Recensione di Nadia Beggio
Autrice: Chuah Guat Eng
Traduzione: Marina Grassini
Editore: Edizioni LeAssassine
Collana: OLTRECONFINE
Genere: thriller
Pagine: 415
Anno di pubblicazione 2019
Sinossi: Durante un soggiorno di studio in Germania, Ai Lian, una giovane malese di etnia cinese incontra e s’innamora di Michael Templeton, un inglese nato e cresciuto nel distretto di Ulu Banir, dove il padre Jonathan, ora cittadino malese, possiede una piantagione. Dopo una lunga assenza, Ai Lian ritorna a casa per assistere il padre morente, e in seguito parte per la piantagione dei Templeton, invitata da Michael che è intenzionato a sposarla. Nel giorno del suo arrivo ha però luogo un omicidio, il secondo a distanza di decenni, e Ai Lian si trova ben presto coinvolta in un’intricata storia familiare. Ma il romanzo, oltre alla ricerca del colpevole, con un finale davvero inconsueto per il lettore occidentale, offre molto di più: uno spaccato della Malesia e della sua storia fino ad arrivare agli anni che precedono l’Indipendenza del Paese, con gli inglesi che governano le piantagioni cercando di replicare il loro stile di vita, pur cedendo al caldo tropicale e ai costumi locali.
Cenni storici: “Subito dopo i disordini razziali del maggio 1969, a seguito dei quali il governo malese mise in atto una politica nazionale diretta a usare la lingua malese sia nell’ambito dell’istruzione che della burocrazia, a scapito dell’inglese e di altre lingue minoritarie, si venne a creare l’idea che l’utilizzo dell’inglese in letteratura, a cui in passato facevano ricorso i malesi di tutte le etnie, fosse un tradimento e rappresentasse un legame con i vecchi colonialisti. Tra il 1980 e il 1990 si susseguirono poi in Malesia una serie di leggi che portarono a un’erosione dei diritti e delle libertà individuali, leggi che tuttora gravano sulla società con un impatto sulla possibilità di scrivere, esprimersi e parlare liberamente.”
Recensione
Ogni libro è un viaggio in un luogo e in un tempo! Questo libro ci porta in MALESIA ed è stato scritto nel 1994!
“…ci stavamo avvicinando a Ulu Banir….nuove piantagioni di appuntite palme da olio ci facevano largo attraverso le vecchie piantagioni di alberi della gomma…in alcuni tratti infilate di alberi della pioggia si ergevano là da decenni….i tetti, le pareti, le piastrelle delle abitazioni malesi che costeggiavano la strada acquistavano caratteristiche sempre più tradizionali…e ,lontano a oriente, ecco le montagne: verdi per la giungla e blu per la nebbia, che si tingevano della luce immacolata delle rocce calcaree….avevo dimenticato quanto fosse bello il mio paese….”
In “Echi del silenzio” Ai Lian, voce narrante del racconto, all’inizio degli anni ’70, grazie a una piccola eredità espatria in Germania per sfuggire alle sommosse razziali. E’ proprio lì che incontra e si innamora, ricambiata, di Michael Templeton, un ragazzo inglese nato e cresciuto proprio in Malesia, dove il padre possiede una piantagione. Nel Natale del 1973, tornata in patria per assistere il padre malato, viene invitata da Michael a raggiungerlo nella piantagione di famiglia, ma il giorno dell’arrivo, Chyntia, la fidanzata del padre di Michael, viene assassinata in circostanze misteriose. Inizia così la faticosa ricerca di una verità che scardinerà il silenzio che ha scandito per decenni la vita nella piantagione Templeton.
Il silenzio non fa domande, ma può darci una risposta a tutto. (Ernst Ferstl)
E’ il silenzio diventato rabbia che preme il grilletto per uccidere Cynthia!
In”Echi del silenzio” , AI Lian è la protagonista principale, è una giovane malese di etnia cinese, ed è “una cittadina senza patria” perennemente in bilico tra oriente ed occidente. Nell’inverno del 1973 trovandosi in una realtà a Lei sconosciuta, “ non fu semplice per me, cresciuta in città, immaginare la vita nelle piantagioni di caucciù …dunque me la immaginavo mettendo insieme scorci che avevo visto da piccola andando in vacanza verso le montagne o al mare” inizia a cercare risposte alla morte prematura della giovane donna. Comporre un puzzle è sinonimo di pazienza e ,Al Lian ,solo vent’anni dopo, nella primavera del 1994 , riuscirà a trovare il giusto incastro dell’ultima tessera: l’omicida!
