Recensione di Loredana Cescutti
Autore: Bernard Minier
Traduzione: Monica Capuani
Editore: Piemme
Genere: Thriller
Pagine: 626 p., R
Anno di pubblicazione: 2013
Sinossi. Il paesaggio è immerso nel bianco, ma non ricorda una cartolina. È una natura ostile quella che si offre alla vista in quel mattino di dicembre: una vertigine di ghiaccio sferzata dalla bufera. E c’è una sagoma scura, in lontananza, che sporca l’orizzonte. Come una farfalla gigante. Forse un’aquila, rimasta intrappolata tra i cavi della teleferica che porta alla centrale idroelettrica. Solo da vicino la realtà si svela in tutto il suo orrore: a penzolare a duemila metri d’altezza, in quella valle dei Pirenei, è un cavallo decapitato. Chi sia stato ad appenderlo lassù, e come, è un mistero che diventa oggetto d’indagine con priorità assoluta, perché il proprietario del purosangue e della centrale è uno degli industriali più ricchi e potenti di Francia. Mai il comandante Martin Servaz, della polizia di Tolosa, si era visto assegnare un’inchiesta più strana. E per di più in un habitat così poco consono a lui, cento per cento uomo di città e zero per cento atletico, ipocondriaco e allergico alle altitudini. Il caso assume risvolti inquietanti quando sulla scena del crimine viene ritrovato il dna di un famoso killer seriale: rinchiuso – questo è il punto – in un istituto psichiatrico della zona definito di massima sicurezza. Proprio lì, lo stesso giorno, ha preso servizio una giovane psicologa di belle speranze, Diane Berg, ignara di ciò che l’attende. Da strade diverse, Berg e Servaz si addentreranno nei meandri di un piano criminale pericolosamente giocato al confine tra ragione e follia.
“La valle era di una bellezza opprimente, che raggelava Servaz.
Un’atmosfera da racconti di fiabe.
Era proprio questo: una versione moderna e adulta dei sinistri racconti di fiabe della sua infanzia. Perché, in fondo a questa vallata e a questa foresta bianca, pensò rabbrividendo, c’erano proprio degli orchi ad aspettarli.”
Recensione
Anche in un paesaggio avvolto dal candore della neve, il male si nasconde, e non presenta maggiore pietà solo perché appare più puro e incontaminato.
Ho trovato questo libro necessario, almeno per me che vado sempre alla ricerca dell’inizio, del bandolo della matassa che mi permetta di capire le cose nella loro completezza e, prima di aver letto questo non sarebbe stato possibile o forse, solo aspettando altri flash di passato di Martin Servaz nei libri futuri, magari avrei avuto qualche possibilità di recuperare ulteriori dettagli.
Ma perché aspettare?
Chi mi conosce, ormai sa che amo l’ordine cronologico e peggio, ne sono schiava per cui quando affronto una serie, ho il bisogno quasi fisico di cominciare da principio. Con i libri stranieri, talvolta non è possibile perché magari le traduzioni vengono pubblicate in modo sparso, rendendo la lettura più difficile.
Ebbene, lo scorso anno ho inghiottito il mio orgoglio e ho iniziato a leggere “Non spegnere la luce” che corrisponde al terzo libro della serie che racconta del comandante Martin Servaz, in forza alla polizia di Tolosa e da cosa nasce cosa, morale entro dicembre ho finito per leggere anche i due seguiti e quindi, che fare?
Un regalo inaspettato, o meglio un prestito che per me è stato un dono inatteso e così ho potuto ripartire da capo e ne è valsa la pena.
“Si sentiva sempre più inquieto. Tutto, in quella storia, era fuori dal comune. È incomprensibile. D’istinto, come un animale, Servaz percepiva il pericolo. Si rese conto che stava rabbrividendo, malgrado il sole.”
Il male richiama il male, e i uno dei luoghi che racchiude una grossa fetta del peggio esistente sulla terra, una serie di delitti finiranno per mettere Servaz in seria difficoltà oltre a far rivivere in qualche modo, il dolore sempre sopito del comandante, che si ritroverà di pari passo, come davanti ad uno specchio che gli mostrerà un riflesso del suo passato, di ciò che l’ha segnato, di ciò che l’ha cambiato.
“… aveva l’impressione di trovarsi davanti a un lungo corridoio pieno di porte chiuse. Ognuna nascondeva un aspetto insospettabile e inquietante dell’inchiesta. Aveva paura di infilarsi in quel corridoio e di aprire quelle porte.”
Una scrittura che già da principio si dimostra fluida, accattivante e terribilmente ambigua. Un viaggio nella follia di un paese di montagna che si mostrerà farcito di indicibili segreti e di una pazzia inarrestabile, dentro e fuori le mura. Un livello tale di alienazione da far dubitare, ad un certo punto, allo stesso Servaz di essere completamente lucido e reattivo di fronte a ciò che dovrà affrontare.
“La paura era lì dall’inizio, in fondo al suo animo. Come un seme. Che chiedeva di germogliare e di schiudersi.”
Io mi ero già innamorata dello stile di Minier leggendo appunto il terzo libro e da lì in poi anche in “Notte” prima e “Sorelle” poi, avevo riscontrato una certa capacità nel tenere desta l’attenzione del lettore, che non può fare altro che continuare a leggere, perché con lui, fino a quando non si raggiunge l’ultima parola dell’ultima pagina, nulla è finito, ancora tanto c’è da dire.
“Il demone bianco” invece, oltre alla parte espressamente thriller, si compone dell’anima del suo personaggio principale, che un po’ alla volta rivive il passato e fa capire a noi perché è ciò che è, ovvero chiuso, impacciato, ipocondriaco, indeciso, e anche un ottimo investigatore.
Inoltre, sempre da qui, avrà inizio quella che sarà “un’amicizia”, per modo di dire, dannata, pericolosa e ancora una volta, terribilmente folle.
Un legame obbligato difficile da spezzare.
Che dire, le premesse per consigliarvi questa serie, partendo dall’inizio, ci sarebbero tutte.
Ma c’è un però che rende difetto al libro.
Se devo trovare una mancanza enorme ed è un peccato a mio avviso, purtroppo vi è la quasi impossibilità di reperire questo libro sul mercato, poiché non è presente in ebook in versione italiana ed è pressoché introvabile, anche online, in cartaceo. Confidando che presto anche per “il demone bianco” vi sia, da parte delle case editrici, l’attenzione che merita, non posso fare altro che fermarmi qui e dirvi di approfittarne, se mai vi capitasse fra le mani.
Non posso che ringraziare Laura, cara amica di libri e collega di recensioni, per questo “dono” così gradito.
Buona lettura!
Bernard Minier
è nato a Béziers e vive a Parigi. I suoi libri, tra cui “Il demone bianco” (Piemme 2013 – vincitore del Festival Polar de Cognac) e “Nel cerchio”, ne hanno fatto uno dei maestri del thriller francese. Dai romanzi con protagonista Martin Servaz è stata tratta una serie televisiva vincitrice del premio come migliore serie al Festival di La Rochelle 2016. Non spegnere la luce ha venduto oltre 300.000 copie solo in Francia, occupando il primo posto delle classifiche per molte settimane. I suoi libri sono tradotti in 14 paesi. Con La Nave di Teseo ha pubblicato “Non spegnere la luce” (2017), “Notte” (2018), “Sorelle” (2019) che vedono come protagonista sempre il commissario Servaz. Sempre nel 2019 è uscito in Italia per La Nave di Teseo “Una fottuta storia” che è un romanzo indipendente.
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