Recensione di Loredana Cescutti
Autore: Meyer Levin
Editore: Adelphy
Traduzione: Gianni Pannofino
Genere: Letteratura nordamericana d’inchiesta
Pagine: 580 p. R
Anno di pubblicazione: Prima pubblicazione 1956
Ultima pubblicazione: 2019
Sinossi. Oggi ricostruire fatti di sangue è diventato un intrattenimento di massa – più o meno l’unico, si direbbe. Ma c’è stata un’epoca non lontana, e peraltro abbastanza sanguinaria, in cui l’assassinio gratuito di un ragazzo da parte di due suoi coetanei veniva presentato, sulle prime pagine di tutti i giornali, come «Il delitto del secolo». Accadde a Chicago, negli anni Venti. Due ricchi studenti ebrei, Nathan Leopold e Richard Loeb (che qui si chiamano Judd Steiner e Artie Straus), avevano progettato un delitto perfetto, ma come chiunque indulga a questo genere di fantasticheria finirono per commettere un imprevedibile errore, che li mise rapidamente al centro di un clamoroso processo. Fu un caso che affascinò per decenni i migliori appassionati del crimine, ispirando a Hitchcock Nodo alla gola, e a Meyer Levin questa travolgente indagine, che diventa via via una superba costruzione romanzesca, dove, come in un grande film classico, protagonisti e comprimari – avvocati, reporter, psicoanalisti – fanno fino in fondo, come meglio non si potrebbe, la loro parte. Mentre a noi, per una volta, non resta che leggere.
Recensione
A inizio anno ho letto “La città dei vivi” di Nicola Lagioia ed è stata una vera mazzata. Storia vera, attuale, abbastanza vicina da sentirla e percepirla, scritta in un modo avvolgente a tal punto da renderla assolutamente indimenticabile anche per lo scossone emotivo che è stata in grado di provocarmi.
Ancora adesso provo un puro senso di fastidio per quei fatti così drammatici, per le motivazioni alla base dell’intera vicenda e di questo, devo rendere merito all’autore e alla sua penna così graffiante che mi si è appiccicata addosso.
Con “Compulsion”, non ho avvertito lo stesso violento disagio, poiché la storia, che è comunque vera, risale a quasi cento anni fa ed è avvenuta oltre Oceano, anche se è comunque un racconto che fa male.
In questo romanzo troviamo un’analisi dei fatti molto ben approfondita ed eviscerata in ogni suo aspetto, anche perché l’autore, casualmente nel 1924 frequentava la stessa università di Nathan Leopold/Judd Steiner e Richard Loeb/Artie Strauss e anche lui, come Strauss e Steiner era un ragazzino prodigio.
Proprio come i due assassini.
Levin in questo modo, si è ritrovato nello stesso momento coinvolto come giornalista del Globe, come conoscente e come testimone ed è stato in grado di condurmi in un viaggio nel passato estremamente intenso.
Levin sa scrivere, racconta i fatti ma ne porta al pubblico un’analisi precisa sulla base degli esperti che sono stati chiamati per studiare i due ragazzi riportando però anche le sue osservazioni oggettive da bravo cronista e soggettive attraverso la sua esperienza e il suo coinvolgimento diretto, che in qualche modo si trasformerà in uno spartiacque fra il suo prima e il suo dopo.
“Artie era diabolicamente malato, mentre Judd era affetto da un amore malato. Si poteva dunque affermare che l’uno fosse meno colpevole dell’altro?”
Tutti gli spunti di riflessione all’interno del romanzo, che non hanno lo scopo MAI, in NESSUN momento di giustificare, finiranno per indurre l’opinione pubblica a porsi delle domande pratiche poiché ognuno di loro avrebbe potuto trovarsi, nelle vesti di famigliare, da una parte o dall’altra della situazione e, sarebbe comunque stata una cosa devastante.
“… secondo loro, si era trattato di un esperimento, di un esperimento intellettuale, come aveva detto Judd: un tentativo di commettere un delitto perfetto. Non sembravano disposti ad ammettere altri moventi: il loro atto aveva cercato di isolare la pura essenza dell’omicidio.”
Un’indagine e un processo che diventeranno mediatici e, finiranno alla ribalta per la sfilata dei più famosi “gioielli” delle tecniche investigative psicologiche all’avanguardia dell’epoca. Non dimenticate che ci troviamo nel 1924, in una Chicago impaurita, all’indomani di questo fatto terribile e se vogliamo, di fronte ad una caccia al gatto col topo, dove i topi, che si credevano più scaltri, sembrava che in realtà fossero desiderosi di far conoscere al mondo il loro operato, che nella testa di questi due si traduceva in un che di grandioso e intelligente.
“Se si credeva a uno, non si poteva credere all’altro. Eppure, erano tutti e due cortesi, sorridenti e desiderosi di contribuire alla soluzione del caso.”
Una storia dolorosamente triste e umana, dove nessuno poteva sperare di uscirne vincitore dal momento che, da qualunque prospettiva venisse analizzata, nessuna nota positiva avrebbe potuto intervenire per portare un po’ di colore.
“In seguito ci saremmo domandati se fosse stata una compulsione, un tentativo di attirare su di sé il castigo…”
TUTTI i personaggi ne sono rimasti segnati, chi in un modo e chi nell’altro.
Quella di Levin, si è dimostrata una scrittura che si impadronisce del lettore il quale, in alcuni momenti prova un dolore acuto, sordo nel trovarsi davanti ai fatti ma, lo stile è talmente scorrevole che giunta alla fine sono rimasta male, avrei voluto leggere ancora, per rimanere ancora incantata davanti alle parole dell’autore.
Ma ero giunta, purtroppo, alla fine del libro.
Buona lettura!
Meyer Levin
Nato a Chicago nel 1905 è stato uno dei più importanti scrittori ebrei autore di saggi e romanzi maggiormente incentrati sulla Storia del popolo ebraico. É principalmente ricordato per Compulsion, primo esempio di narrativa non-fiction (che anticipa A sangue freddo di Truman Capote) nel quale ricostruisce dettagliatamente il processo Leopold e Loeb. Nel saggio The obsession del 1974 descrive la storia della riduzione teatrale del Diario di Anna Frank prima commissionata, ma in seguito rifiutata da Otto Frank. Muore il 9 luglio 1981 a Gerusalemme, dove era solito trascorrere le vacanze estive, a causa di un infarto.
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