Le tessere del puzzle sono i componenti della famiglia Templeton, una famiglia che affonda le sue radici negli anni precedenti la seconda guerra mondiale e che ha vissuto sulla propria pelle le vicessitudini della colonizzazione della Malesia con la conseguente difficoltà di relazionarsi tra le diverse etnie e relative classi sociali. Ogni tessera del puzzle ha due facce, dai contorni netti e colorati è ogni pezzo che forma il disegno finale mentre di un grigio informe è il retro; AI Lian raschia il grigio che si è annida tra gli abitanti della piantagione Templeton e dai silenzi annosi di Michael, Jonathan, Puteh, Yusuf, Hazif, emerge un complicato intreccio familiare frutto di uno strano destino. Piano, piano il quadro prenderà forma e i pezzi che si sovrappongono creando scompiglio: la doppia pistola, il doppio omicidio (parecchi anni prima la moglie di Jonathan è stata uccisa da un colpo di pistola) la doppia collana di diamanti e una scatola piena di vecchie fotografie saranno determinanti per ristabilire l’equilibrio stravolto.
“ECHI DEL SILENZIO” è un romanzo anomalo, è molto di più di una trama gialla e sicuramente non è adatto a chi preferisce storie adrenaliniche. La scrittura raffinata e l’atmosfera esotica incanta il lettore occidentale, ma al contempo lo costringe a confrontarsi, non senza difficoltà, con la cultura orientale. Le donne sono come sempre determinanti nei racconti proposti dalla collana Oltreconfine, e anche questo romanzo non fa eccezione. Al Lian e Cynthia portano a riflettere sulla condizione femminile in Malesia; entrambe, seppur giovani, nonostante le tradizioni che non sentono proprie e una cultura che va loro stretta, “tuttavia non facevamo finta di essere bianchi o inglesi, sapevamo cosa eravamo: malesi di origine cinese con una educazione inglese” fanno scelte che ricalcano i silenzi delle precedenti generazioni. L’avvicinamento tra occidente ed oriente è per me nel finale mistico del romanzo che vede assicurare il colpevole alla giustizia divina anziché a quella terrena, Se per l’oriente è la conseguenza di una spiritualità che è parte fondante della vita quotidiana per l’occidente è una scelta di laica saggezza.
“ECHI DEL SILENZIO” è un invito ad ascoltare i troppi silenzi assordanti nel mondo
“A volte il silenzio non è una scelta volontaria ma è un’identità che ci è stata strappata: in quel caso la sua eco può percorrere distanze temporali inimmaginabili e raggiungerci anche dopo molte generazioni. E’ il rumore di un’occasione mancata, di ciò che sarebbe potuto essere e invece non è stato se al mondo ci fosse stata maggiore giustizia. L’assenza di giustizia talvolta non fa scalpore: ci sono zone della Terra dove i diritti degli esseri umani non sono rispettati, dove le donne vivono ancora in condizioni di inferiorità, dove interi popoli vengono dominati e a volte sterminati. Le loro voci soffocate prima o poi ci raggiungono….” (CHUAH GUAT ENG)
Guat Eng Chuah
è la prima autrice malese che scrive e pubblica in lingua inglese e che fa del genere “giallo” un mezzo di critica sociale, prestando attenzione a non incorrere nella censura e nelle leggi punitive del suo Paese. Discendente di immigrati cinesi, i peranakan arrivati in Malesia tra il XV e il XVII secolo, è nata nel 1943 a Rembau, una piccola città del Negeri Sembilan. Oltre a “Echi del silenzio“, ha scritto un secondo romanzo, “Days of Change” e diverse raccolte di racconti, di cui alcune sono state tradotte in malese, cinese, spagnolo e sloveno. È stata lettrice di letteratura inglese all’università di Malaya Kuala Lumpur e anche alla Ludwig-Maximilian di Monaco. Oltre a essere una scrittrice, Chuah Guat è consulente di comunicazione e attualmente insegna part-time letteratura e scrittura creativa alla Nottingham Malaysia University e alla facoltà di cinema e arti multimediali di Johor.
Acquista su Amazon.it: