Il vento nel cespuglio di rose e altre storie del soprannaturale
Recensione di Marina Morassut
Autore: Mary Eleanor Wilkins Freeman
Traduzione: Emanuela Piva
Introduzione: Simona Zecchi
Con 12 tavole di Valentina Biletta
Editore: Black Dog
Genere: Narrativa gotica ed horror
Pagine: 192
Anno di pubblicazione: 2019
Sinossi. Sei racconti, sei ritratti di donne che, pur diverse tra loro, hanno un punto in comune: improvvisamente devono affrontare il soprannaturale. Con queste delicate ghost stories l’autrice ci presenta uno spaccato quasi verista della condizione femminile nei primi anni del Novecento e rappresenta con decisione il fermento femminista che stava sorgendo proprio in quell’epoca. Le sue eroine, infatti, sono forti e determinate e affrontano apparizioni, fantasmi, presenze inquietanti con raziocinio e grande spirito d’iniziativa. Molto interessante la personale rilettura che l’autrice dà della figura del vampiro.
Recensione
Recentemente, visto il periodo di pandemia che stiamo vivendo e che entrerà di diritto nei libri di storia, l’Associazione Culturale Thrillernord ha ospitato scrittori e case editrici che hanno parlato del proprio lavoro ai soci, ma anche al numeroso pubblico che ci segue, consigliando al contempo dei libri da leggere in questi mesi di fermo forzato.
Una delle case editrici che ha raccolto l’invito è stata la Black Dog, che ha presentato le sue due collane di punta, la Cerbero e la Argo.
In particolare qui ci interessa la collana Cerbero, che ospita la parte più squisitamente gotica ed horror del loro catalogo, perché di questa proposta editoriale fa parte il libro che abbiamo letto: “Il vento nel cespuglio di rose” della scrittrice statunitense Mary Eleanor Wilkins Freeman.
Vale anche la pena sottolineare che la casa editrice Black Dog si occupa della letteratura gotica e fantastica dell’Ottocento e degli inizi del Novecento, di autori italiani e stranieri, che qui sono stati ritradotti o tradotti addirittura per la prima volta.
Una menzione particolare poi alla veste editoriale scelta e alla particolare grafica del volume, curata fin nei minimi dettagli, sia esternamente che internamente. Un piacere anche sensoriale leggere un cartaceo di tale fattura.
Il romanzo di questa autrice statunitense della seconda metà dell’Ottocento si compone di sei racconti: “Il vento nel cespuglio di rose”, che dà anche il titolo alla raccolta; “Le ombre sulla parete”; “Luella Miller”; “La stanza a sud-ovest”; “Il terreno abbandonato”; “Il fantasma dimenticato”.
Fantasmi, presenze oscure che all’improvviso si palesano ai parenti in lutto, maternità perdute, case infestate e una visione diversa, insieme insolita e allarmante, che l’autrice ritaglia addosso alla figura del vampiro giocando al contempo a nascondino con il lettore, in un fraintendimento voluto tra ruolo classico e secolare della donna come Cenerentola e forze oscure del male.
In ciascuno dei sei racconti, più o meno lunghi, la protagonista è una donna singola nel suo affrontare il soprannaturale – oppure una famiglia intera, anche se talvolta i racconti, nonostante la protagonista sia effettivamente una donna, non si possano che considerare di respiro corale, proprio per la ricchezza – sebbene allo stesso tempo necessariamente “stringata” – dei comprimari. Interessante poi notare come, nonostante l’autrice avesse viaggiato parecchio, abbia preferito ambientare i suoi racconti sempre all’interno di casette che all’apparenza sembrano del tutto normali.
Ed è proprio qui che queste storie gotiche e di horror portano improvvisamente e senza alcun preavviso le donne della Freeman a dover fare i conti con le sensazioni dello sconcerto prima e della paura poi, tanto all’improvviso che solo questi sentimenti potranno farle reagire ed affrontare il mistero che si presenta loro innanzi.
Leggendo questi racconti, non è tanto l’horror che pervade il lettore man mano che si addentra nella tela soprannaturale tessuta dalla Freeman, ma quel sottile disagio che a seconda del racconto si trasforma poi in pressante inquietudine fino a trasportarci in un’agghiacciante “bivio fra reale e irreale”.
