più forti, Danner giovane uomo travolto da se stesso e dalla droga ed infine Danner disperato che cerca di raccogliere i cocci persi lungo la strada per ricostruire non un passato ormai sbiadito ma un presente e, soprattutto, un futuro ancora da vivere.
Danner ci accompagna nei meandri del sistema carcerario americano, un sistema che non lascia niente al caso, che premia e che punisce, che condanna e che assolve, che, per chi è detenuto, è una vera e propria casa.
Ma cos’è questo libro in fondo?
Una confessione?
Un tentativo di giustificazione di fronte al mondo intero?
Una sorta di espiazione dei propri peccati?
No, questo libro è un viaggio verso l’inferno con ritorno, dove, paradossalmente, l’inferno è la quotidianità e il ritorno il carcere. Siamo con Danner quando iniziano i primi malesseri adolescenziali, siamo con lui quando si infila nel tunnel della droga, quando cerca i soldi per procurarsela con tutti gli escamotage possibili, sentiamo sotto pelle la sua ossessione, il suo bisogno crescente e inspiegabile, percepiamo la forza malevola che lo trascina verso il basso e verso cui non riesce a ribellarsi, non lo giustifichiamo ma ci sentiamo inermi di fronte a tanta assurdità.
Siamo con Danner quando tocca il fondo, quando gli consegnano la sua nuova casa, quando vorrebbe lasciare il mondo terreno, quando la droga lo cerca anche in carcere, quando scopre che le guardie carcerarie sono esseri umani, quando il rumore diventa insopportabile e penetra nelle ossa, quando conosce personaggi di ogni genere, quando si instaurano le prime amicizie e quando inizia una nuova vita.
Una vita in carcere, chi l’avrebbe mai detto? Sì, perché Danner insegna che anche in carcere, oltre a umiliazioni, paure, affronti, pericoli e violenze, c’è un mondo fatto di piccole cose a cui aggrapparsi per risollevarsi e non scivolare nuovamente in un sotterraneo senza via di fuga.
Siamo con Danner quando scopre di avere degli amici, amici con cui condividere il poco che si ha a disposizione, amici con cui scambiare due chiacchere, amici con cui ascoltare musica o discutere di un libro, amici che non lascerebbe mai perché divenuti una seconda famiglia, l’altra famiglia. Il sistema carcerario americano, da questo punto di vista, spezza, invece, molti legami poiché lo spostamento dei detenuti da un carcere all’altro per meriti o punizioni, non prevede che gli stessi rimangano in contatto. Siamo con Danner quando vive la speranza attraverso lettura e scrittura, attraverso un telefono che lo mette in contatto con gli affetti più cari, attraverso il sostegno e l’aiuto che fornisce ai compagni e attraverso la nascita di un amore.
Mi piace pensare che la stesura di questo libro e la scrittura in generale, siano state per Danner Darcleight, una delle ancore di salvezza, un espediente per sopravvivere, prima, e vivere, dopo, all’interno del carcere. Anche scrivere fa parte del viaggio di Danner, un viaggio alla ricerca della consapevolezza dell’accaduto, non per dichiararsi innocente ma per ammettere di avere sbagliato, e non tanto per porre rimedio perché indietro non si può tornare, ma per non ricadere nei medesimi errori e dare un senso propositivo alla vita.
Non è stata una lettura semplice. Non lo è mai quando si parla di storie di droga, sesso, abusi, violenze, omicidi e carceri ma la scrittura, anche se a volte dura e priva di fronzoli, l’ha resa speciale. Un’autobiografia come un romanzo, impossibile non ritrovarsi tra le mura di una cella, ripercorrere insieme a Danner i primi vent’anni della sua vita e i successivi in carcere, il rimorso per gli sbagli compiuti, il dolore provocato, la tristezza della solitudine, il coraggio nel raccontare, la forza della speranza e infine la gioia delle piccole cose.
Un romanzo vissuto che vale la pena di leggere anche se non vi interessa la vita di un carcerato e anche se non siete inclini al perdono, fatelo per un vostro piacere perché la scrittura di Danner Darcleight strega, ti costringe a leggere anche se sai perfettamente che non ci saranno colpi di scena e che non potrà mai esserci un vero lieto fine.
Danner Darcleight
è un nome qualunque che nasconde uno tra i milioni di americani rinchiusi in carcere e che, attraverso la scrittura, cerca di darsi un’opportunità. Condannato quando aveva poco più di vent’anni (oggi quarantenne) deve scontare una pena che va dai venticinque anni all’ergastolo. I suoi scritti e i contatti con il mondo esterno sono tenuti dalla moglie, conosciuta proprio durante la detenzione.