Recensione di Elvio Mac
Autore: Mirella Marchione
Editore: bookabook
Genere: Narrativa
Pagine: 152
Anno di pubblicazione: 2019
Sinossi. A volte un caso diventa un pensiero fisso, un’ossessione che occupa la mente come un ingombrante mazzo di chiavi nelle tasche, qualcosa che devi portarti dietro per forza, ma di cui ti sbarazzeresti volentieri. Sono le storie che turbano le persone semplici, come Antonio Benciveglia, poliziotto per vocazione e uomo votato unicamente alla famiglia e al suo capo, il commissario Maria Laura Serralta. Insieme, i due si trovano a indagare sulla morte di Francesco Bianchi, il figlio della farmacista del paese, ritrovato nel letto della fidanzata con un foro di proiettile nella nuca. Mentre uno scomodo passato torna a tormentare il commissario Serralta, le indagini si aggrovigliano al quotidiano e pacifico rimestare delle chiacchiere e all’intreccio di conoscenze altolocate, fra i riti, i vezzi e i pregiudizi della provincia italiana, dove apparentemente non succede mai nulla. Beghe piccole e grandi, ombre, misteri e dubbi si accavallano in un giallo che forse non è un giallo. A partire dal primo, e forse più inquietante enigma: siamo davvero sicuri che il ragazzo sia stato assassinato?
Recensione
Quando accade un fatto di cronaca, c’è quasi sempre qualcuno che ha visto qualcosa, notato un estraneo, sentito insoliti rumori. E’ quello che accade nella realtà e anche in questo racconto. Se il luogo del misfatto è un piccolo paese, i dettagli presunti o inventati, vengono ingigantiti e distorti. Solitamente il testimone inconsapevole non può manifestarsi per svariati motivi, personali o per timore di compromettere la propria reputazione. Questa mancata ostentazione produce una ricostruzione ambigua, dove manca una parte di storia o un dettaglio che potrebbe fare la differenza.
Il libro punta molto sulla credibilità dei paesani, si affida al pettegolezzo che è chiacchiera inopportuna o indiscreta, qui viene usata a mo’ di rivelazione per indizio. Franco il giornalaio del paese, ne è il massimo esponente pur facendone egli un uso calibrato, risulta come informatore e non come “spettegolatore”, è la memoria storica di Roccanuova, un paese dove le persone hanno ancora voglia di mantenere legami veri e non solo virtuali. Parlare dal vivo è un’attività esercitata apertamente nei bar e nelle piazze, anche se a volte gli argomenti non sono proprio edificanti. Quando le voci di paese, il sentito dire, considerati potenti strumenti d’indagine, faticano a dipanare la matassa e non si è venuti a capo di nulla, si vira su altri sospetti che non rientrano più nella cerchia ristretta, puntando il dito contro una criminalità non locale.
Durante la lettura ci si imbatte nelle opinioni personali della voce narrante, a volte fuori dal contesto ma spesso ci si trova d’accordo. E’ sicuramente un buon modo per creare un rapporto più stretto con il lettore, o forse un rischio di mancata affinità in caso di diverse vedute. Alcune ambientazioni riguardano la tradizione di quelle terre di mezzo in equilibrio tra il Sud e un indefinito Centro Italia. Una di queste è il ballo di gruppo per accogliere una ragazza nella cerchia degli adulti, è una celebrazione ben descritta, sia nelle scene che nelle emozioni di chi partecipa.
Le differenze sociali identificano i vari personaggi coinvolti nella vicenda, è un tratto distintivo che non può fare a meno di essere valutato per rappresentare chi o che cosa, per definire parentele e trascorsi burrascosi. Tra le varie categorie, ci sono le “mogli di”, cioè quelle signore il cui unico lavoro e interesse nella vita è stato quello di seguire la casa, il marito e i figli, senza aver mai svolto un’attività lavorativa. Poi ci sono i “figli di”, cioè quei giovani che hanno dovuto sforzarsi solo di soddisfare l’ego dei padri per seguirne la carriera o portarne avanti l’attività. Di quest’ultima categoria, ne fa parte anche la dottoressa Maria Laura Serralta, il Vicequestore di Roccanuova. conosciuta da tutti come “il Commissario”.
Questo libro ha dentro vite normali, come quelle che ci immaginiamo e soprattutto come quelle che viviamo. Il personaggio che spicca è la voce narrante e braccio destro del Commissario che si descrive così: Benciveglia Antonio, da Carano, provincia di Caserta. Anni quarantasei, diploma di ragioniere, sovrintendente della polizia di Stato faccia antica da cafone zappaterra di cui, modestamente, vado orgoglioso, molti capelli bianchi e nessuna ambizione. Aspiro a vivere tranquillo, se possibile, a una bella vecchiaia senza pensieri e, se Dio vuole, senza malattie invalidanti. Spero di andarmene così come sono venuto al mondo, involontariamente e inconsciamente. Unico vizio: la lettura; soffro di bulimia da libri.
Antonio è uno modesto, che dice di occuparsi solo di sé, in realtà è un generoso che non lo dà a vedere e si prende cura della felicità degli altri sostenendo le persone a lui care e quelle che meritano attenzione, un uomo saggio e prudente.
Un frequentatore di racconti gialli non faticherà a rilevare mancanze riguardanti l’investigazione vera e propria. Tempi, modi e completezza d’indagine non sono il punto forte della questura di Roccanuova, che supplisce in altri modi a questa carenza.
A cura di Elvio Mac
Mirella Marchione
Mirella Marchione: è nata e vive da sempre a Sora (FR). Avvocato civilista, sposata e con due figli, racconta nelle sue storie la vita e gli umori della provincia italiana dove vive, fra le mille suggestioni dei romanzi che divora con passione. Il figlio della farmacista rappresenta il suo esordio letterario.
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