Come accennavamo poc’anzi, imprescindibile la splendida presentazione a cura di Simona Zecchi, a sua volta scrittrice e collaboratrice di testate nazionali ed internazionali per la tv e la carta stampata.
Il suo accenno nell’introduzione a Pavese prima e alla Pivano poi, come scrittori che “hanno fatto molto affinchè la letteratura nord-americana diventasse un antidoto in Italia allo svilimento del pensiero durante il regime fascista” (per quanto concerne Pavese, essendo la Pivano sua allieva), ci fanno conoscere ed entrare negli scritti della Freeman e in “un’America rurale sconvolta dall’arrivo della modernità e nella quale, soprattutto nel New England (terra dove la scrittrice nacque), convivevano il respiro del modernismo ed ancora persistenti tracce del puritanesimo”.
E questa premessa sarà la base fondante che il lettore dovrà tenere presente nella lettura di questi racconti, per contestualizzarli nella società e cultura americane che gli scritti della Freeman sottintendono e sulle quali si fondano.
Appassionante poi è il substrato popolare che forma l’America post-colonizzazione, che si compone di tre distinte popolazioni: i neri africani, i nativi americani ed i coloni europei – che hanno segnato periodi di massacri, ma anche di incontri di tradizioni e di culture diverse, dei quali non si può non tenere conto.
Altro argomento molto interessante che traspare palesemente dagli scritti di quest’autrice è la considerazione in cui in quest’epoca venivano tenute le donne, come fossero dei personaggi minori della società. Tanto per renderci conto, a livello intellettuale lo stesso Nathaniel Hawthorne parla di “scribbling women”, donne scribacchine potremmo tradurre, non certo “risorse e fonti, alla pari degli uomini, di vita culturale ed intellettuale”.
Non è difficile quindi indovinare il tipo di vita che attendeva quelle donne che a causa di vicende sfortunate non avevano la protezione della famiglia e che dovevano quindi provvedere autonomamente al proprio sostentamento.
Ma ora lasciamo spazio alla lettura di queste incantevoli e in certa misura delicate perle di gotiche ghost-stories, permettendo al lettore di incamminarsi verso il bivio fra reale e irreale, laddove inizia il soprannaturale.
A cura di Marina Morassut
Mary Eleanor Wilkins Freeman
Mary Eleanor Wilkins Freeman nacque nel Massachusetts il 31 ottobre 1852. Nel 1867 la famiglia si trasferì nel Vermont, dove Freeman si diplomò prima di frequentare, solo per un anno (dal 1870 al 1871) il Mount Holyoke Seminary in Massachusetts. Nel 1883 tornò a Randolph da sola in seguito alla morte dei genitori e dell’unica sorella. Si trasferì dall’amica d’infanzia Mary J. Wales e iniziò a fare la scrittrice come vero e proprio lavoro. Mary J.Wales era solita leggere e ascoltare le bozze delle sue storie prima che le inviasse alle case editrici. Ebbe modo di visitare il paese e di fare dei viaggi in Europa, e proprio durante una delle sue visite nel New Jersey, nel 1892 conobbe Charles Manning Freeman. I due si sposarono nel gennaio del 1902. La coppia si stabilì a Metuchen, dove Mary divenne una celebrità locale grazie ai suoi libri. L’alcolismo di cui soffriva il marito la portò a chiedere ed ottenere la separazione. Le sue opere più conosciute furono scritte tra il 1880 e il 1890, il periodo in cui viveva a Randolph. La sua produzione letteraria comprende in totale ventidue volumi di racconti brevi, più di una cinquantina di saggi poetici e storie, quattordici romanzi, tre opere teatrali, tre volumi di poesie e otto libri per bambini. Più di una dozzina di opere furono pubblicate anche su Harper’s Bazaar e Harper’s Weekly. Nel 1926 l’American Academy of Arts and Letters conferì all’autrice la William Dean Howells Medal for Distinction in Fiction. Divenne membro del National Institute of Arts and Letters. Morì a Metuchen il 13 Marzo del 1930, all’età di 77 anni, a causa di un attacco di cuore.
Acquista su Amazon.it: