Recensione di Francesca Mogavero
Autore: Tommaso Giagni
Editore: Ponte alle Grazie
Pagine: 192
Genere: Narrativa
Anno di pubblicazione: 2021
Sinossi. In una periferia romana fra il Grande Raccordo e l’Aniene, Manuel, Flaviano e Abdou vivono una formazione inquieta e oppressa. Hanno diverse origini, diverse aspirazioni, vite precedenti di cui parlano poco. Per loro il centro storico è solo uno sfondo e la vita quotidiana è incastrata nella gerarchia feroce del Quartiere, dov’è chiara la differenza fra chi può coltivare qualche ambizione e chi è condannato senza appello alla marginalità. L’amicizia che li lega è l’unico punto fermo, almeno fin quando non arriva l’amore a sparigliare le carte: Donatella, i cui genitori hanno venduto radici e identità per una villetta anonima in una zona residenziale che confina col Quartiere; la sua rabbia sarà il detonatore per il giro di vite che tutti si aspettano. E quando la violenza arriverà inevitabile, reclamerà le sue vittime e concederà uno spiraglio di salvezza. In un romanzo dalla lingua impareggiabile per essenzialità e nitore, Tommaso Giagni indica con maestria letteraria la direzione del conflitto: una nuova guerra contro gli esclusi e le loro forme di comunità e di resistenza, una guerra ormai avviata, che ogni giorno divora le precarie fondamenta di ogni pace sociale
Recensione
Puoi togliere una persona da un quartiere, ma non puoi togliere un quartiere da una persona.
Una condanna, un pregiudizio, una dichiarazione d’amore?
Tutto questo e molto altro, lo sanno bene i giovani protagonisti de I tuoni.
Flaviano guarda il Quartiere dalla sua finestra, al secondo piano della scala G del Rettangolo, ha mani da pianista e la parlata “de Roma”; lì ci è nato e a infastidirlo nessuno ci pensa, eppure in segreto è ancora un bambino in lacrime, che aspetta il ritorno della mamma.
Manuel, il primo nato in Italia da quando la famiglia ha lasciato l’Egitto, si lascia vivere dai sogni degli altri – un banco al “mercato plateatico attrezzato in sede propria”, con una bella insegna col cognome in piena vista, altro che il negozio abusivo là alla Spina – ma la voglia di trovare la propria via, fatta di bit, elettricità o acqua poco importa, scalpita nei muscoli sempre tesi, elastici.
Abdoulaye è partito per primo, aprendo a fatica la strada per la madre e la nonna e chissà, forse un giorno, anche al padre e alle sorelline, rimasti laggiù ad Abidjan. La laurea in antropologia e la passione solitaria per la Urban Exploration stanno assieme a lui nella Grotta, “nelle viscere del Quartiere”, sepolti in un presente di spaccio e di passeggiate in compagnia di un husky dagli occhi di ghiaccio.
E infine c’è Donatella, arrivata nel nuovo quartiere residenziale, Verde Respiro – dove le villette si ispirano a quadri famosi, ma i servizi promessi, dalle fermate degli autobus ai negozi, latitano – sulla spinta della gentrificazione, che trasforma le vecchie officine in locali di movida e fa lievitare gli affitti.
Il quartiere in cui hai mosso i primi passi e costruito le prime amicizie, anche se poi ci si perde, si cambia, si cresce su rette parallele, o la zona che ti ha accolto tuo e suo malgrado ti entrano dentro, c’è poco da fare.
E ti monta l’orgoglio di essere un sopravvissuto, di essere venuto su come un giunco, resistente ma flessibile nonostante tutto; e quella piazzetta che ti è sempre sembrata troppo piccola, quelle vie piene di buche, le facciate scrostate dei palazzi che vedi ogni maledetta mattina hanno il diritto di essere imbrattate e detestate, ma soltanto da te, che ci sei dentro fino al collo e che in fondo non ti allontanerai mai davvero, mai completamente. Ecco perché chi si avventura come turista in un “quartiere difficile” (“Che, se pensano de stà allo zoo?”), chi pontifica da lontano a proposito di riqualificazione e valorizzazione, chi vede nemici e semina odio senza guardare sul serio non è il benvenuto.
Abdou e gli altri sono il Quartiere, hanno il furore e la potenza della giovinezza e una memoria di ferro e cemento, tatuaggi di asfalto e sguardi luminosi; possono contare l’uno sull’altro, così come una borgata si regge sulla condivisione di saperi (“chi è bravo con l’idraulica aiuta chi è bravo con l’elettricità, che aiuta chi è bravo coi lavori in muratura, che aiuta chi è bravo con l’idraulica, e si ricomincia daccapo”), e non saranno le ruspe, i tuoni, i fuochi e le offese a fermarli.
Tommaso Giagni dipinge con agilità ed energia quadri di vita più che verosimili, ogni capitolo potrebbe essere un racconto a sé, ma a mano a mano i nodi si stringono, le strade convergono verso un’unica, inevitabile destinazione e le singole voci diventano coro: un unico grido generazionale, un urlo delle periferie che si fa canto… ora tocca a noi saperlo ascoltare, guardandoci intorno con occhi diversi, pronti a scovare bellezza anche oltre le cornici, fuori dagli edifici aulici, magari fuori mano, ma sempre in tempo.
A cura di Francesca Mogavero
Tommaso Giagni
Tommaso Giagni (Roma, 1985) ha pubblicato da Einaudi i romanzi L’estraneo (2012) e Prima di perderti (2016). Tra le antologie a cui ha partecipato: Voi siete qui (minimum fax, 2007) e La caduta dei campioni (Einaudi, 2020). Scrive per L’Espresso, Avvenire e l’Ultimo Uomo.
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