Intervista a Andrea Del Castello




A tu per tu con l’autore 


Andrea Del Castello, il tuo è un nome già conosciuto nel panorama editoriale italiano grazie alle numerose pubblicazioni di cui sei autore, si tratta principalmente di saggi e articoli, questa volta però ti scopriamo in una veste completamente diversa: quella del narratore. Qual è stata la tua fonte di ispirazione? Come nasce La voce della morte?

Riflettevo da un po’ sul fatto che ogni persona nella sua vita può essere allo stesso tempo vittima e carnefice nei confronti di altre persone. Quando siamo vittime ce ne rendiamo conto subito, ma ci vogliono esperienze molto forti a farci notare che siamo anche carnefici.

 

E’ un’osservazione interessante. Ed è da questa che sei partito per costruire la trama del tuo libro, che si dipana comunque intorno ad un’indagine.

Sì, un ragazzo muore nella sua auto nel parcheggio di una discoteca. Sembra una brutta storia di alcol e droga, fino a quando il commissario Giorgio Cani non riconosce e decifra un messaggio che si nasconde dietro il delitto.

 

 

Parliamo appunto del protagonista di questo romanzo, il commissario Giorgio Cani: è sicuramente un personaggio in linea col suo ruolo, ha un carattere forte ed è ligio al dovere, ma sin dalle prime righe emergono anche molti spigoli della sua personalità: è un tipo burbero, scontroso, appare insensibile e scortese…

Sì, è proprio una carogna! Si comporta male nei confronti delle persone con cui si relaziona. I suoi sottoposti lo stimano perché gli ripete che il loro lavoro è una missione per sconfiggere il Male, ma egli stesso non si rende conto di essere a volte insensibile nei confronti del prossimo. Il suo carattere difficile però è dovuto soprattutto a una forte mancanza che aleggia come una ferita nel suo passato.

 

Basta vedere come si comporta con sua moglie. La sfuriata che troviamo all’inizio del libro tra i due coniugi ci introduce ad un’altra tematica importante e possiamo dire che rende La voce della morte un libro di denuncia verso alcune problematiche sociali.

Sì, Giorgio Cani e sua moglie litigano perché lui è possessivo, accentratore, invadente. Un giorno sua moglie, che nonostante una specializzazione in marketing ha rinunciato alla carriera per dedicarsi alla famiglia, gli comunica che ha ricevuto una proposta di lavoro da una sala slot, ma il commissario non accoglie di buon grado questa novità. Spero che questo contrasto stimoli il lettore a riflettere da un lato sui rapporti coniugali e sulla parità di genere, ma dall’altro sulla piaga sociale delle slot machine, per le quali gli italiani spendono ogni anno decine di miliardi di euro.

 

Ed ecco che emerge il tuo occhio da studioso. Come dicevo all’inizio finora ti sei cimentato nella scrittura di saggi, quindi mi viene spontaneo chiederti: in che misura lo sguardo critico del saggista ha influenzato le scelte e lo stile dell’autore? Quanto c’è di te saggista in questo romanzo?

Bella domanda! Probabilmente i miei studi sulla scrittura thriller hanno influenzato questo romanzo in ogni suo aspetto. E ti dirò di più: forse anche i miei studi nell’ambito della musicologia e della filmologia mi hanno aiutato nella scorrevolezza dello stile e nella rappresentazione iconica e icastica di alcune scene.

 

Il tuo libro è il terzo volume della collana IRA, una collana dedicata interamente al genere thriller, e ci sono molte altre pubblicazioni legate a questo genere che stanno venendo fuori: a tuo avviso, perché in questo periodo il thriller si è affermato come uno dei generi letterari di maggior successo?

Penso che oggi il thriller sia il genere che racconta meglio il disagio di una società ingarbugliata tra mille contraddizioni. E soprattutto, il thriller può scavare meglio di ogni altro genere nel profondo del nostro animo per toccare la parte più sensibile delle nostre paure. Ci sono fenomeni culturali e sociali che sono ricorrenti e che portano il pubblico a scegliere di leggere storie che possano raccontarli: l’incertezza sul futuro, la paura dell’ignoto, la spettacolarizzazione televisiva della cronaca nera hanno contribuito ad aumentare l’interesse nei confronti di un genere letterario basato sull’indagine, sul crimine, sui sospetti, sul male.

 

Il tuo però è un caso un po’ particolare, diciamolo, perché questa non è la prima volta che ti occupi di thriller, anche se non lo avevi mai fatto da romanziere. L’anno scorso infatti hai pubblicato un saggio intitolato Come si scrive un thriller di successo, un vero e proprio manuale sulle tecniche di scrittura di un thriller: ecco, perché scrivere prima un manuale e soltanto dopo il romanzo?

Per poter seguire… i miei consigli! (ridendo)

 

Hai ragione, e si sono rivelati davvero degli ottimi consigli! Risalendo indietro nel tempo, da dove viene la tua passione per il thriller? Quando è nata?

Ero ancora un ragazzino quando cominciai a leggere i gialli di Agatha Christie e ad appassionarmi ai film di Hitchcock. Da allora l’amore per il mistero e per la suspense mi ha accompagnato per tutta la vita. Da ragazzo avevo una predilezione per i gialli deduttivi, in cui il Bene trionfa sempre. Poi, con il passare degli anni, mi sono affezionato ai thriller che invece ti insegnano che il Bene e il Male sono due facce della stessa medaglia.

 

A proposito di autori, tra le tue preferenze ci sono anche autori contemporanei? E in che misura ritieni che possano aver influenzato il tuo stile?

Romano De Marco e Mirko Zilahy sono i due autori a cui sono più legato, anche perché il rapporto con loro, di cui ero un semplice fan, si è trasformato oggi in una grande amicizia. Zilahy è un nume tutelare della letteratura contemporanea, De Marco riesce come nessun altro a trasmettere i sentimenti dei personaggi, forse perché è già lui una persona con un cuore grande. Ma ultimamente mi sono appassionato anche alla folta schiera di autrici della scena thriller italiana: Marilù Oliva, Ilaria Tuti, Barbara Baraldi, Annavera Viva, Sara Magnoli e tante altre. Inoltre ammiro tutti i grandi maestri del brivido italiani e stranieri, ma in generale cerco di assorbire gli insegnamenti di tanti autori di svariati generi e di ogni epoca. Solo per fare un esempio, come potremmo escludere dalle nostre influenze l’Iliade e l’Odissea che rappresentano la prima e più importante lezione di suspense della storia della letteratura europea?

 

La storia del nostro commissario si apre e si chiude con questo volume, ma da lettrice appassionata che è rimasta piacevolmente coinvolta dalle vicende di questo romanzo mi viene naturale chiederti se hai già intenzione di scrivere un seguito, oppure di cimentarti nella stesura di altri romanzi in futuro…

Al momento non saprei rispondere. Sento come i personaggi di questo romanzo siano accanto a me tutti i giorni, ma che sono calmi e taciturni, come se fossero ancora scombussolati dalla storia che hanno appena vissuto. Ma un giorno Giorgio Cani dirà alla sua squadra: “Su, andiamo! C’è un criminale da arrestare!”. A quel punto immagino che tutti scatteranno in piedi e io non potrò fare altro che seguirli in una nuova avventura.

Valeria Gentile

 

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