BORDER CREATURE DI CONFINE
Un film di Ali Abbasi
Dall’autore del best seller horror Lasciami entrare
AL CINEMA DAL 28 MARZO
con Wanted, PFA e Valmyn
Candidato all’Oscar® per il Miglior Trucco, già vincitore agli EFA per i Migliori effetti visivi, del premio per il Miglior Film a Cannes nella sezione Un Certain Regard, e in Italia Miglior Film all’ultimo Noir in Festival, BORDER – CREATURE DI CONFINE arriva in sala il 28 marzo, distribuito da Wanted, PFA e Valmyn.
Secondo lungometraggio del regista svedese di origini iraniane Ali Abbasi, BORDER è tratto dal racconto Gräns dello scrittore John Ajvide Lindqvist, definito lo “Stephen King scandinavo”, già autore del fortunato best seller horror vampiresco tradotto in 12 lingue Lasciami entrare (Marsilio).
Sinossi. Tina (E va Melander) , impiegata alla dogana, è nota per il suo olfatto eccezionale. È come se riuscisse a fiutare il senso di colpa, la paura, la vergogna. Tina si dimostra infallibile fino al giorno in cui Vore (E ero Milonoff),unuomoall’apparenzasospetto,lepassadavantielesueabilità per la prima volta sono messe alla prova. Tina sente che Vore nasconde qualcosa che, però, non riesce a decifrare. Peggio ancora, ne è irresistibilmente attratta e la storia d’amore con lui le farà scoprire la sua vera identità. Con Vore, infatti, Tina condivide una natura segreta. Tutta la sua esistenza non è stata che una menzogna e ora dovrà scegliere se continuare a vivere una bugia o accettare la sconvolgente verità che le ha offerto Vore.
Recensione
Questo splendido lungometraggio del regista iraniano Ali Abbasi rende pienamente omaggio alla bravura di un autore che è stato addirittura definito lo “Stephen King scandinavo”: si tratta di John Ajivide Lindqvist, venuto alla ribalta con il fortunatissimo ed originalissimo libro “Lasciami Entrare”, che ha venduto moltissime copie, e può essere definito come un’opera unica nel suo genere, che coniugava in una trama a base fantasy importanti spunti di riflessione sulle depravazioni esistenti nella nostra società, sul problema della diversità, ma anche su altri temi importanti come l’amicizia, la fedeltà, l’amore.
Non ho ancora letto il racconto, ma questo film di certo non delude. è molto ben costruito, l’ambientazione scenica, che ricorda a tratti i boschi fatati dei troll, mantiene però sempre un che di cupo ed inquietante, perchè riflette le inquietudini ed i turbamenti interiori della nostra protagonista.
Tina/Reeva è una donna orribilmente brutta. La sua bruttezza “quasi sovrannaturale”, la porta a fare della propria diversità uno strumento per isolarsi parzialmente dal mondo che la circonda. Pur avendo un lavoro ed un compagno, si evince subito, fin dagli spezzoni iniziali del film, che Tina è una donna molto sola. Vive in una specie di baita poco bella e poco curata in mezzo ai boschi. Il suo compagno, Roland, non è un uomo cattivo, ma si capisce subito che sta con Tina solo ed esclusivamente per convenienza: il classico nullatenente e nullafacente che ti si pianta sul divano, con una birra e del cibo spazzatura, e che da casa tua non esce più. Tina, che è molto intelligente, queste cose le sa perfettamente ma, forse per la paura di restare completamente sola, accetta la situazione e, almeno nella prima parte del film, lo lascia fare.
Tina è brutta e di poche parole, ma ha un dono: quello di riuscire a sentire l’ODORE delle emozioni umane. Per questo, lavorando come customer controller alla dogana, non le sfugge praticamente niente: avvertendo il lezzo delle emozioni più oscure che albergano nell’animo umano, scopre qualsiasi cosa che possa essere fuori posto. Aiuta perfino la polizia a sgominare una rete di pedofili. Fino a quando, un giorno, si presenta alla dogana un essere strano, stranissimo. Una persona evidentemente disadattata, che ha fattezze molto simili a quelle di Tina.
La donna, incuriosita, arriva piano a piano a conoscerlo meglio. Scopre che l’uomo, o qualunque cosa sia, si chiama Vore. L’evoluzione del rapporto con Vore è rappresentato nel film in maniera quasi violenta. La significatività di questo avvicinamento viene descritta a suon di immagini che diventano sempre più forti. Se, nella prima parte del film, la maggior parte delle inquadrature si concentrano molto sull’ambiente del bosco, che può ambivalentemente simboleggiare tanto la libertà, quanto la solitudine (nel nostro caso, i colori scuri e la tenuta cupa delle inquadrature vuole evidenziare questa seconda condizione), con l’arrivo di Vore nella vita di Tina, le inquadrature si tingono dei colori dell’alba e del tramonto: colori a tratti tenui e riposanti si alternano improvvisamente ai colori più cupi dell’inizio.
C’è una maggiore insistenza del regista nell’ inquadrare in primo piano le fattezze mostruose tanto di Tina, quando di Vore : ma le inquadrature sono più lunghe, più studiate, perchè vanno a cogliere tutte le emozioni che, forse per la prima volta, la protagonista prova sulla propria pelle, anzichè odorarle addosso agli altri. Le scene in cui Tina e Vore corrono e saltano nel bosco rappresentano l’apoteosi del ritrovamento e dell’accettazione della propria identità, la consapevolezza della diversità che diventa però meno pesante, nel momento in cui può essere vissuta accanto a qualcuno che la comprende appieno.
Queste scene tengono l’osservatore incollato alla seggiola, e al viso mostruoso di Tina. L’autore, però, come anche il regista, rappresentano, pur avvalendosi di deformazioni eccessive legate la mondo del soprannaturale, gli stati mentali e le dinamiche dell’animo e delle relazioni umane. Così, verso i tre quarti del film, comincia a dipanarsi una storia che segue anche un’altra importante tematica: per quanto l’avvicinamento o il distanziamento del gruppo sociale possano essere fattori di stimolo alla ricerca ed alla percezione della propria identità, alla fine ciascuno di noi deve poter scegliere da solo CHI essere, e COME ESSERE. Che la malvagità, quella pura, va al di là della peluria sul viso o del desiderio di mangiare insetti. Che, a volte, per quanto dolore ci possa costare, occorre fare la scelta giusta.
Tutte cose che Tina scoprirà lentamente, nell’evoluzione del suo rapporto con Vore. La voragine che si apre dinnanzi a lei, alla scoperta di determinate cose, è la voragine che si apre di fronte ad ogni persona, ogniqualvolta debba scegliere di sacrificare qualcosa, di pagare un prezzo per potersi conservare, per poter fare la scelta giusta. Tutte queste emozioni, sensazioni, sentimenti sono espressi in questo film con una maestria maestosa, mai eccessiva, coadiuvata dalla munificenza di una natura incontaminata, in contrasto con la contaminazione del mondo umano, ma anche con l’idea della contaminazione in generale.
Un film molto bello, in grado di esplorare, mediante una trama a base fantasy, moltissimi temi interessanti: solitudine, amore, morte, paura, ambivalenze e contraddizioni, il peso della diversità ma, soprattutto, quanto è difficile mostrare, nonostante una brutta faccia e tanta sofferenza, un animo che vuole essere bello.
Consigliatissimo! Correte al cinema!
A cura di
Giuditta Pontini
John Ajivide Lindqvist
Nato e cresciuto a Blackeberg, un sobborgo nei pressi di Stoccolma, ha lavorato per dodici anni comep restigiatoreecabarettista, ha scritto testi per il teatro e la televisione, lavorando come autore delle battute di molti comici svedesi. Pubblica il suo primo romanzo nel 2004, Låt den rätte komma in, pubblicato in Italia con il titolo Lasciami entrare da Marsilio Editore. Il romanzo, divenuto un best seller in Svezia e pubblicato in 12 lingue, è un horror vampiresco che racconta l’amicizia tra un bambino e una ragazzina vampiro. Dal romanzo è stato tratto un film omonimodiretto da Tomas Alfredson e sceneggiato dallo stesso Lindqvist, che ha ridotto l’opera narrativa eliminando personaggi ed interi episodi, ma ha saputo conservare gli sviluppi essenziali, permettendo alla pellicola di raccogliere molte recensioni favorevoli nei numerosi festival in cui è stata proposta, e un buon successo di pubblico alla sua uscita nelle sale. Nel 2010 è stato inoltre realizzato un remake in lingua inglese. Nel 2005 pubblica il suo secondo romanzo L’estate dei morti viventi (Hanteringen av odöda); a differenza del primo romanzo in questa opera si parla di zombi, genere da lui sempre apprezzato, soprattutto nelle opere di Lucio Fulci. Come il suo primo romanzo, anche questa opera sarà adattata per il grande schermo. Nel corso del 2 010 esce Il porto degli spiriti, cui seguirà un ulteriore adattamento cinematografico ancora con la collaborazione di Tomas Alfredson.