Gli unici indiani buoni




 GLI UNICI INDIANI BUONI

di Stephen Graham Jones

Fazi 2023

Giuseppe Marano ( Traduttore )

thriller, pag.320

Sinossi. Lewis, Gabe, Ricky e Cassidy sono quattro giovani indiani cresciuti insieme in una riserva ai confini col Canada. Il legame che li univa si è spezzato quando Ricky è morto all’improvviso: una rissa fra ubriachi, secondo la versione ufficiale. Ma è davvero andata così? Sono passati ormai dieci anni, i ragazzi sono diventati uomini e si sono più o meno integrati nella società bianca, lasciandosi alle spalle gli eccessi di gioventù ma anche un fardello con il quale non hanno mai fatto davvero i conti: le regole e le tradizioni della riserva. Il ricordo dell’amico scomparso, però, non li ha mai abbandonati. Con esso, torna prepotentemente a turbare le loro coscienze un episodio del passato che li ha segnati, mettendo fine per sempre alla loro innocenza: una battuta di caccia finita male. Una storia difficile da dimenticare, che oggi torna a perseguitarli. È Lewis il primo ad accorgersi di una presenza inquietante in casa sua, e a questo punto ognuno di loro inizia ad avere paura, per sé e per i propri cari…

 TAPPA THRILLERNORD

I PERSONAGGI

Il primo personaggio che incontriamo all’apertura del libro è Ricky, che ha lasciato la riserva e adesso lavora con una squadra di trivellazione nella quale viene soprannominato, forse sarcasticamente, Capo. Non sappiamo molto di lui, se non che è indiano e che di lì a poco morirà in una rissa fra ubriachi, questa la versione ufficiale.

Dieci anni dopo, il primo che incontriamo è Lewis, impiegato delle Poste, indiano anche lui, che non si decide a sistemare un faretto in soggiorno che la moglie, Peta, gli ha chiesto di aggiustare. Ed è proprio quando sale sulla scala per raggiungerlo, tra le pale del ventilatore, che vede una donna con la testa di wapiti.

É quello più serio tra i quattro amici, lo è sempre stato, forse perché é quella la sua vera natura, forse è perché é l’unico tra i quattro a pensare ancora all’incidente, che avevano soprannominato Classico del Ringraziamento.

É lui che ha portato a casa la wapiti, che ha conservato la sua pelle, che ne ricrea la figura sul pavimento del salotto con il nastro adesivo, che la vede per la prima volta come una presenza orribile che lo spia, che lo perseguita e che lui crede reincarnatasi nelle persone a cui vuole bene, è lui che, per primo, da’ inizio alla mattanza.

Poi ci sono Gabe e Cassidy. Gabe che “va a colpi”: con i lavori, la fidanzata, la benzina nel pick-up, per lui tutto è una scommessa. Ha una figlia, Denorah, giovane promessa del basket, una vera campionessa. Cassidy, che sua zia soprannominava “Think Twice”, pensa due volte, che ora ha messo la testa a posto, grazie a Jo: ha un lavoro regolare e ben retribuito, rientra a casa la sera sempre alla stessa ora, si alza presto insieme a lei, come se a legarli ci fosse un cordoncino.

E c’è anche Denorah, la figlia di Gabe, la promessa nascente del basket, che pensa solo a giocare e a prendere buoni voti a scuola, la cui vita è distinta dagli allenamenti e dalle partite. Suo padre è stato persino cacciato dalla palestra per aver attaccato briga con qualcuno della squadra avversaria, ma lei quando è in campo, pensa solo alla palla.

E che dire della wapiti, Shaney, la reincarnazione della wapiti uccisa dieci anni prima nella riserva, che ha lottato con tutte le sue forze per salvare il cucciolo che portava in grembo. Ora cerca vendetta ed è pronta al massacro.

Non posso dire di più, perché

i personaggi di questo horror fenomenale, vanno scoperti pagina dopo pagina,

entrando anche un po’ nel cuore delle tradizioni dei Nativi d’America.

A cura di Mara Cioffi

Recensione

Stephen King ha definito questo libro “la più terrificante partita di basket della storia”, e come biasimarlo?

Non a caso questo libro è stato premiato con un Bram Stoker Award, gli Oscar dell’horror.

La prima cosa che mi sento di dire di questo libro è che è tutto incentrato sui personaggi; le descrizioni degli ambienti quasi non esistono, eppure l’autore è bravissimo a farci immaginare tutto, a guidarci in questa riserva ai confini del Canada e poi in città e poi di nuovo nella riserva, confondendoci un po’, ma anche illuminandoci.

Il suo talento maggiore è, però, farci vivere come i protagonisti che, di volta in volta, si susseguono tra le pagine: siamo nei loro pensieri, capiamo le loro azioni, viviamo le loro turbe, i loro dolori e orrori come se fossero i nostri.

Questo è anche un libro molto grafico e gore (quindi, se siete facilmente impressionabili, state attenti) e che, per certi versi, mi ha ricordato “Il silenzio degli innocenti” di Thomas Harris (altro vincitore di un Bram Stoker Award) e per altri Ian McEwan, anche se non è un autore horror.

Un altro merito che va riconosciuto a Jones è il barcamenarsi tra horror e fantascienza con naturalezza; non c’è niente di forzato, niente di “innaturale”, tanto che neanche i personaggi sembrano non stupirsi più di tanto di ciò che accade, per quanto assurdo possa essere.

Ho amato ogni singolo capitolo e ogni singolo personaggio, persino la wapiti in cerca di vendetta, persino Lewis. E lo dico io, che non leggo normalmente horror, anzi.

Ma non voglio dire troppo con il rischio di rovinarvi la scoperta (o riscoperta) di quest’autore fantastico e l’immersione in questa sua nuova storia da brividi.

Voto: 4.5/5

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Stephen Graham Jones


Nato nel 1972 in Texas, ha pubblicato più di venti romanzi. Nativo americano appartenente alla tribù dei Piedi Neri, nei suoi scritti tratta le tematiche legate alla sua cultura d’origine facendo al contempo un uso sapiente dei generi letterari, soprattutto horror e fantascienza. Con Gli unici indiani buoni, grandissimo successo di pubblico e critica in patria, ha vinto, fra gli altri, lo Shirley Jackson Award e il Bram Stoker Award.